
I nuovi dazi di Trump potrebbero far crollare il PIL italiano Secondo EY si potrebbe arrivare ad una contrazione dell’1,4%
Dazi sì, dazi no, dazi forse. Dall’inizio dell’anno, con l’avvento della presidenza Trump, la questione delle tariffe è diventata un susseguirsi di notizie avventate, che non hanno fatto molta chiarezza sul piano reale per le nuove regole dell’import-export americano. La Cina è stata il primo target del Presidente degli Stati Uniti, con le sue azioni che hanno praticamente innescato una guerra economica tra i due principali poteri globali, provocando conseguenze su tutto il mercato del lusso. Poi c’è stato l’accanimento contro il Messico, sfociato persino nella volontà improvvisa di cambiare la ricetta originale della Coca-Cola. Infine, anche il vecchio continente, storicamente considerato il miglior alleato degli Stati Uniti, è stato colpito dalla nuova ondata di tariffe e dazi, che dovrebbe entrare in vigore il prossimo 1° agosto. Un aumento del 30% sulle tariffe delle esportazioni italiane verso gli USA che, secondo le stime EY potrebbe colpire duramente il PIL italiano nel medio-lungo termine: il report EY Parthenon Bulletin prevede infatti una contrazione cumulata dell’1,4% tra il 2025 e il 2026, pari a una perdita complessiva di circa 30 miliardi di euro. In pratica, verrebbe completamente annullata la crescita prevista dello 0,6% per quest’anno, che sarebbe dovuta salire allo 0,8% nel 2026.
@grok che impatto credi possano avere i dazi di trump nell economia europea
— rodolfo viapiana (@rudy_altrementi) July 20, 2025
Non sarebbe solo il comparto moda a subire i colpi più duri: anche le industrie del design e dell’arredamento, il settore farmaceutico e quello del food & beverage, tutti caratterizzati da un alto tasso di export verso gli Stati Uniti, risulterebbero tra i più esposti. A sottolinearlo è Marco Daviddi, managing partner di EY, in un’intervista a Il Sole 24 Ore. Tuttavia, l’impatto non sarà limitato a questi settori. Come evidenziato dallo stesso Daviddi, una dinamica di questo tipo avrebbe inevitabilmente effetti sistemici, riducendo la propensione agli investimenti da parte delle imprese e, allo stesso tempo, la capacità di spesa delle famiglie. In altre parole, anche i comparti meno direttamente coinvolti rischiano di subire un contraccolpo, aggravando il rallentamento complessivo dell’economia. Nel frattempo, la filiera italiana della moda rimane sotto osservazione. Tra scandali, inchieste e ordini in calo, l’ultimo anno ha visto migliaia di lavoratori in cassa integrazione e un clima di crescente incertezza. L’introduzione di dazi al 30% non farebbe che peggiorare una situazione già precaria, come ha sottolineato Luca Sburlati, presidente di Confindustria Moda, in un’intervista a WWD. Solo nel 2024, il settore tessile e dell’abbigliamento ha esportato beni per oltre 2,75 miliardi di euro verso gli Stati Uniti, così da rendere il mercato americano il terzo più rilevante per l’intera filiera.
All’inizio dell’anno si era perfino ipotizzato un improbabile “effetto Giappone”, con l’idea che le nuove tariffe imposte dagli USA potessero, in qualche modo, favorire il retail italiano. E per quanto la teoria possa sembrare paradossale, alcuni dati sembrano darle credito: secondo le proiezioni più ottimistiche, l’inasprimento delle misure protezionistiche voluto da Trump potrebbe spingere sempre più turisti americani a concentrare i propri acquisti direttamente in Europa, in particolare in Italia. Un dazio del 10%, ad esempio, potrebbe tradursi in un aumento del 20% della spesa tax free da parte dei visitatori statunitensi. Il paradosso si accentua se si considera che, appena due mesi fa, lo stesso presidente Trump aveva dichiarato di non avere alcun interesse nel riportare la produzione tessile all’interno dei confini nazionali, aprendo così alla possibilità di continuare a fare affidamento sulle importazioni per sostenere il mercato interno. Ora, con meno di due settimane all’entrata in vigore delle nuove misure, la situazione resta incerta. Se Trump dovesse gestire i dazi con lo stesso approccio adottato a inizio anno nella controversa vicenda di TikTok, nulla può dirsi ancora definitivo. Ma se davvero le tariffe al 30% venissero applicate e finissero per influenzare in modo diretto il PIL italiano, si tratterebbe della prima contrazione economica registrata dal 2022. Un colpo pesante per un Paese che porta ancora addosso i segni della crisi post-pandemica.













































