
Tutti i recession indicator della FW25
La moda è davvero uno specchio dell’economia globale
12 Marzo 2025
Ci sono momenti storici in cui – pur di cercare escapismo dalla cruda realtà che ci circonda – concentrarsi sulle arti è l’unico modo per ritrovare un barlume di luce in un panorama altrimenti a dir poco plumbeo. Con una guerra economica in atto, preludi di armamenti da parte dei leader europei e diversi conflitti in giro per il mondo, questo 2025 è uno di questi, o almeno dovrebbe esserlo. Cosa succede, però, se anche la moda referenzia in maniera sempre più apparente la recessione economica attuale, ignorando ogni speranza di evasione dalla realtà, desiderata en-masse da diverse stagioni ormai? Con la conclusione di ieri sera del fashion month dedicato alla stagione FW25, sono emersi ormai chiari “recession indicator” dati dall’influenza – volente o nolente – di un panorama globale disastroso. L’avevamo già visto durante la NYFW, quando designer come Willy Chavarria e Patricio Campillo avevano usato la loro piattaforma per mescolare politica e moda, con t-shirt che inneggiavano alla protesta e al dissenso dell’attuale governo degli USA. Anche l’intimità delle location delle sfilate dell’ultima Paris Fashion Week, che per alcuni è sinonimo di esclusività, segna un problema più grande: la riduzione dei costi. Insomma, anche questa volta il lusso non è stato immune ai gravi problemi delle economie mondiali, dimostrando che la moda è uno specchio preciso del contesto che la circonda. A testimonianza di ciò, alcuni dei trend di queste ultime 6 settimane dedicate alla FW25 (sia menswear che womenswear) accennano, in maniera più esplicita o meno, a recession indicator.
Hemline Theory
Nel 1926, l’economista George Taylor propose una teoria secondo cui, in tempi di prosperità, la lunghezza delle gonne tendeva ad accorciarsi, mentre in tempi di crisi esse assumevano una lunghezza smisurata. La teoria potrebbe sembrare assurda, eppure statisticamente parlando non regge alcuna obiezione. A differenza delle ultime stagioni, caratterizzate da una forte proliferazione di mini gonne e micro shorts, la FW25 si è distinta per gonne midi e lunghe, presenti in quasi tutte le sfilate del womenswear. In primis, c’è stato Miu Miu – che nella SS22 aveva riportato in auge le micro-skirt – a presentare, durante la sfilata dell’11 marzo, gonne, cappotti e vestiti che (casualmente) arrivavano tutti al ginocchio. Anche Acne Studios, che per la FW24 si era destreggiato tra sexy body in pelle e stampe da party girl (che poi hanno caratterizzato l’era brat di Charli xcx), ha presentato, durante lo show del 5 marzo, una quantità senza precedenti di vestiti e gonne midi (qui addirittura oltre il ginocchio), toccando codici visivi molto più tradizionalmente femminili rispetto alla “cool girl” delle collezioni precedenti.
Sciura-glam

La sciura, traduzione del sostantivo “signora” in dialetto milanese, è senza dubbio un’icona senza tempo. Non perché sia sempre rilevante, ma perché non viene minimamente contaminata dai trend del momento, rimanendo salda sui propri principi: piega cotonata, pelliccia, accessori delle più grandi Maison, e sempre accompagnata da gioielli che spesso richiamano perle o oro giallo. Per la FW25, i brand italiani sembrano essere stati fortemente influenzati dallo sciura-glam, prendendo ispirazione dalle icone milanesi. Prada, capitanato dall’anti-sciura per eccellenza, ha presentato durante la MFW una collezione con tutti i principali codici visivi associati alle matriarche milanesi (anche qui, le gonne erano quasi tutte oltre il ginocchio). Una rigida sartorialità, soprattutto nei vestiti, che ricordava molto la classe borghese della metà del secolo. Anche Alessandro Michele, tra pellicce a tre quarti, lunghe collane di perle e tantissima sartorialità, ritrovata soprattutto nei pantaloni, ha portato a Parigi un Valentino meno estroso rispetto a quello della SS25 – suo debutto – richiamando una visione dell’universo di Lallo25 più seria e matura. Persino Diesel, con un Glen Martens pronto a prendere le redini di Margiela, ha presentato una collezione fortemente classica per gli standard del brand, scambiando il celebre denim per un grigio "pied-de-poule" in stile Coco Chanel.
