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Perchè Giorgio Armani ha cambiato il modo in cui ci vestiamo Una rivoluzione che parte da lontano

Giorgio Armani non era nel fashion business ma nell’empire business. Oggi, a distanza di cinquant’anni dall’apparizione del suo brand, diamo forse il suo influsso sulla moda per scontato, ma negli anni ’70 il suo arrivo fu come un nuovo sole che sorgeva sull’orizzonte di una moda ancorata a modelli passati, bisognosa di un interprete delle sue istanze più attuali. In breve, nel trentennio che andò dalla fine degli anni '70 all'inizio dei '90, Armani fu il più moderno e lungimirante degli stilisti, l’ultimo della sua specie quando si considera la maniera in cui disegnava, creava e gestiva in prima persona ogni singolo look delle sue numerosissime sfilate annue: quattro l’anno per la mainline eponima, altre quattro per Emporio Armani e due per Armani Privè – una mole di lavoro che s’ingrossa ancora di più pensando a tutta la vastità e alle ramificazioni del suo impero internazionale. 

Un impero che ha il suo mito fondante nella sartoria, che è stata veramente la leva che ha consentito al designer di sollevare il mondo. Nel mezzo della moltitudine dei suoi progetti e delle sue iniziative, il singolo più importante contributo che Armani ha dato alla moda è stato l’aggiornamento del classico completo sartoriale, sia quello maschile che quello femminile, e il ristabilimento di un nuovo canone per il vestire maschile che fu unicamente capace di esprimere la transizione della cultura occidentale dalla formalità degli anni ’60 e dall’esuberanza dei ’70 verso la nuova società dei consumi degli anni ’80 e ’90. La sua sartoria, che analizzeremo a breve, portò il piacere nella formalità e la formalità nel piacere, calando il sogno della moda nella vita reale e quotidiana di un mondo che stava cambiando. Ma come fece Armani a rivoluzionare la sartoria?

Perché il completo di Armani è così importante?

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Gli accademici e i teorici del vestire e della moda, ben più esperti di chi scrive, pongono come punto di partenza di molte considerazioni e analisi il rapporto fondamentale tra il corpo umano, gli abiti che lo ricoprono e lo spazio vuoto tra i due. Questo spazio vuoto è lo stesso in cui spesso si articola il significato culturale del design, dato che rappresenta il tessuto connettivo tra l’architettura del capo in sé, e i suoi materiali e la sua costruzione; e l’aspetto fisico di chi lo indossa, che di volta in volta può essere dissimulato o esposto, ristretto o allargato, appesantito o alleggerito. L’interazione tra questi tre elementi determina la capacità espressiva degli abiti e di chi li crea, oltre che la costruzione dei loro significati. E se prima di Armani il completo sartoriale maschile tendeva a coprire, strutturare e per certi versi corazzare il corpo e l’identità dell’uomo, fu proprio con lui che il completo, ammorbidendosi, abbassando il suo centro di gravità insieme ai suoi bottoni e alle sue spalle, iniziò a lavorare insieme al corpo, drappeggiarsi su di esso e, così facendo, a raccontarlo in modo nuovo. 

La rivoluzione sartoriale di Armani è iniziata con la giacca da uomo, che ha reimmaginato come un capo fluido e conforme al corpo. Nel modernizzarla, Armani ha affrontato la giacca con una mentalità radicale: rimuovendo le imbottiture delle spalle, eliminando le fodere interne, regolando la posizione dei bottoni e riconfigurando le proporzioni per creare una giacca che cadesse morbida e leggera, in una maniera che, più che rilassata, era naaturale. Questa decostruzione, mostrata per la prima volta nella sua collezione uomo del 1975, si ispirava alla tradizione sartoriale napoletana, che privilegiava costruzioni più leggere, e alla semplicità dei kimono giapponesi, che enfatizzavano il drappeggio naturale. In modo cruciale, questa rivoluzione della giacca (ma anche del pantalone) rispecchiava non solo un’epoca di rinnovata mobilità sociale, ma anche una nuova cultura in cui il successo materiale e finanziario non corrispondeva più a un ruolo sociale definito: chi era elegante poteva vestire semplicemente, chi era semplice poteva vestire elegantemente.

