«Il futuro della moda è nelle collaborazioni intenzionali», intervista a Bianca Saunders La designer ci racconta la sua nuova collezione per il Tate
Per un designer indipendente, non sono gli show e le presentazioni i momenti migliori per crescere ma le collaborazioni, siano esse con talenti emergenti sulla punta dell'hype o con prestigiose istituzioni artistiche. La nuova capsule collection realizzata da Bianca Saunders per il Tate ne è la prova, una linea di quattro articoli disponibile sui canali del museo di Londra, non-gendered e inclusiva. Unendo il savoir-faire artistico della stilista britannica - riconosciuta in tutto il mondo per la sua capacità di intrecciare identità culturale e innovazione - con l'impatto mediatico del Tate, la capsule alimenta il dialogo tra talenti indipendenti e istituzioni culturali. Si afferma così un nuovo modo di fare moda, lontano dalle passerelle esclusive e più vicino al pubblico.
«Poiché si tratta di una capsule piccola, il progetto è stato mirato e intenzionale», ci racconta Saunders della collezione che include infatti solamente un maglione, una maglietta, una sciarpa e un cappello. Prendendo ispirazione dal lavoro di William Blake, in particolare The Good and Evil Angels e The Simoniac Pope, la stilista ha voluto concentrare tutte le sue forze in un progetto che mescolasse tanto la sensibilità pittorica dell’artista di fine ‘800 quanto la sua profondità poetica. «Ho dedicato del tempo allo studio delle sue composizioni e delle sue tavolozze di colori, poi ho cercato dei modi per tradurre tutto ciò in arte indossabile - ha continuato Saunders - Si trattava di creare capi delicati ma di grande impatto, che potessero essere collezionati, come estensioni dell'opera d'arte, ma comunque radicati nel mio mondo con silhouette fluide». Ciò che ha colpito particolarmente Saunders del lavoro di Blake è stata la dualità narrativa del pittore, che nei suoi lavori ha sempre incluso giochi di luci e ombre per raccontare come il bene e male, lo spirituale e l'umano non possono fare a meno l'uno dell'altro. «Volevo catturare parte di quell'intensità emotiva nei capi di abbigliamento - ha aggiunto la designer - Tradurre le sue immagini su tessuto è diventato un modo per dare vita a quei contrasti attraverso il movimento e la texture, celebrando al contempo la sua visione profondamente britannica, ma senza tempo».
A partire da adesso è dunque possibile entrare al Tate e ritrovarsi di fronte non solo a un’infinità di opere dal valore inestimabile, ma anche scoprirli sulla propria pelle. Per un fan del lavoro di Saunders, poter acquistare uno dei suoi design all’interno di uno delle gallerie d’arte più frequentate di Londra dev’essere un’emozione alquanto meravigliosa, così come deve esserla stata per la stilista quando le è stata proposta la collaborazione. «Il mio primo ricordo della Tate risale a quando la visitai da studente e rimasi completamente affascinata dalla grande varietà delle collezioni, che spaziavano dai pezzi classici alle audaci installazioni contemporanee - ricorda Saunders - Nel corso degli anni, è stata fonte di ispirazione e ci ha ricordato che la creatività non ha confini, ma si evolve attraverso la reinterpretazione e lo scambio».
Ma il valore del Tate per Saunders va ben oltre quello materiale, con progetti come Late at Tate - eventi gratuiti dopo l'orario di lavoro organizzati dai giovani ogni primo venerdì del mese con musica, laboratori, e spettacoli - che negli anni hanno aperto le porte a tantissimi talenti emergenti che, come lei, cercavano uno spazio per esprimersi nell’enorme caos londinese. «L'ha reso accessibile, mi sono fatta molti amici e ho conosciuto molte persone nuove partecipando agli eventi Late at Tate e andando alle mostre, ecco perché ho voluto includere i miei amici nella campagna», ha aggiunto Saunders.
La capsule realizzata da Bianca Saunders per il Tate è un esempio da seguire per tutte le istituzioni d’arte che, come la galleria inglese, hanno la possibilità di supportare i designer indipendenti locali. Un’opinione condivisa anche da Saunders che, nonostante sia ormai uno dei nomi più affermati della moda londinese, vede in queste collaborazioni un'occasione per intercettare nuovi pubblici «che valorizzano significato e artigianalità». Non solo: l'opportunità di lavorare insieme a un’istituzione prestigiosa rappresenta anche un’opportunità per i giovani designer di scoprire un nuovo modo di fare moda. «Lavorare con un'istituzione artistica ti permette di rallentare, fare ricerche e reagire. Non si tratta tanto di seguire le tendenze, quanto piuttosto di raccontare storie e contestualizzare». È possibile che sia questo il futuro dei brand indipendenti? Abbandonare le passerelle e unirsi a realtà già affermate per contribuire alla cultura locale? «Sicuramente», risponde Saunders. «Offrono ai designer lo spazio necessario per esplorare le loro idee senza la pressione di una produzione costante. Credo che il futuro della moda risieda proprio in questo tipo di collaborazioni intenzionali, in cui creatività, cultura e proposito si uniscono in modo artistico e accessibile».