FUORIMODA REVIEWS – La prima piattaforma online per recensire i fashion show

FUORIMODA REVIEWS – La prima piattaforma online per recensire i fashion show

FUORIMODA REVIEWS – La prima piattaforma online per recensire i fashion show

FUORIMODA REVIEWS – La prima piattaforma online per recensire i fashion show

FUORIMODA REVIEWS – La prima piattaforma online per recensire i fashion show

FUORIMODA REVIEWS – La prima piattaforma online per recensire i fashion show

FUORIMODA REVIEWS – La prima piattaforma online per recensire i fashion show

FUORIMODA REVIEWS – La prima piattaforma online per recensire i fashion show

FUORIMODA REVIEWS – La prima piattaforma online per recensire i fashion show

FUORIMODA REVIEWS – La prima piattaforma online per recensire i fashion show

FUORIMODA REVIEWS – La prima piattaforma online per recensire i fashion show

FUORIMODA REVIEWS – La prima piattaforma online per recensire i fashion show

FUORIMODA REVIEWS – La prima piattaforma online per recensire i fashion show

FUORIMODA REVIEWS – La prima piattaforma online per recensire i fashion show

FUORIMODA REVIEWS – La prima piattaforma online per recensire i fashion show

FUORIMODA REVIEWS – La prima piattaforma online per recensire i fashion show

FUORIMODA REVIEWS – La prima piattaforma online per recensire i fashion show

FUORIMODA REVIEWS – La prima piattaforma online per recensire i fashion show

FUORIMODA REVIEWS – La prima piattaforma online per recensire i fashion show

FUORIMODA REVIEWS – La prima piattaforma online per recensire i fashion show

Anatomia del successo di JW Anderson Ripercorriamo la storia dell'alchimista della moda

Jonathan William Anderson non sbaglia un colpo. Con il fashion month alle porte, tra debutti attesissimi e altri enormi punti interrogativi — Trotter da Bottega Veneta, Piccioli da Balenciaga, Belotti da Jil Sander — l’unico che sembra avere un posto fisso nell’Olimpo, meritatamente, è lui. Vale la pena capire perché, ripercorrendo la sua storia, i passaggi chiave e la filosofia che lo hanno reso il prototipo perfetto del direttore creativo nell’era della moda come intrattenimento.

Irlandese, classe 1984, cresce nell’Irlanda del Nord segnata dalle tensioni civili, con un fortissimo desiderio di estraniarsi e volare lontano con la mente. Due elementi lo formano fin dall’inizio. Il primo riguarda la famiglia e le scelte da giovanissimo: il padre era un importante giocatore di rugby, lui invece sceglie il teatro. Due mondi che impongono disciplina e lavoro corale, qualità che diventeranno centrali nella sua carriera. Il secondo elemento è l’incontro con Manuela Pavesi, fotografa e fashion coordinator di Prada che diventa una vera mentore: lo supporta, lo guida e lo spinge a iscriversi al London College of Fashion, dove si forma come designer.

Nel 2008 debutta con la prima collezione JW Anderson. Da lì la crescita è rapida: nel 2012 LVMH investe nel marchio omonimo, dandogli struttura e solidità, e nel 2013 viene nominato creative director di Loewe. In pochi anni trasforma la storica, e all’ora immobile, maison spagnola di pelletteria in una delle realtà più interessanti del gruppo, grazie a un equilibrio perfetto tra artigianalità e cultura. Parallelamente porta avanti il proprio brand, che oggi non è più solo moda ma un vero laboratorio lifestyle.

Anderson è considerato uno dei designer più brillanti del nostro tempo. Da millennial ha capito che gli strumenti tecnologici vanno dominati e usati per dialogare con l’appetito del consumatore, senza però farsi travolgere dai trend. Le sue collezioni non seguono mai un unico binario, esattamente come le nostre vite on-life. Conoscitore, collezionista e studioso d’arte contemporanea, si muove come un curatore. La sua mostra Disobedient Bodies al Hepworth Wakefield nel 2017 ne è la prova: un percorso che metteva in dialogo sculture e opere d’arte con capi d’avanguardia dal suo archivio e dalla collezione del museo, riflettendo sul rapporto tra corpo, moda e forma.

@loewe This was 100% @ayo’s idea and you cannot tell us otherwise. #AmbikaMod #MurrayBartlett #LOEWE original sound - LOEWE

Le collezioni di Anderson funzionano come un pomeriggio passato a scrollare sulle piattaforme: mai un unico discorso, ma tanti frammenti. Mini capsule che raccontano stimoli diversi e che insieme compongono un caos ordinato, capace ancora di divertire. E quanto manca, oggi, il divertimento in questo mondo? Celebrity e attori front row alimentano la tensione dello show da parte di chi non si interessa di abiti, mentre installazioni come quella di Lara Favaretto per la FW24 di Loewe — che, oltre a sottolineare un gusto raffinatissimo, amplificano il suo status da creativo e il rispetto della sfera artistica - dimostrano la sua capacità di muoversi con naturalezza nel mondo dell’arte.

Questi dualismi sono la sintesi del nostro tempo: onnivoro e apparentemente coerente. Un approccio ribadito anche nella sua sfilata per Loewe SS25, con la scultura di un piccolo uccello bronzeo di Tracey Emin al centro della passerella, che suggeriva uno sguardo dall'alto, Anderson ha presentato una serie di archetipi riconoscibili — dalla gonna a cerchio floreale alle t-shirt piumate con Mozart e Van Gogh come richiamo al mondo merch — spiegando il suo approccio con le parole: «Putting out ideas, like archetypes that you believe in». Esattamente lo stesso metodo che ha portato al debutto con Dior Homme e che alimenta le sue incursioni nel cinema iniziata con Challengers insieme a Luca Guadagnino: la moda come sceneggiatura più che come sola produzione di abiti. 

In un sistema che ha esaurito codici e si rifugia nei micro trend, l'atteggiamento curatoriale di Anderson diventa una chiave per rendere il fashion world ancora desiderabile. Anderson lo esercita con lucidità, ironia e metodo, tra sigarette e studio visits di artisti. E mentre si attende di vedere cosa farà ancora con Dior, il suo marchio omonimo ha compiuto una scelta strategica: trasformarsi da brand di abbigliamento a lifestyle brand, riprogrammando i propri codici in un laboratorio aperto. Oltre 560 oggetti — ceramiche, sedie vintage, miele artigianale, libri — raccontano la sua estetica come un archivio vivente. Una scelta che riflette lo spirito del tempo, quello che spinge sempre più a investire in un oggetto piuttosto che in un capospalla.

La lucidità con cui Anderson interpreta il presente lo rende anche un possibile oggetto di studio. È chiaro, ora più che mai, che la moda è intrattenimento puro, un mondo sempre più vicino al racconto filmico e sempre più lontano dalla produzione di soli progetti da indossare. Nelle università contemporanee gli studies sono ormai centrali, come dimostra il celebre corso Politicizing Beyoncé alla Rutgers University di New Brunswick (New Jersey). Non sarebbe quindi sorprendente, in futuro, imbattersi in un corso interamente dedicato a Jonathan Anderson.