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La scelta di Armani di utilizzare tessuti fini e lussuosi come lane morbide, velluti e pelli, ha permesso tagli precisi che mantenevano l'eleganza pur consentendo la produzione di massa. Quando portò i suoi blouson di pelle alla Sala Bianca di Firenze, per la stagione 1973–1974, ciò che colpì la critica fu la leggerezza del loro materiale, solitamente rigido e spesso. Una rimozione della rigidità che divenne poi il nodo-chiave di un lavoro su proporzioni e costruzioni che, negli anni ’80, ai tempi della power suit, portò a spalle più ampie e revers più larghi, evocando una certa sartoria anni '40 tipica del cinema (Armani non li ha mai citati, ma i completi con cui Fred Astaire e Gene Kelly danzavano sullo schermo consentivano la stessa mobilità di una tuta, nonostante il loro taglio precissisimo) che però in più possedeva una certa morbidezza che divenne la sua firma. Il suo completo "The Natural" presentato per la collezione portò ulteriori cambiamenti: un design a tre bottoni, con revers alti e spalle strette che si drappeggiava in modo molto naturale, come da titolo. 

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I suoi aggiornamenti includevano anche la scalabilità: la partnership con GFT nel 1978 gli ha permesso di produrre capi di lusso prêt-à-porter in volumi elevati, rendendo i suoi design accessibili alla classe media che desiderava la sofisticazione dell'alta moda ma non poteva permettersela. Questa democratizzazione dello stile, combinata con il suo approccio minimalista, ha reso i completi di Armani un elemento essenziale per i professionisti in tutto il mondo, da Milano a New York. Negli anni '80, i suoi completi di potere divennero sinonimo del boom economico: più che il guardaroba di Richard Gere in American Gigolò, che fu un vero reset culturale, troviamo più indicativo dei cambiamenti del costume il fatto che nella leggendaria serie Miami Vice, Don Johnson indossò per la prima volta (se non la prima, di certo la più rilevante) un completo di sartoria con una t-shirt bianca. Il completo era ovviamente di Armani e, nella serie, parlava benissimo di quell’edonismo e quel senso di moderna opulenza tipico degli anni ’80.

Emporio Armani e l’idea di una moda democratica

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Ai tempi della sua nascita, in effetti, Emporio Armani significò molto per la moda giovanile italiana: il primo negozio aprì nel 1981 in Via Durini a Milano, a due passi da quella San Babila che sarebbe diventata la culla dei paninari ma soprattutto degli yuppie, le due prime subculture giovanili italiane. Il dato è importantissimo in quanto gli yuppie rappresentarono la prima generazione di italiani che assegnò alla moda e al lusso il compito di definire la propria identità, con un netto stacco dal rigore di una tradizione fatta di una sartoria che spesso si riduceva a monotona uniforme borghese. 

Armani aveva intuito che quei giovani sarebbero stati tutti suoi clienti se fosse riuscito a concepire un lusso alla mano ma elevato - il successo di Emporio Armani fu planetario. Se le campagne e gli editoriali dedicati alla mainline di Giorgio Armani rappresentavano un lusso più classico, ma sempre contraddistinto dalla tipica morbidezza e dal minimalismo dei completi del designer, lo storytelling che portò Emporio nella coscienza collettiva fu diverso: tramite la lente del leggendario fotografo Aldo Fallai, i poster e le campagne del brand proposero una nuova, eclettica estetica che anticipò di anni molti elementi dello stile di oggi, tanto da essere capi molto ricercati per gli appassionati d’archivio: le costruzioni funzionali, i tagli puliti e le proporzioni sono ancora oggi qualcosa di assolutamente moderno.

Parlando con System Magazine nell’aprile del 2014, Armani raccontò di Emporio e delle foto di Aldo Fallai: «I modelli dovevano essere naturali, puliti ed espressivi. Volevo volti che dimostrassero sveltezza di pensiero e caratteri solidi. Per molti anni gli abiti erano stati costruiti con stoffe rigide che inscatolavano il corpo. Io preferivo naturalezza, nonchalanche, piccoli difetti - ed è per questo che ho scelto stoffe e materiali soffici che potessero carezzare il corpo come niente era riuscito a carezzarlo dai tempi della rivoluzione industriale. Era una nuova sensibilità che andava oltre lo stereotipo dell’uomo tutto muscoli perché rivelava un senso di rigore e precisione che non intaccava la sensualità maschile».