Stampe d’archivio
Forse è nella natura umana, ma in tempi precari si tende sempre a romanticizzare il passato, rammentando un’epoca ormai lontana ed inesistente. Nella moda, attingere dal proprio archivio non è straordinario, ma quando si rispolverano elementi iconici della storia del brand, la missione è chiaramente quella di spronare clienti e spettatori a rivivere un’era. Forse, come definito da Dazed, il recession indicator per antonomasia di questa collezione è stato il teschio di McQueen, riesumato da Sean McGirr, non più come stampa per sciarpe, come avveniva nei 2010, ma declinato su una blusa da uomo. Similmente, anche Versace (per quella che si specula essere l’ultima sfilata di Donatella) ha riportato alcune delle stampe più evocative del brand, tra cui il V-motif dorato su sfondo nero abbinato a una stampa leopardata, sia su camice e giacce nel menswear che su un leotard e un lungo abito drappeggiato nel womenswear. Diesel, invece, per puntare sulla nostalgia di un mondo pre-crisi del 2008, ha deciso di far rivivere sulla passerella il “bumster”, lasciando arieggiare la parte superiore dei glutei dei modelli.
Normcore
Già ad inizio anno c’è stato un preludio generale su uno dei più grandi trend di questo 2025: il ritorno del normcore, dettato principalmente da un riorientamento delle priorità. In maniera più semplice, se il mondo è un disastro, indossare abiti che attirano l’attenzione sembra a dir poco “out of touch”. Tra i brand che sono riusciti a captare questo sentimento e hanno pivotato l’intera strategia c’è stato Balenciaga. Dopo lo scandalo, il brand di Kering ha faticato a riprendersi, sia nell’immaginario collettivo sia nelle vendite; ma in questa FW25 Demna sembra aver capito che per fare tabula rasa bisogna tornare alla normalità. Completi sartoriali, pantaloni a sigaretta, piumini da 100 grammi: guardare la sfilata di Balenciaga è stato un po’ come chiedersi se si trattasse di una collab con Uniqlo o se il direttore creativo fosse cambiato. Certo, non tutta la collezione è stata invasa dal minimalismo giapponese, e gli elementi distintivi del brand (come lunghissimi cappotti di pelle, grandi occhiali da sole e giochi di proporzioni) sono sempre stati presenti.
Maranza Realness
Sempre per restare in tema Balenciaga, per spezzare questa nuova ondata di normalità nel brand, il direttore creativo giornaliero ha deciso di introdurre una porzione della collezione totalmente dedicata all’estetica della subcultura dei maranza milanesi, grazie alla collaborazione con Puma. Ovviamente non è un’ode a Milano, siccome i maranza traggono ispirazione dai “road-men” inglesi, che in Australia vengono chiamati “eshay” e nell’Europa dell’Est definiti “gopnik”. Insomma, si parla di giovani ragazzi che vestono in tuta, prediligono il marsupio al petto come accessorio quotidiano, hanno una sfumatura evidente nei capelli e tendono a fare casino in metropolitana. Se, quantomeno, l’associazione tra questa estetica e Balenciaga non è impensabile, anche brand come Undercover e Casablanca per la FW25 hanno puntato su look più rilassati, portando alla Paris Fashion Week una new wave di loungewear. La tuta sulla passerella siboleggia ancora di più quanto il panorama attuale del fashion stia affrontando un momento di forte antitesi rispetto alla nozione classica di lusso.
Vedo non vedo
Forse il trend più grande di questa FW25 nel Womenswear è stato l’uso sovversivo della lingerie come parte integrante dell’outfit. Il pizzo, in maniera più generale, è tornato a tutta forza, presente fortemente nella seconda metà della sfilata womenswear di Dolce&Gabbana, ma anche nel rigido Dior di Maria Grazia Chiuri, che ha voluto forse dimostrare una versione più sensuale della donna a cui siamo stati abituati negli ultimi nove anni. Anche Gucci, senza una direzione creativa definita, ha utilizzato body in pizzo come top, abbinati (per l’ennesima volta) a pencil skirt. Miu Miu e Givenchy, seppur in maniera diversa, si sono concentrati sui bustier, riportando in auge la coppa a cono. Tra gli indipendenti, invece, Collina Strada ha lavorato con babydoll e abiti in pizzo con trasparenze calcolate. Il ritorno della lingerie come vestiario sulla passerella tende a ricordare che, talvolta, un capo non deve essere necessariamente indossato in un solo modo, ma può adattarsi a diverse situazioni in base a come viene abbinato. Insomma, un acquisto, mille usi.