
Ma a cosa servono le fondazioni nella moda? A tante cose: dal preservare l’arte al risparmiare sulle tasse
Quest’anno, nei circoli della moda, si è parlato molto di fondazioni. Valentino Garavani e Giancarlo Giammetti hanno aperto la loro al pubblico quest’anno, ad esempio, dopo quasi un decennio di attività filantropiche; e Giorgio Armani, nel fare testamento, ha affidato la sua società proprio la fondazione che porta il suo nome. Ma nella moda milanese le fondazioni sono tante e spesso diverse tra loro. La “Fondazione” per antonomasia è quella dei Prada, ma ci sono fondazioni intitolate a Carla Sozzani, Zegna, Gianfranco Ferrè, Nicola Trussardi, quella di Antonio Ratti che lavora nell’ambito tessile o quella di Pitti Discovery.
Allargandoci all’Europa troviamo le fondazioni della famiglia Pinault, quella di Louis Vuitton, quella di Yves Saint Laurent e Pierre Bergè, quella di Cartier e la celebre Ellen MacArthur Foundation che è nota a chiunque segua le evoluzioni della sostenibilità della moda. Le fondazioni insomma sono tante e svolgono tante funzioni: sono musei, archivi, società, finanziatori, operatori culturali. Eppure, di fronte a questa molteplicità di ruoli, il termine “fondazione” sembra un ombrello sotto il quale tante entità diverse, nate con scopi diversi, operano con diverse missioni. Quindi che cos’è di preciso una fondazione?
Che cos’è e cosa fa una fondazione?
Una fondazione è un’istituzione privata senza scopo di lucro che nasce quando una o più persone, una certa azienda o anche un’intera famiglia sceglie di destinare per sempre un fondo patrimoniale, ovvero una certa porzione del proprio patrimonio (che può andare dai semplici soldi fino ai palazzi, a collezioni di oggetti, opere d’arte o archivi storici) a scopi di interesse pubblico. Invece che appartenere a quelle persone o entità più o meno collettive, la fondazione diventa una specie di “forziere blindato”, separato dai suoi fondatori e dai loro eventuali discendenti che non possono riprendersi ciò che hanno dato.
Ogni fondazione ha una certa missione. Normalmente nascono per aiutare la ricerca medica o scientifica, conservare e finanziare un certo patrimonio culturale, restaurare monumenti, sostenere determinati individui, finanziare opere pubbliche. Nel campo della moda, la missione-base di molte fondazioni è preservare, quasi fossero un museo, archivi storici o collezioni di abiti, ma in realtà le fondazioni fanno un po’ di tutto. Quella dei Zegna, ad esempio, si occupa di conservazione ambientale, contributo alle arti ed educazione, tra le altre cose; la Fondazione Sozzani è un operatore culturale che si occupa di divulgazione ed educazione per giovani creativi; quella intitolata a Ferrè esiste in funzione della memoria dello stilista.
La legge riconosce due tipi di fondazioni. Una è la fondazione a erogazione, che sostanzialmente è una specie di banca che gestisce e investe in un certo fondo patrimoniale per poi devolvere questi soldi verso la propria missione di scelta. Come dice lo stesso nome serve a erogare soldi. L’altro tipo è la fondazione operativa, che sarebbe ad esempio Fondazione Prada o quella di Louis Vuitton, e dunque “opera” direttamente organizzando le sue attività, mostre, corsi educativi e via dicendo. Le fondazioni di moda sono quasi tutte di questo secondo tipo dato che consente di controllare al 100% la propria immagine e la qualità delle attività stesse.
Come si gestiscono i soldi di una fondazione?
@nssmagazine A partire da domani, 25 maggio, la Fondazione Valentino Garavani e Giancarlo Giammetti apre ufficialmente al pubblico le porte di PM23, con la mostra Orizzonti | Rosso: un viaggio immersivo tra moda e arte che esplora la potenza simbolica del rosso, attraverso 80 opere tra cui 50 creazioni iconiche di Valentino Garavani e lavori di Andy Warhol, Basquiat, Rothko, Bourgeois e Fontana. L’ingresso è gratuito fino al 10 giugno. Cosa state aspettando? #basquiat #pm23 #valentino #andywarhol #fashiontiktok #tiktokfashion #roma #rome #giammetti suono originale - nss magazine
Essendo entità no-profit, le fondazioni pagano molte meno tasse rispetto agli altri tipi di società. Ad esempio, nel caso dell’Italia, non pagano tasse sui redditi del patrimonio o sui redditi istituzionali. Continuano però a pagare tasse sulle attività commerciali, ad esempio l’IVA sui biglietti o sul merch; pagano imposte di registro, bollo e catastali se acquisiscono un immobile o un terreno, pagano tasse sui palazzi che possiedono ma con certi sconti ed esenzioni se il loro scopo è culturale e, infine, pagano le tasse sui propri dipendenti. Ma i soldi che fa una fondazione non bastano ad auto-supportarsi e dunque dipendono da entità esterne che, donando fondi a loro, riescono a pagare meno tasse.
Poniamo che esista una certa fondazione legata a un brand di moda. Se la società del brand guadagna 100 milioni, senza fare nulla paga 24 milioni di tasse e le restano 76 milioni netti da tenere o distribuire come dividendi. Se però dona quei 100 milioni alla fondazione, la legge italiana gli permette di dedurre una parte molto rilevante di quella somma dal reddito su cui si calcolano le tasse. Quindi le tasse da pagare diventano molto più basse e la fondazione riceve comunque 100 milioni pieni. Il costo reale per il brand è molto inferiore ai 100 milioni perché ha rinunciato solo alla cifra netta che avrebbe tenuto dopo le tasse normali, ma la fondazione riceve l’importo intero.
