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Il pubblico è stufo di serie e film sui ricchi Un mercato saturo, sullo schermo e non

Siamo stanchi dei film e le serie tv sui ricchi. Con la chiusura di Succession, arrivato alla sua quarta ed ultima stagione nel 2023, si è come concluso un ciclo che non abbiamo dubbi avrà una sua ripresa tra qualche anno, ma che attualmente risulta quanto mai indigesto. È paradossalmente un’opera del creatore dello show cult ad esserne stata la prova. Rilasciato solo su HBO e Max, a fine maggio è uscito Mountainhead, film per la televisione scritto e diretto da Jesse Armstrong che racconta la storia di quattro magnati dell’high-tech isolati in un’opulenta casa tra le cime innevate dello Utah e che osservano dalla sontuosa dimora la guerra mondiale che hanno messo in atto. Tra i protagonisti - interpretati da Steve Carell, Jason Schwartzman, Cory Michael Smith e Ramy Youssef - figurano proprietari e inventori di app in grado di rendere i deepfake più reali del reale e che utilizzano le intelligenze artificiali per ingannare e ribaltare il mondo. Mentre la critica statunitense ha lodato la cattiveria e la lotta intestina insita tra le mura della casa ribattezzata col nome del titolo (in riferimento al romanzo del ’43, The Fountainhead, in cui la Ayn Rand teorizza la supremazia della visione individualista da parte del suo protagonista a sfavore del collettivismo), il pubblico ha rigettato Mountainhead senza pensarci due volte.

Il giudizio di Mountainhead su Rotten Tomatoes è lapidario: a fronte della “freschezza” al 74% dei critici, gli spettatori hanno risposto con un impietoso 27%. Di certo il film non ha il piglio e la tragedia shakespeariana della precedente Succession, e non si può dire che Armstrong abbia trovato un prodotto con cui superare se stesso dopo la sua magnum opus, ma è pur vero che rimane un’operazione coerente con le sue corde, che provoca una riflessione crudele e immediata con cui chiunque di noi oggi deve fare i conti quando si tratta di fake news e comunicazione contemporanea. Un interrogarsi sulla veridicità di un mondo digitale sempre più condizionato da video e riprese che possono sembrare autentiche, finendo persino per scatenare delle guerre, ma che non ha attecchito su un pubblico che, forse, nel vedere il collasso non solo mondiale a cui assistono i quattro protagonisti, ma al graduale inasprimento del loro gruppo, non può che gioire nel vederli sprofondare insieme. 

Un piacere che non è sadico, che non gode delle sofferenze altrui, ma che è sempre più riconducibile alla frattura che nel mondo reale, quello al di fuori dagli schermi (che siano i classici cinematografici o quelli dei nostri iPhone), si sta generando tra la spartizione dei beni tra la popolazione e la sua casta di super ricchissimi. Di gente che noleggia intere città per passare i giorni del proprio matrimonio, invitando ancora più ricchi a parteciparvi, mentre i prezzi degli affitti dei monolocali per i comuni mortali sono arrivati alle stelle. Forse opere come Mountainhead non attecchiscono al tessuto dell’oggi perché l’oggi che stiamo vivendo è molto più performativo e intrattenente (anche in negativo) di quanto fu al tempo Succession. I super ricchi non invadono più solo le nostre serie, ma sono diventati le nostre serie. I tre giorni di matrimonio di Jeff Bezos sono stati un appuntamento da cui, nolenti o dolenti, non ci si poteva sottrarre. Dall’arrivo degli ospiti (con delusione da parte della partecipazione dell’attivista ambientale Leonardo DiCaprio), all’attesa del vestito da sposa di Lauren Sánchez, fino alle contestazioni e alla ribellione cittadina contro l’evento, dai maxi-striscioni «Se puoi affittare Venezia per il tuo matrimonio, puoi pagare più tasse» di Greenpeace Italia in piazza San Marco alle scritte «No Space for Bezos» proiettate sul campanile del centro.

Stiamo già osservando ogni giorno la messa in onda della serie televisiva sui miliardari e le loro follie quotidiane, sulle loro litigate sui social, i viaggi spaziali in nome del femminismo al canto di What a Wonderful World (così ha gorgogliato Katy Perry durante il volo Blue Origin), con anche plot twist drammatici in odore di future trasposizioni cinematografiche - vedi le sorti del sommergibile Titanic con ricchi morti in mare per andare a vedere i resti di altri ricchi morti in mare. Il più delle volte, tale assurdità, ci troviamo persino a viverla, mentre nessuno ha chiesto il nostro consenso. Una tendenza che, post-nozze del magnate di Amazon, non può che sentire risuonare ancora di più il vecchio slogan rousseauiano «Eat the Ritch», sulla scia di un 2024 che si era concluso con il colpo sparato in testa da Luigi Mangione al CEO della compagnia assicurativa UnitedHealthcare, Brian Thompson, e che apre a un sequel del tutto in divenire da qui ai prossimi anni, e che si augura sia meglio di quello vissuto col ritorno di Donald Trump alla Casa bianca. 

In quest’aria di messa alla berlina dell’establishment più che benestante, dei magnati e i loro capricci, nonché di uno stato di ansia tra guerre sul punto di partire e genocidi di cui non si vede la fine, il pubblico si è forse stancato di  aspirare a un determinato tipo di personaggi o, al contrario, anche solo criticarli, troppo delusi dalla realtà che ci circonda e impossibilitati a empatizzare con i problemi. Anche una serie come Sirens su Netflix, altro show su cene di beneficenza, ville imbiancate e inviti che arrivano solamente a partire da un certo ISEE in su, pur con una star come Julianne Moore non ha saputo gratificare il pubblico né sul versante benessere, né su quello del suo smantellamento del personaggio di Meghann Fahy. Ciò in cui forse è riuscito un altro show: L’estate dei segreti perduti. Paradossalmente, nonostante spinga sulla carica romance per compiacere un pubblico teen, la serie fa anche una riflessione sulla lotta di classe che prende addirittura il via dalla cerchia più alta. Uno show dove i protagonisti sono tutti biondi e ricchissimi, tanto da passare la stagione più calda dell’anno sulla loro isola privata, con un epilogo che sicuramente serve più ad alimentare il drama. Chissà, dunque, se i tempi dei resort alla The White Lotus sono già finiti, se non sono più necessari ritiri spirituali (e ultra-costosi) alla Nine Perfect Strangers - visto che, per l’appunto, della seconda stagione su Prime Video della serie con Nicole Kidman non ne ha parlato nessuno. Anche se, ne siamo sicuri, dell’arredamento shabby chic o non ostentatamente costoso eppure per nulla low budget del resto delle serie che ci arrivano - che siano su dei ricchi o meno e che fanno comunque domandare come si riescano a permettere quelle case - è probabile non riusciremo mai a liberarci. Almeno non nell’immediato, ma è pur vero che bisogna saper fare un passo alla volta.