
I 10 migliori show del 2025 Dall’amato ma sfortunato Versace by Dario Vitale fino al commuovente addio a Giorgio Armani
Il 2025 è stato un vero anno campale per la moda. Tra la crisi delle vendite, i venti cambi di direzione creativa (con altrettanti debutti) che hanno interessato i principali nomi del lusso, la nuova schiera di nomi indipendenti in rapida ascesa e gli scandali della filiera del Made in Italy, sono tante le cose accadute e soprattutto sono stati tanti gli show da vedere.
Per questo creare una lista dei dieci show migliori degli ultimi dodici mesi non è stato semplice: bisogna scegliere il più discusso? O quello che ha emozionato di più? E che fare degli show di brand eccellenti che, però, non hanno suscitato brividi né catturato lo zeitgeist di una stagione? Purtroppo ogni Top 10 include anche le presenze invisibili e silenziose di chi avrebbe meritato un’inclusione ma è stato preferito agli show che ci hanno davvero toccato.
Ecco dunque i migliori 10 show del 2025.
1. Tom Ford SS26
La notte, la nebbia e una processione di personaggi che, da soli o in gruppo, evocavano visioni tanto sensuali quanto spettrali. Fra trench di luccicante pelle verniciata e traforati al punto da sembrare veli, abiti dagli scolli scandalosi che cadono sul corpo quasi come un liquido, una sartoria sottilmente eccentrica con baveri rialzati e svenevoli sciarpe di seta annodate asimmetricamente che di tanto in tanto rivelano lampi di gelide nudità, Haider Ackermann crea una narrativa nuova per Tom Ford, sussurrata, decadente e vivida. Ad accompagnare il finale, sulla buia passerella blu notte, un mare di nebbia che si riversa mentre tutti i modelli tornano a sfilare. Questo è stato di certo lo show dallo storytelling più affascinante dell’intera stagione.
2. Miu Miu FW25
In un mondo di it-girls, c’è ancora spazio per chi sogna di sovrapporre altre epoche alla nostra. Per lo show di marzo, Miuccia Prada apre l’armadio delle nonne e ne estrae un’epoca intera. Cappotti pastello usurati dal tempo, spille che brillano come ricordi dimenticati, reggiseni conici e pellicce d’antan: tutto un arsenale di pezzi nostalgici che, alla stravaganza del passato, aggiungono una serietà austera tutta contemporanea. Le ragazze Miu Miu camminano come se avessero rubato l’eleganza degli anni ’20 e l’ugly chic dei ’90, mescolando noncuranza e civetteria. È un inverno dolce-amaro, dove la nostalgia diventa una ribellione quasi aggressiva e l’apparente disordine dello styling ci parla di un presente che spesso fatichiamo a riconoscere.
3. Versace SS26
Lo show che sarà ricordato come uno dei più grandi “what if” della moda di questo decennio. Dario Vitale, bruscamente congedato dai nuovi padroni di Versace, aveva voluto ridefinire la sensualità di un brand che si era forse un po’ calcificato nell’eterna patina che ricopriva le glamazons di Donatella Versace. In contrasto, Vitale aveva evocato visioni forse meno immediatamente belle ma molto più vere: il letto disfatto che decorava la location, le patte aperte e i fianchi nudi rivelati dal movimento dei pepli, ma soprattutto i colori, i sordidi sentori di anni ’80 evocati con humor e ottimo occhio. Un’era che avremmo voluto veder continuare e si è interrotta troppo presto, lasciandoci la domanda su chi deciderà il futuro creativo di Versace.
4. Giorgio Armani SS26
La sfilata d’addio al leggendario designer scomparso quest’anno è stata senza dubbio un grande evento. Tenutasi nel cortile dell’Accademia di Brera, tappezzato per l’occasione da una distesa di candele accese, lo show si è aperto con look chiari che trascolorando nel verde per poi concludersi in un’esplosione di blu e di violetti. È stata l’ultima volta che una collezione firmata dalla mano di Armani ha graziato le passerelle e l’intera, vasta comunità del brand Armani, incluso uno stuolo di star di Hollywood ma anche di politici e di grandi designer del passato e del presente, si sono presentati per un tributo d’addio che non avrebbe potuto essere più solenne.
5. Willy Chavarria FW25
Tarantula è forse lo show con cui Willy Chavarria, designer già di per sé molto amato da oltre un decennio, ha forato la bolla degli insider della moda e ha reclamato a gran voce il suo posto tra i pesi massimi del settore. I look dello show, presi nel complesso, rappresentano forse il consolidamento definitivo, la cristalizzazione dell’estetica del designer americano. C’è tutto: i completi larghissimi, i colletti lunghi come machete, i drammatici rossi e neri, i fiori e i cappelli da charro, i vestiti da femme fatale ma anche lo sportswear, i tatuaggi, i rosari, le acconciature anni ’60. L’intero universo del brand ha trovato con Tarantula la sua espressione più matura e compiuta finora, un momento perfetto per segnare il nuovo capitolo che si apre per il brand.
