Gucci sperimenterà davvero la sfilata see-now-buy-now? Siamo ancora nel reame dei rumor, ma l’ipotesi sembra assai plausibile
Qualche anno fa, durante gli idealistici momenti della pandemia in cui molti designer sognavano una moda diversa e più gestibile, era comparsa per la prima volta la menzione del format see-now-buy-now. Il format era in realtà più vecchio di così: la sua prima apparizione nella bolla del lusso fu nel 2016, anno in cui Giorgio Armani definì «prematuro» l’entusiasmo di chi lo invocava; e in cui diversi proprietari di brand come Dolce&Gabbana, Diego Della Valle e i CEO di Thom Browne e Diane von Frustenberg lo bocciarono mentre diversi altri brand, Burberry in testa, iniziarono a sperimentarlo. Nel tempo gli animi si sono ammorbiditi: Jacquemus ha sperimentato il see-now-buy-now con un certo successo dal 2021, Zegna ne ha sperimentato una versione “light” con alcuni dei capi del suo ultimo show messi in vendita ai VIC ma soprattutto Balenciaga sotto Demna lo ha sperimentato nello stesso arco temporale conclusosi nel 2022 circa. Proprio Demna, però, potrebbe farlo rivivere: secondo MF Fashion, infatti, Gucci starebbe valutando di re-introdurre il format per il debutto di Demna, portando immediatamente la collezione in cinquanta boutique in tutto il mondo e, si presume, anche online. La mossa è anti-convenzionale ma assai plausibile: furono i ritardi nella produzione e le tempistiche semestrali di consegna che ritardarono, ai tempi di Sabato De Sarno, il dispiegamento dei nuovi prodotti nei negozi infliggendo un colpo tremendo alle vendite e adesso il duo formato da Stefano Cantino, nuovo CEO, e la mega-manager della moda di Kering, Francesca Bellettini, vuole evitare inutili attese, probabilmente cavalcando la prima ondata d’entusiasmo post-sfilata. Ma funzionerà?
Si sa che i problemi hanno il brutto vizio di presentarsi in compagnia. Alla poco desiderabile situazione delle vendite di Gucci post-Alessandro Michele (a onor del vero, avevano iniziato a rallentare anche negli ultimi tempi di regno del direttore creativo romano) che ha visto un anno di sede vacante seguito da un rilancio vittima di mille rallentamenti, sono andati accumulandosi la crisi globale del lusso, tensioni geopolitiche, investimenti aggressivi in Valentino e poi nell’immobiliare e in agenzie hollywoodiane, cambi di direttore creativo negli altri brand che hanno messo Kering in forte difficoltà. L’anno scorso si è concluso per Kering con un debito da 10,5 miliardi di euro – per capire l’entità di questa cifra, basti sapere che è accostabile a quella del debito pubblico di paesi come Malta o l’Albania. Bisogna anche fare conto che prima del 2021 il debito era quasi nullo, e dunque a creare problemi sono state anche le molte e costose acquisizioni milionarie e miliardarie della CAA, di Creed, di palazzi in giro per il mondo e via dicendo. Sono arrivate diverse soluzioni come una partnership immobiliare per provare a scorporare il debito e iniettare liquidità e la vendita di altre proprietà di prestigio – ma sono state come cerotti per un’emorragia. Questi e altri investimenti erano stati fatti, come spiegava Reuters a maggio, nel tentativo di ridurre la dipendenza del gruppo da Gucci, che a un certo punto rappresentava quasi la metà di tutte le vendite, facendo sì che la grande struttura di Kering poggiasse quasi su una singola gamba. Eppure adesso una ripresa di Gucci sembra l’unica strada pensabile per evitare un ulteriore calo nel valore delle azioni. Serve capire se il format see-now-buy-now funzionerà.
@nssmagazine With Demna in charge, Gucci is set for a bold change. It's a big risk, and the brand's future depends on one thing: real brand authority. This next chapter has to be a masterpiece, no compromises. Let's take a look back at when Gucci presented its collaboration with Balenciaga. #gucci #balenciaga #hacker #hacking #guccixbalenciaga #balenciagaxgucci #fashiontiktok #TikTokFashion #demna #demnagvasalia #alessandromichele cigarette burns - slowed reverb - moonvampire
Già nel 2023 il format aveva iniziato a suscitare qualche sfiducia. Come si legge in un articolo dell’epoca di WWD, il modello aveva aver perso slancio e veniva usato in modo sempre più strategico e selettivo. Il problema principale erano le difficoltà logistiche nei tempi di produzione, nella pianificazione del marketing e nella gestione delle scorte: un’impresa tutt’altro che semplice che indusse quasi tutti ad abbandonare il format dopo qualche stagione. Secondo Launchmetrics, sfilare durante le principali settimane della moda rimane ancora estremamente vantaggioso per i brand. Durante questi eventi, i marchi registrano in media fino a quattro volte più copertura mediatica rispetto ai mesi fuori calendario con EMV al rialzo fino al 180% nei mesi delle fashion week. Al contrario, i contenuti legati al see-now-buy-now erano meno entusiasmanti: solo l’1% del valore mediatico della sfilata Mugler e lo 0,2% di quella di Jacquemus derivano da keyword collegate al format. Il pubblico, insomma, è ancora attratto dallo spettacolo della passerella, ma meno interessato alla possibilità di acquistare subito. Parlando con WWD, rappresentati di grandi magazzini come Rinascente o Macy’s consideravano il modello valido, ma solo se supportato da solide campagne marketing e con legami a eventi culturali di rilievo e quando la presentazione alla stampa e la disponibilità per il pubblico sono strettamente sincronizzate. Più di successo è stata la strategia di Tommy Hilfiger, che ha trasformato il format in una strategia globale continua. Invece di basarsi solo sulle sfilate, il marchio integra il see-now-buy-now in ogni touchpoint: dalle collaborazioni con la Formula 1 alle capsule collection lanciate durante eventi internazionali. Insomma, il trucco potrebbe in effetti funzionare se eseguito con moderazione e soprattutto con una pianificazione ineccepibile – e speriamo lo faccia, perché in ballo c’è molto più che il successo di una singola stagione ma la sopravvivenza di un intero gruppo industriale del lusso.