Chi vince l’eterna guerra tra pandoro e panettone? Il dolce di Verona vuole la sua rivincita

In Italia, se nella guerra tra panettone e pandoro preferisci il secondo, ci sono molte probabilità che la tua età inizi con l’1. Perché de facto, il dolce veronese è più appetibile per i più piccoli, che sono spesso avversi ai canditi, alla frutta secca e a tutto ciò che non sia fatto con il cioccolato. Il panificato milanese invece è un po’ come il vino rosso: viene apprezzato con l’età. Negli ultimi anni ha ritrovato un successo inaudito grazie ai diversi chef (e maison di moda) che Natale dopo Natale lo ripropongono con nuove e moderne varianti. Quindi, se sul territorio nostrano il panettone è stato dichiarato il dolce natalizio d’eccellenza, perché il New York Times ha dichiarato che «ora è arrivato il turno del pandoro»?

Il successo del pandoro negli Stati Uniti

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La risposta, forse, sta proprio nel fatto che il pandoro non ha mai cercato di diventare qualcos’altro. Come raccontato dal NYT, negli Stati Uniti il dolce negli ultimi anni sta venendo riscoperto per la sua adattabilità, grazie alla base neutra, che si presta a essere farcita, accompagnata a creme come marmellate, creme al pistacchio, nocciola, vin santo, gelato, zabaione. Perfino il tiramisù, dove in alcune bakery newyorkesi il pandoro sostituisce i savoiardi. 

In Italia, però, il discorso cambia, perché per tradizione e posizionamento il pandoro resta un prodotto eminentemente industriale - e non perché manchi la qualità, ma perché il mercato ha deciso così. A confermarlo è anche Michele Bauli, intervistato da la Repubblica, che spiega come il panettone, nel complesso, venda più del pandoro, ma con una precisazione interessante: il pandoro supera sia il panettone con canditi sia quello senza, se considerati singolarmente. Un dolce senza troppe pretese, fatto per un palato sempliciotto, che non dice niente, un po’ democristiano insomma. 

È tutta una questione di percepito

Negli ultimi anni il panettone ha subito un processo di gentrificazione gastronomica piuttosto evidente. Da dolce popolare è diventato oggetto di culto, status symbol natalizio, prodotto da vetrina. Se ad oggi un pandoro Bauli si aggira intorno ai 7 euro, un panettone artigianale di Pasticceria Marchesi può arrivare tranquillamente a 75 euro (anzi, ci sono variazioni decorate a mano della pasticceria del gruppo Prada che arrivano a 600 euro). Non è più solo una questione di gusto, ma di posizionamento, un po’ come nella moda. Il panettone oggi è haute couture mentre il pandoro è fast fashion e come spesso accade, il fast fashion vende di più, ma non ha la stessa reputazione dell’alta moda.

Il motivo per cui, però, il pandoro non ha mai davvero conosciuto un boom artigianale non è solo culturale, ma anche tecnico. Come spiegato su Linkiesta, produrre un pandoro di pasticceria è estremamente complesso. L’impasto è pesante, ricchissimo di burro, uova e zucchero, difficile da gestire in fase di lievitazione; quindi più si cerca il sapore, più si mette in crisi la struttura. A questo si aggiunge una rigidità assoluta sulle farine, che devono essere sempre le stesse, testate mesi prima con stampi ingombranti che richiedono spazio e investimenti. Il risultato è un prodotto poco flessibile, costoso e rischioso.

Allora, il successo internazionale del pandoro raccontato dal New York Times non è una rivincita contro il panettone, ma una questione di timing. In un momento storico in cui tutto sembra dover essere premium, narrativo ed esperienziale, il pandoro resta un oggetto semplice, un po’ nazionalpopolare, e forse va bene così.