Se poi la donazione rientra nell’Art Bonus (ad esempio il restauro di un bene pubblico o un progetto approvato dal ministero), al brand in questione viene dato un ulteriore sconto molto importante sulle tasse per i successivi tre anni. Così facendo, per ogni 100 milioni donati alla fondazione l’azienda ne spende in realtà molto meno. Quindi invece di dividere i 100 milioni iniziali in 24 milioni di tasse e 76 di ricavi netti, il brand avrà tasse molto più basse da pagare e la fondazione potrà spendere i suddetti milioni in tutti i progetti che vuole. Il che poi è il motivo per cui così tanti brand di moda o gruppi del lusso preferiscono versare soldi alle fondazioni piuttosto che lasciarli nei propri bilanci dato che è un win-win: si fa beneficenza, c’è un grande ritorno di immagine e un importante sconto sulle tasse.
Chi controlla le fondazioni?
Fondazione Gianfranco Ferrè pic.twitter.com/lTdQcHigIv
— Valentina JL (@ValeenJL) May 18, 2023
Sul piano strettamente legale, una fondazione è una realtà autonoma e separata dalla società o dagli individui che l’hanno creata. Ovviamente però chi la crea e chi la finanzia è anche chi la controlla e quindi il fondatore (sia che si tratti di una persona che una società) può nominarne presidente, consiglio di amministrazione, direttore artistico e via dicendo.
È insomma un padrone di casa che non abita in casa. Comunemente, le persone che vengono nominate sono sempre figure di fiducia che vanno dai familiari a persone che lavorano già nel brand in questione e via dicendo. In molti dei casi delle fondazioni di moda, l’indipendenza della fondazione esiste sulla carta ma in fin dei conti è comunque il soggetto che mette i soldi che decide quali attività fare, quando farle, dove investire il denaro e come gestire l’immagine e il nome della fondazione stessa. Il che consente di creare assetti aziendali molto affascinanti.
L'esempio di Armani
Nel caso di Armani, ad esempio, Giorgio Armani ha creato la fondazione eponima nel 2016 e, prima di morire, ha predisposto tutto in modo che alla sua scomparsa, come spiega Il Sole 24Ore, il 100% delle quote della società passasse automaticamente alla Fondazione stessa (come piena proprietà sul 10% e nuda proprietà sul restante 90%). Alla sua scomparsa, la società, che vale fino a 12 miliardi di euro, è così diventata di proprietà della Fondazione, che però inizialmente dispone del 30% dei diritti di voto. Ci sono ovviamente eredi e familiari che detengono l’usufrutto e la maggior parte dei voti nel breve periodo, ma il vero “padrone” finale è la Fondazione Giorgio Armani che, in quanto tale, è obbligata a rispettare la mission originale, garantendo che il marchio resti italiano, indipendente e fedele allo stile Armani il più a lungo possibile.
È stato un vero capolavoro di pianificazione: come notato da La Repubblica, la società ha evitato tasse di successione per centinaia di milioni, l’azienda è protetta da divisioni familiari immediate e da acquisizioni ostili, mentre è previsto un percorso ordinato di cessione graduale (fino al 54,9% in 5-8 anni) a un grande gruppo del lusso o, in alternativa, la quotazione in Borsa. Ovviamente la Fondazione investirà i dividendi della società in attività culturali come mostre, restauri pubblici, borse di studio e finanziamenti, archiviazione storica e via dicendo. Ma utilizzando la natura della Fondazione e la struttura di nuda proprietà è riuscito a trasformare un’azienda privata in un patrimonio culturale tutelato per decenni a venire. Come direbbe un famoso poeta, un monumento più perenne del bronzo.
Takeaways
- Nel mondo della moda italiana ed europea le fondazioni private sono diventate uno strumento sempre più diffuso per preservare archivi, collezioni e patrimonio culturale, ma anche per gestire in modo strategico immagine, successione e fiscalità dei grandi brand.
- Una fondazione è un ente no-profit dotato di un patrimonio inalienabile destinato a scopi di interesse pubblico; nella moda è quasi sempre di tipo “operativo”, ossia organizza direttamente mostre, attività educative e progetti culturali.
- Grazie alle esenzioni fiscali e alle deduzioni generose (soprattutto con l’Art Bonus), donare denaro o beni alla propria fondazione costa al brand molto meno di quanto riceva effettivamente la fondazione, creando un meccanismo win-win di beneficenza e risparmio fiscale.
- Sebbene legalmente autonome, le fondazioni di moda restano di fatto controllate dai fondatori o dalle famiglie che le finanziano, permettendo un controllo totale sull’immagine e sulle attività senza disperdere il patrimonio tra eredi o possibili acquisizioni.
- L’esempio di Giorgio Armani rappresenta il caso più sofisticato: trasferendo alla morte l’intera proprietà della società alla Fondazione Giorgio Armani, ha evitato tasse di successione per centinaia di milioni, protetto l’indipendenza del marchio e trasformato un’azienda privata in un bene culturale tutelato a tempo indeterminato.













































