
Le seconde vite dei lavoratori della moda Trovare altro da fare, oltre i vestiti
Forse arriva per tutti, dopo un momento di massima realizzazione, l'istante in cui diventa chiaro che una parte della propria vita si sta chiudendo e un’altra si apre. Le coscienze di direttori creativi e produttori culturali arrivano quasi sempre a un punto in cui il loro rapporto con il commercio cambia: non si interrompe mai del tutto, ma prende una direzione diversa, apparentemente più lenta o più organica. Fin dai primi decenni del Novecento, nel sistema moda la trasformazione delle carriere è stata un fenomeno ricorrente. Se pensiamo a tutti gli artisti/artigiani che lavoravano nelle case di moda viene in mente Meret Oppenheim, che iniziò a lavorare per Elsa Schiaparelli come creatrice di accessori per poi sviluppare una pratica che ha ridefinito i confini tra moda, design e arte (i suoi lavori sono oggi esposti al MoMA). È interessante osservare come i creativi di moda abbiano seconde vite intrinseche: perché, anche se non tutta la moda è arte, probabilmente tutti i creatori però sono da considerarsi in parte artisti, condividendo processi ed obblighi di concentrazione concettuale. Questi passaggi non sono eccezioni: la moda è da sempre terreno di attraversamenti tra pratiche e reinvenzioni radicali.
Oggi, moltissimi casi confermano questa tendenza: da direttori e direttrici creative del proprio brand ad artista totale, impegnati in una nuova produzione personale. È il caso di Helmut Lang, che ha abbandonato la moda per dedicarsi completamente all’arte visiva, con sculture e installazioni che rifuggono il sistema industriale e il ritmo esasperato delle collezioni. Oppure Tom Ford, che ha finalmente deciso di concentrarsi solo sul cinema, dopo film intensi come A Single Man e Nocturnal Animals. E ancora Dries Van Noten e la sua svolta da mecenate veneziano, Ann Demeulemeester con il suo interesse per gli interni, fino alla probabile lenta svolta futura di Miuccia Prada.
Ecco cinque direttori creativi che hanno scelto di lavorare ad altro.
Tom Ford
Il genio della moda contemporanea che ha risuscitato Gucci negli anni ’90 è passato alla storia per aver proiettato il brand e il resto del settore nel nuovo secolo del branding e dell’immagine, ma ha da sempre dimostrato un’incredibile capacità e dimestichezza con il film. Nel 2023 ha venduto il suo omonimo brand TOM FORD a Estée Lauder per 2,8 miliardi di dollari, dopo una carriera asfissiante durata 30 anni e una grave perdita familiare. Decide così di dedicarsi alla vita e al cinema, i suoi amori più sinceri. Infatti, Ford già dal 2008 lavora su A Single Man, film con Colin Firth e Julianne Moore accolto con forti apprezzamenti alla Mostra del Cinema di Venezia. Ma è il 2016 a consacrarlo con Animali Notturni: il film ha vinto il Gran Premio della Giuria a Venezia, ottenuto una candidatura all’Oscar (Michael Shannon), vinto un BAFTA per la scenografia e ricevuto nomination ai Golden Globe e ai Satellite Awards. Il suo passato in Texas e la sua sensibilità ed esperienza vissuta riescono ad emergere in ogni suo lavoro.
Ann Demeulemeester
Dopo essersi allontanata dalla moda nel 2014, Ann Demeulemeester ha trovato una forma completamente nuova di espressione estetica nello spazio della tavola. Nel 2019 ha lanciato una collaborazione con il brand belga Serax, creando le collezioni Dé e Ra, servizi in porcellana dipinti a mano, posate e calici in cui minimalismo e artigianalità evocano la poetica della sua moda. Nel 2022, la partnership si è estesa a mobili, lampade e complementi per l’ambiente domestico. Questo lavoro nasce proprio sul confine tra cibo e design e trasforma la tavola in una scenografia intimamente rituale e sensoriale. Il progetto, rigorosamente monocromatico e scultoreo, conferma la sua sensibilità radicale.
Helmut Lang
Helmut Lang è il primo nome che viene in mente se si pensa al radicalismo minimale nella moda degli anni ’90, a quell’asse che ha messo tutti d’accordo, dal vecchio continente alle strade di New York. Dal 2005 si dedica alla sua pratica artistica, che si muove tra installazioni e sculture. Il suo rapporto con l’arte, quella seria, è strettissimo e va di pari passo con la sua vita privata e professionale: una delle sue migliori amiche, non appena trasferitosi a New York nel 1997, era Louise Bourgeois, che indosserà per il resto della vita capi firmati Helmut Lang, tra cui l'iconico cappotto di montone bianco immortalato in numerosi ritratti. Il legame tra Lang e l’arte è viscerale, basti pensare alla lunga collaborazione con Jenny Holzer per il negozio di New York e le campagne pubblicitarie e al lavoro sensoriale che li ha portati insieme ad esporre per la Biennale di Firenze del 1996 di Germano Celant. Le sue manipolazioni, che sperimenta quasi parallelamente all’attività da designer, sono materiche, potenti, evocano Burri e l’oggetto consumato. Negli ultimi anni il suo lavoro è stato esposto in istituzioni internazionali come la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino nel 2020, oltre che in personali presso la galleria Sperone Westwater a New York, che lo rappresenta stabilmente.
Dries Van Noten
Anche Dries Van Noten appartiene al gruppo degli Antwerp Six, e come Ann Demeulemeester ha da poco lasciato la direzione creativa del suo omonimo brand. Aveva già previsto questo passo nel 2018, per permettere a investitori di entrare e cambiare radicalmente l’idea di business dietro al marchio. Se da un lato continua a lavorare su beauty e profumi, dall’altro, come dichiara in una recente intervista per Repubblica con Angelo Flaccavento, «il mio equilibrio lo trovo sempre vicino all’acqua». Il suo nuovo progetto? A Venezia. Van Noten ha già una casa in città che frequenta da anni, ma il successivo salto è stato l’acquisto, nel maggio 2025, di Palazzo Pisani Moretta, uno storico edificio gotico‑barocco del XV secolo affacciato sul Canal Grande che diventerà presto un hub culturale aperto al pubblico, dedicato agli artigiani, all’arte e al dialogo tra passato e presente, con workshop, residenze per artisti, mostre e laboratori sulle tecniche veneziane. I dettagli sul calendario dei lavori e l’apertura pubblica sono attesi per settembre, ma la direzione è molto chiara.
Miuccia Prada
Anche se ancora co-direttrice creativa di Prada e direttrice creativa di Miu Miu, la fondatrice Miuccia Prada lascia intuire che un piano per il futuro di un gruppo così grande e potente sia forse già silenziosamente in atto da tempo. Le due mosse che hanno alimentato questa percezione sono note a tutti: da un lato la co-direzione di Prada con Raf Simons, dall’altro una notizia che in parte non cambia nulla, ma che significa moltissimo. A settembre 2023, la stilista ha formalizzato il proprio ruolo come direttrice di Fondazione Prada, attività avviata nel 1993 e da sempre centrale nella sua vita. Fondazione le ha permesso di mostrare al mondo la sua sensibilità, la profonda conoscenza e l’amore per l’arte contemporanea, ma soprattutto il desiderio di condividerli con il pubblico nelle città che ospitano le sue sedi, a Milano e Venezia. Un gesto utile per rafforzare l’identità culturale di Gruppo Prada, ma anche — forse — un exit strategy per la stilista milanese.




























































