
Nel 2025 i consumatori sono troppo stressati
Il report di Kerney dimostra come i fattori sociopolitici influenzano le abitudini di consumo
17 Giugno 2025
La recessione, la guerra, un’altra guerra, e poi ancora un’altra (economica, stavolta). I governi di ultradestra, le deportazioni di massa. Insomma, forse si stava meglio durante la pandemia, come sembra suggerire questa prima metà del 2025. Per quanto la moda resti un potente strumento di escapismo, le vicissitudini sociali, politiche ed economiche influiscono in maniera diretta sulla stragrande maggioranza degli individui spendenti, che dall’inizio dell’anno si sentono sempre più sotto pressione. A confermarlo è il Consumer Stress Index del Kearney Consumer Institute, che segnala un incremento quasi generalizzato dello stress nei principali mercati globali nel primo trimestre del 2025 rispetto al quarto trimestre del 2024. Allo stesso tempo, però, analizzando nel dettaglio i dati raccolti negli Stati Uniti, tramite un’indagine condotta a fine marzo, emerge un quadro leggermente più stabile. Il livello di stress dei consumatori americani è rimasto pressoché invariato rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Anche le vendite al dettaglio di febbraio 2025 hanno registrato un +3,1% su base annua, un dato che, se depurato dall’inflazione (2,8%), riflette una crescita quasi piatta ma coerente con il sentiment rilevato. Il timing però è fondamentale, dato che le interviste, come sottolinea lo stesso report, erano state condotte prima dell’inizio delle manie dei dazi di Trump. Proprio le tensioni commerciali stanno però emergendo come una delle fonti di stress più rilevanti e in rapida crescita. Se nel terzo trimestre del 2024 solo il 36% dei consumatori dichiarava di temere un impatto personale dalle dispute commerciali, nel primo trimestre del 2025 la percentuale è salita al 54%, segno che la presunta resilienza si sta scontrando con una nuova ondata di incertezze legate alla politica economica internazionale.
I don't care what anybody says, being financially stable eliminates 90% of your stress.
— (@fwtimini) June 13, 2025
Tra i segmenti più impattati ci sono le calzature e l’abbigliamento, dove la contrazione dei consumi era già nell’aria da tempo, ma anche i generi alimentari, considerati beni essenziali. Dopo un 2024 che ha segnato una contrazione palese nel comparto del lusso, a lungo considerato immune ai cicli economici, il 2025 ha iniziato a mostrare segnali chiari di rallentamento anche nel ready-to-wear e persino nel fast fashion, come hanno dimostrato gli ultimi bilanci di Inditex e H&M. L’approccio dei consumatori ricorda quello adottato durante la pandemia: si posticipano gli acquisti finché non diventano essenziali, si evitano gli extra, si predilige la funzionalità rispetto all’estetica. Il risultato è che molti brand, soprattutto quelli posizionati in una fascia di prezzo intermedia, rischiano di trovarsi schiacciati tra l’aumento dei costi di produzione e la riluttanza dei consumatori a spendere, un fenomeno sottolineato già dallo stesso Steve Madden nei mesi scorsi. Al contrario, settori come il grocery e il beauty, pur risentendo anch’essi della pressione economica, si stanno riconfigurando in modo più graduale. Anche se il carrello della spesa diventa più essenziale, nel beauty si vede una corsia preferenziale per gli “household names”, così da lasciare meno spazio all’acquisto impulsivo.
@kamironx I saw a girl make a tie dye cut out shirt and pair it with leggings and someone comment “thats so creative i never thought of that before”… we’re in danger. #recession original sound - kamiron
Guardando avanti, non ci sono molti segnali di sollievo all’orizzonte. I consumatori continueranno a fare i conti con l’ansia per il lavoro e il peso sempre più insostenibile del costo della vita. Dopo sei anni passati tra pandemia, inflazione e instabilità cronica, la soglia di sopportazione collettiva sembra ormai esaurita. Le spese impulsive e un po’ incoscienti dell’era post-COVID, alimentate dai micro-trend sui social e da un temporaneo senso di libertà, rischiano di diventare presto solo un ricordo. Lo conferma anche l'Index, che fotografa un pubblico sempre più stanco, attento e selettivo, e uno sguardo ai principali mercati globali basta per capire che il sentore è simile ovunque. In Giappone, la flessibilità dei consumatori rimane alta, complice la domanda interna e la forza dello yen, ma lo stress legato alla geopolitica e alla rapidità dell’innovazione resta costante. Nel Regno Unito, i pensieri sono tutti rivolti al portafoglio, alla politica e alla sicurezza alimentare; insomma, l’ottimismo cresce di poco, ma viene subito spento dalla realtà. In Germania, la situazione è ancora più tesa con lo stress geopolitico domina e la capacità di spesa si assottiglia. Morale della favola? Siamo tutti troppo stressati e la shopping therapy non funziona più.