
La moda nel mirino della procura di Milano per le accuse di sfruttamento Tredici brand sono stati chiamati a provare la loro innocenza
Tredici maison e brand dovranno dimostrare alla procura di Milano che nelle loro strutture di produzione italiane non c'è sfruttamento. Gucci, Prada, Versace, Saint Laurent, Givenchy, Dolce&Gabbana, Alexander McQueen, Off‑White™, adidas, Ferragamo, Missoni e Coccinelle dovranno condividere tutti i documenti relativi alle procedure interne dell'azienda e alla selezione dei fornitori, alle ispezioni rispetto alle norme sul lavoro per la sicurezza, insieme ai contratti di fornitura e i verbali interni degli ultimi tre anni. La richiesta risponde alle notizie emerse egli ultimi due anni riguardo alle condizioni dei lavoratori negli opifici italiani, specialmente nel distretto tessile di Prato, che come ha sottolineato anche la procura è il vero soggetto sotto i riflettori in questa vicenda.
Piccole aziende in appalto
A finire sotto il mirino della procura ci sono aziende di piccole e medie dimensioni che producono accessori e capi di abbigliamento in appalto o subappalto per conto di brand di lusso. Nella primavera del 2024, per esempio, il Tribunale di Milano aveva messo sotto inchiesta le aziende Alviero Martini srl, Giorgio Armani Operations srl e Manufactures Dior srl perchè erano state collegate a una rete di fabbriche in cui gli operai erano soggetti a sfruttamento, uno scandalo che aveva ferito profondamente la reputazione delle firme - e del Made in Italy. L'ultimo brand coinvolto è stato il Gruppo Tod's, sotto indagine proprio in questi giorni per caporalato.
Perchè la filiera esterna è un rischio per il Made in Italy
I segmenti di filiera esterni sono difficili da controllare per le maison, ma estremamente utili per una produzione rapida; caratteristica che, purtroppo, ormai anche il lusso va cercando. Sono in un certo senso il motivo per cui, lo scorso ottobre, il Ministro del Made in Italy Adolfo Urso ha annunciato uno stato di emergenza per il settore. Le illegalità di filiera stanno intaccando sempre più brand, una situazione che mette a repentaglio l'artigianato italiano in un periodo in cui il fast e l'ultra fast fashion, invece, stanno spingendo l'acceleratore in Europa, motivati dai dazi di Trump in America.
Paolo Storari e il ruolo dei brand
L'indagine, già di forte impatto mediatico a causa del coinvolgimento di alcuni dei più grandi nomi del lusso a livello internazionale, sta trovando terreno fertile nelle chiacchiere pubbliche anche grazie alla figura di Paolo Storari, procuratore protagonista delle inchieste nella filiera del lusso degli ultimi anni. Il suo approccio, particolare perché attribuisce una responsabilità anche ai marchi committenti e non solo alle fabbriche a cui si affidano, è persino stato battezzato con il nome di metodo Storari, già criticato da diversi giuristi che ritengono che la magistratura non debba avere nessun compito morale.
Cosa succederà
Finora solo il Gruppo Tod's è stato formalmente indagato, accusato di sfruttamento e caporalato nella manodopera cinese impiegata da fornitori esterni, mentre precedentemente le aziende di moda erano solo in amministrazione giudiziaria - il che non interrompeva la produzione. Ai tredici marchi a cui si rivolge ora la Procura di Milano ora non resta che consegnare le carte e attendere che vengano ispezionate dagli inquirenti, che dovranno verificare che questi nomi del lusso - che così spesso vantano le loro creazioni artigianali e italiane - si siano assicurati che gli organi della loro catena produttiva siano sicuri, legali e trasparenti.
Takeaways
- 13 maison indagate devono dimostrare di non avere sfruttamento nella filiera italiana, consegnando alla Procura di Milano documenti su procedure interne, selezione fornitori, ispezioni e contratti degli ultimi tre anni.
- Sotto accusa ci sono piccole e medie aziende in appalto, già coinvolte in casi di sfruttamento che hanno danneggiato la reputazione del Made in Italy; l’ultimo caso riguarda il Gruppo Tod’s.
- La filiera esterna è difficile da controllare ma utile per la produzione rapida, e le sue zone d’ombra stanno minacciando l’artigianato italiano mentre il fast fashion accelera in Europa.
- Il procuratore Paolo Storari è centrale nell’inchiesta, con un metodo che attribuisce responsabilità anche ai brand committenti, suscitando un forte dibattito giuridico e mediatico.
- Ora i 13 brand devono consegnare i documenti richiesti, mentre gli inquirenti verificheranno se le maison hanno davvero garantito una filiera sicura, legale e trasparente; al momento solo Tod’s risulta formalmente indagata.












































