FUORIMODA REVIEWS – La prima piattaforma online per recensire i fashion show

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CMNI dice che la moda italiana è in ripresa Ma a dir la verità c’è solo un rallentamento della caduta

Come ogni dicembre, è tornato l’appuntamento con l’ultimo bilancio annuale di Camera Nazionale della Moda Italiana. Durante la conferenza stampa della Milano Fashion Week FW26 Uomo, il 10 dicembre, Carlo Capasa ha annunciato un dato che sembrava quasi impossibile fino a pochi mesi fa: dopo otto trimestri consecutivi in rosso, nel Q3 del 2025 si è registrato un timido, ma percepibile, segnale di risalita per l’intero comparto moda italiano. Una notizia accolta con sollievo, ma che richiede più prudenza che entusiasmo.

Secondo Capasa, il 2025 dovrebbe chiudersi con un calo del fatturato compreso tra -2,7% e -3%, un risultato comunque migliore rispetto alle previsioni più pessimistiche di qualche mese fa, che oscillavano intorno al -5%. Un recupero parziale che però non cancella la perdita strutturale degli ultimi due anni: il settore ha visto sparire 3.000 imprese e dieci miliardi di fatturato, un dato che pesa più di qualunque rimbalzo trimestrale.

Come sta davvero il Made in Italy?

Secondo le ultime rilevazioni, già a luglio si era intravista una prima inversione di tendenza, con un +1,4% rispetto allo stesso mese del 2024, consolidata poi a settembre con un +5,7%. Un rimbalzo che ha alleggerito il passivo complessivo dei primi nove mesi dell’anno, ancora fermo a -2,7%. Si tratta quindi di una ripresa più percepita che strutturale, resa ancora più fragile dalle performance negative dei settori collegati come gioielleria ed eyewear, che continuano a perdere terreno, penalizzati soprattutto dalla domanda estera in rallentamento.

Nel quadro complessivo dell’industria moda, comparti collegati inclusi, il fatturato dei primi nove mesi si riduce del 3% rispetto al 2024. Sul fronte prezzi, la filiera tessile è in territorio negativo, mentre abbigliamento e calzature rimangono lievemente sopra lo zero. Resistono invece cosmesi e gioielleria, che vedono i prezzi salire nonostante il raffreddamento delle vendite: un paradosso che racconta un sistema sempre più polarizzato, dove alcuni segmenti vivono dinamiche quasi scollegate dall’andamento reale del mercato.

Profumeria e cura della persona invece continuano a crescere con un deciso +4,2%, sorprendentemente l’abbigliamento torna timidamente in positivo (+1,4%).  Segnali contrastanti che riflettono un consumatore selettivo, attento al prezzo e molto più disposto a spendere in categorie percepite come “utili” o legate al benessere.

Forse dire ripresa è troppo ottimistico

La narrativa del ritorno alla crescita è rassicurante, ma rischia di essere fuorviante. Il settore non sta crescendo, sta semplicemente smettendo di cadere con la stessa velocità. L’inversione registrata nel Q3 sembra più un rimbalzo tecnico che un’inversione solida, soprattutto perché arriva in un contesto in cui le esportazioni rallentano, i consumatori europei tagliano la spesa discrezionale e la Cina, storico serbatoio di domanda per il lusso, resta in una fase di profonda incertezza.

In questo quadro, il Made in Italy continua a pagare due fattori chiave. In primis, la frammentazione del suo tessuto produttivo e la difficoltà nel competere su scala globale in un mercato dominato da conglomerati capaci di investire in marketing, innovazione e distribuzione. E poi la scomparsa di migliaia d'imprese in soli due anni conferma che il problema non è ciclico ma strutturale.

L’ottimismo cauto di Capasa è comprensibile, ma rischia di alimentare una lettura troppo benevola di un ecosistema che ha bisogno di riforme profonde più che di buone notizie. Il settore è ancora fragile, iper-dipendente dalle esportazioni e vulnerabile a ogni oscillazione macroeconomica globale. Parlare di ripresa senza chiarire che il settore rimane in contrazione, seppur più lenta, può creare l’illusione che la fase critica sia alle spalle, mentre i dati raccontano l’opposto. Il vero tema non è il segnale positivo del Q3, ma capire se il Made in Italy saprà trasformare questi micro-rimbalzi in una crescita reale.