
Anche Checco Zalone ha fatto cilecca Ma magari con Buen Camino, in sala dal 25 dicembre, una risata riesce a strapparvela
Per quasi dieci anni Checco Zalone ha saputo rappresentare una gran fetta della nostra Italia. Il passato è usato con cognizione di causa, perché il suo nuovo film Buen Camino, arrivato cinque anni dopo il campione di incassi Tolo Tolo (48 milioni al botteghino), è fuori tempo massimo rispetto alla puntualità con cui per tanti anni il comico pugliese ha saputo criticare la realtà bigotta tutta nostrana.
I successi di Checco Zalone
Checco Zalone: percula il vittimismo dell’uomo medio semianalfabeta che vuole rimanere ancorato ai ruoli di genere
— Marta (@DlORDEPP) March 8, 2025
gli incel fasci e misogininazzi: AHAAHAH GRANDE KEKKO SUCATE FEMMINISTE1!1!1 MAALOX PER I SINISTRATI PIDIOTI1!1!1! pic.twitter.com/ek4FRUmKaE
Una maschera, quella del suo stesso Checco, che si è fatta bandiera del nazional-popolare, dando un colpo al cerchio mentre conquistava il più largo pubblico che la sala cinematografica moderna nel Bel paese avesse mai visto, e un altro alla botte mentre riusciva a parlare a un numero talmente vasto di spettatori da sperare di colpire e mandare un messaggio anche a coloro che con i suoi film prendeva miratamene in giro.
Ci vuole inoltre una certa disonestà a non ammettere che, nel racconto degli usi e i costumi dell’Italia dal 2009 in poi, Zalone sia riuscito a raggiungere alcune vette che potrebbero far rientrare opere come Quo Vado? tra le commedie che più hanno descritto il tessuto sociale e culturale da cui si stava sia attingendo che, in contemporanea, parlando. Una pellicola che non stupirebbe essere inserita in un contenitore di studi per descrivere l’Italia del posto fisso e delle sue idiosincrasie, punto più alto della carriera del Luca Medici in arte Checco Zalone, altro incasso da capogiro per il box-office italiano con 45 milioni di euro guadagnati.
Ma ciò che funzionava anche solo qualche anno fa, con Tolo Tolo il quale, già rispetto ai precedenti, aveva fatto storcere leggermente il naso agli affezionati di Checco, non è più applicabile ai tempi che si stanno correndo. E non per la scorrettezza del personaggio, per le battute su Gaza, su Schindler's List o l’11 settembre, ma per una scrittura che sembra provenire dalla stessa parentesi dei titoli precedenti, come se non si fosse accorta che si è andati avanti con gli anni.
Buen Camino: trama e personaggi
Checco Zalone in Buen Camino non è più un personaggio della classe proletaria (che non voleva lavorare), ma diventa un ricco senza desiderio di impegnarsi e che campa di rendita protetto dai sessant’anni di attività del padre. Un privilegio su cui non sa essere abbastanza cattivo, limitandosi ad un’imitazione (anche questa anacronistica) di un generico Gianluca Vacchi con annessi colf impegnati in balletti imbarazzanti, rimanendo in superficie nella scalfittura di una figura su cui si sarebbe potuto sbizzarrire e andare altrettanto pesante più di quanto è stato fatto, usando il suo status solo come contrasto con lo sfondo scelto del cammino di Santiago.
Percorso che il protagonista intraprende per ritrovare la figlia Cristal che ha deciso di avventurarsi in un’esperienza spirituale per liberarsi da tutti i suoi averi, ricercando qualcosa di autentico e, con l’arrivo del padre, persino un nuovo rapporto inaspettato col genitore. Se per Zalone la drammaturgia è la cosa principale, sarebbe da domandare come mai quella di Buen Camino sia così sciatta, sfilacciata e precipitosa, non resa coesa nemmeno dalla regia di Gennaro Nunziante, di ritorno in collaborazione col comico dopo la pausa con Tolo Tolo, per un’opera allo sbaraglio quando si giunge al finale.
Ma peggio ancora sono i ritmi comici a cui non sembra più stare dietro Checco Zalone, le cui battute sono talmente apparecchiate che quando arrivano non possono far così ridere perché prive di spontaneità. Qualcosa che appartiene in maniera naturale al Luca Medici che presenta Buen Camino a Roma, molto più del suo alter ego cinematografico.
È arrivato il momento di dire addio a Checco Zalone?
E che mostra come forse i tempi siano maturi non per demolire il Checco nazionale, ma per trasformarlo. Convincere Zalone a collaborare con un altro regista, persino di cedere la scrittura e dedicarsi all’interpretazione lasciando prendere in mano la situazione ad altri o, almeno, lasciarsi affiancare da qualche penna frizzante, attuale e, perché no, giovane.
Di recitare senza concedersi smorfie o macchiette, che è vero che sono le stesse con cui abbiamo iniziato a voler bene al suo Checco, ma se è stato in grado di crescere e cambiare in ognuna delle versioni dei film a partire dal 2009 in cui si è presentato, perché non dovrebbe farlo anche lui inteso come sagoma comun denominatrice di questi quindici e più anni di carriera? Sarebbe bello ritrovare il personaggio in questa veste inattesa. Per adesso, però, tocca accontentarsi di incontrarlo sul Buen Camino.













