6. Saint Laurent Homme FW25
Anthony Vaccarello ha adottato negli ultimi anni un concept molto puristico per i suoi show, con ogni collezione incentrata su uno specifico look martellato e rimartellato per decine di volte con minime variazioni. Per lo show maschile FW25, però, il classico power dressing anni ’80 con doppi-petti e spalle larghe si è colorato di un sapore deliziosamente corrotto: i completi indossati con cuissardes di pelle nera alte fino a metà coscia, i guanti di pelle, il mix di cappotti sartoriali e bomber. Era tutto molto elegante, ma anche (nemmeno troppo) vagamente perverso. Connettere la classica mise dell’uomo di potere con allusioni molto precise a una dominazione sadomasochistica, compiaciutamente algida nella sua esecuzione, ha fatto correre brividi caldi lungo più di una schiena.
7. Dior Homme SS26
Debutto assoluto di Jonathan Anderson da Dior, prima della più celebrata collezione femminile, lo show SS26 del brand è stato decisamente un forte momento per quest’annata. Non tanto perché stabiliva l’inizio di un’era, ma perché impostava un deciso cambio di marcia per l’uomo Dior. Dalle atmosfere molto contemporanee, sublimate artistico-futuristiche di Kim Jones, il campo da gioco scelto da Anderson è stato quello di una civettuola nostalgia. È vero: la collezione in sé era molto semplice nella sua proposta, ma ciò che aveva di interessante non erano, per così dire, i colori ma le sfumature. Il nuovo uomo Dior ama il grigio e l’azzurro, le giacche di tweed da professore, i jeans informali, le sneaker high-top. È un vibe da tempo libero a Oxford, una specie di fantasia collegiale che bilancia gioventù ed età adulta. Un momento che ha stabilito il mood per le stagioni a venire.
8. Martin Margiela Artisanal 2025
Dopo l’ultimo show Artisanal di John Galliano per Margiela, già finito tra i punti più eccelsi della carriera del designer britannico e della moda degli ultimi dieci, se non venti, anni, le attese erano altissime. Glenn Martens è uno dei designer del momento che ha fornito una hit dopo l’altra. Fino a quel momento, aveva singolarmente messo Y/Project sulla mappa e poi trasformato Diesel in un brand blockbuster. Occupare il posto che fu di Martin Margiela è stata la sua prima consacrazione: lo show è stato affascinante, gli abiti seducenti, le maschere del tutto aliene. Il mood portato da Martens nel brand è insieme raffinato e scabro, meno teatrale dell’istrionico Galliano e solenne come un antico palazzo diroccato ma ancora abitabile. Di sicuro l’inizio di qualcosa di grande.
9. Enfants Riches Déprimés SS26
Nonostante il suo seguito di cultisti e l’assoluto tsunami di prodotti falsificati del brand che infestano il mondo secondhand, non si parla abbastanza di Enfants Riches Déprimés il cui founder, Henry Alexander Levy, non ne sbaglia una da anni. Non c’è onestamente un designer in giro oggi che abbia una palette estetica tanto precisa e allo stesso tempo variegata quanto la sua, nessuno il cui storytelling e i cui “personaggi” non siano così chiaramente definiti. Più che un semplice racconto, in realtà, quello di Levy è una sorta di universo tascabile dove tutte le espressioni più oscure del menswear, che vanno dall’uniforme del biker a quella del soldato, dal punk all’aristocratico ottocentesco. I suoi show sono sempre tra i più perfetti della Paris Fashion Week e questo non ha fatto eccezione.
10. Bottega Veneta SS26
Quando si è saputo che Louise Trotter avrebbe sostituito Mathieu Blazy da Bottega Veneta, la sensazione è stata di relativa tranquillità. Da Carven, Trotter aveva fatto delle vere meraviglie e la sua bravura era del tutto fuori discussione. Non di meno, il Bottega Veneta di Blazy era qualcosa di meraviglioso. Che sarebbe successo? Con mano più che sicura, però, Trotter è arrivata con una collezione che ha sì segnato un cambio di passo rispetto all’era di Blazy ma che è anche stata il debutto più immediatamente solido e universalmente riconosciuto del “grande reset creativo”. L’immaginazione di Trotter è più astratta e meno libresca di quella del predecessore, ma il suo gusto sofisticato si è sposato benissimo con il mood del brand e ha promesso meraviglie per le stagioni a venire.






















































































































