Armani e il nuovo mondo del womanswear

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Ovviamente Armani estese il suo approccio decostruito all'abbigliamento femminile, rispondendo alle esigenze delle donne che entravano nei ruoli professionali negli anni '60 e '70. L'abbigliamento all’epoca tradizionale per le donne, fatto di abiti rigidi o un po’ baroccheggianti, era troppo antiquato e troppo frivolo per esprimere la professionalità di una generazione di donne che finalmente si affacciava nel mercato del lavoro intendendo dare prova di se stessa. Per questo, Armani adattò i design delle sue giacche maschili, creando le famose power suits che una donna poteva indossare senza caderci dentro (ci si passi l’espressione) ma esprimendo un senso di serietà e un gusto comunque femminile. Non un costume, insomma, ma un nuovo modo di vestire per un nuovo modo di essere

Introdotte già con il debutto della linea femminile nel 1976, queste giacche erano sempre sfoderate e rilassate, ma erano modellate per valorizzare la forma femminile. Ha utilizzato tessuti morbidi e sontuosi come seta, velluto e raso, privilegiando linee pulite rispetto a decorazioni pesanti. «Mi sono reso conto che avevano bisogno di un modo di vestirsi equivalente a quello degli uomini», disse una volta. «Qualcosa che desse loro dignità nella loro vita lavorativa». Le innovazioni sartoriali di Armani erano sia tecniche che estetiche. Ha aperto la strada all'uso di tessuti leggeri e di alta qualità. La rimozione di fodere e imbottiture riduceva peso e volume, migliorando comfort e movimento, specialmente per i completi in velluto, uno dei best-seller dell’epoca. Ha anche sperimentato con la disposizione dei bottoni, spesso abbassandoli o riposizionandoli per creare una silhouette più rilassata, e ha regolato la larghezza dei revers per bilanciare dinamicamente le proporzioni. Queste modifiche tecniche rendevano le sue giacche adattabili a entrambi i generi, sfumando i confini sartoriali tradizionali e allineandosi ai cambiamenti delle norme di genere dell'epoca. 

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Armani ha alterato questo paradigma «addolcendo l'immagine degli uomini e indurendo quella delle donne», come lui stesso affermò. La sua collezione femminile del 1978, con giacche leggermente lucide abbinate a gonne a strati, ha segnato questo cambiamento – per chi non la ricordasse, Diane Keaton ne indossò una agli Oscar del 1978. Negli anni '80, l'introduzione di spalle più ampie e revers più larghi per le donne rispecchiava il glamour androgino degli anni '40, allineandosi con l'empowerment economico e sociale dell'epoca. L'uso di colori neutri eliminava la necessità di motivi ostentati, enfatizzando la fiducia attraverso la semplicità. Questo era in netto contrasto con le tendenze colorate e decorative degli anni '80 tanto che tre dei suoi completi, quelli di Diane Keaton agli Oscar 1978, di Julia Roberts ai Golden Globes 1990 e di Jodie Foster agli Oscar 1992, segnarono la fine dell’epoca delle paillettes e dei pizzi che oggi associamo alla campiness di Elizabeth Taylor e di Joan Collins in Dallas, per fare due esempi. 

Come costruire un impero

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Dire che Armani è stato il primo vero brand di moda a espandersi nel lifestyle in modo plausibile non è del tutto accurato, poiché predecessori come Chanel, Yves Saint Laurent e Pierre Cardin avevano già aperto la strada al branding lifestyle in modi diversi. Lo stesso Ralph Lauren aveva creato una linea per la casa nel 1983 e Versace nel 1992. Ma Armani è quello che lo fece con maggior ambizione, coerenza estetica e controllo creativo. La sua capacità di mantenere un'identità minimalista e sofisticata attraverso abbigliamento, profumi, arredamento, ospitalità e persino fioristica rimase unica per la sua epoca, specialmente tra i marchi italiani. A differenza di Pierre Cardin o di Yves Saint Laurent, la cui strategia di licensing spesso diluiva il marchio (pensiamo alle sigarette brandizzate in licenza da Saint Laurent) Armani ha sempre mantenuto un controllo totale, rendendo la sua espansione più "plausibile" in termini di qualità e visione.

Inoltre, Armani è stato tra i primi a portare il concetto di lifestyle brand a una scala globale, con una forte presenza in mercati come l'Asia e una significativa influenza culturale attraverso Hollywood. La sua mossa nell'ospitalità con l'Armani Hotel Dubai è stata particolarmente innovativa, distinguendolo da molti contemporanei che si sono limitati a categorie più tradizionali come profumi e accessori. Con il lancio di linee come Armani Casa nel 2000 e con l'Armani Hotel Dubai, Armani ha creato un universo coerente che ha ridefinito il concetto di lifestyle brand, distinguendosi per il controllo creativo e la portata globale, ponendo Milano al centro della moda mondiale.