A Guide to All Creative Directors

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Le tariffe di Trump faranno diventare la moda più costosa che mai

Ma forse LVMH ha trovato una mezza scappatoia

Le tariffe di Trump faranno diventare la moda più costosa che mai Ma forse LVMH ha trovato una mezza scappatoia

Il 2 aprile si è concluso negli Stati Uniti con il “Liberation Day”: titolo assegnato dal presidente Trump alla giornata in cui avrebbe istituito dazi contro le nazioni di tutto il mondo, riscrivendo le regole del commercio mondiale, instaurando una nuova era di protezionismo e dando un profondo shock ai mercati di tutto il mondo. Lo scombussolamento adesso si è esteso ai mercati e nelle ultime 24 ore il valore del dollaro è scivolato insieme alla fiducia di numerosi investitori. In un continuo intrecciarsi di colpi di scena, la questione delle tariffe commerciali americane ha assunto contorni sempre più complessi e imprevedibili. Per giorni, l'attenzione dei funzionari della Casa Bianca è stata distolta dalla crisi commerciale a causa della vicenda legata al direttore del The Atlantic, inaspettatamente aggiunto a una chat riservata su Signal in cui si discuteva dell'attacco di Washington contro lo Yemen. Ora che la questione sembra essersi ridimensionata, il governo ha rapidamente riallacciato le fila della battaglia economica, accelerando sulle nuove misure tariffarie. Il settore della moda globale, già in bilico, vede ora emergere nuove incognite. Gli Stati Uniti rappresentano uno dei principali consumatori di abbigliamento e calzature al mondo (nel 2023, gli Stati Uniti hanno speso 175 miliardi di dollari per abbigliamento e accessori, secondo ExportUSA), costituendo un mercato essenziale per l'intera industria, specialmente con il forte rallentamento delle vendite cinesi. Con la stragrande maggioranza dei prodotti del settore importata dall’estero (secondo BoF gli Stati Uniti importano il 98% di abbigliamento e il 99% di calzature), quasi nessun capo o accessorio venduto sul suolo americano sarà risparmiato dai nuovi dazi.

@la.repubblica Nel suo discorso alla Casa Bianca sui dazi, il presidente Donald Trump ha mostrato una tabella con le imposizioni tariffarie reciproche Paese per Paese. L’elenco comincia con la Cina, alla quale il Tycoon ha inflitto un 34% sull’export verso gli Usa, a seguire l'Europa: “L’Ue ci sta truffando, imporremo dazi del 20%" #Trump #Dazi #Usa #Ue suono originale - la.repubblica

Questi dazi, tuttavia, non colpiranno tutti allo stesso modo. Per circa due dozzine di paesi con cui gli Stati Uniti registrano un deficit commerciale, le tariffe saranno significativamente più alte. I beni provenienti dal Vietnam, il secondo maggiore esportatore di abbigliamento verso gli Stati Uniti dopo la Cina, saranno soggetti a un dazio del 46%, quelli dalla Cambogia al 49% e dal Bangladesh al 37%. La Cina vedrà un ulteriore aumento del 34% sulle tariffe già annunciate, portando il totale al 54%, mentre l'Unione Europea sarà colpita da un dazio del 20%. Il comparto del lusso, nonostante il rallentamento globale, ha finora dimostrato una buona resistenza nel contesto economico a stelle e strisce, ma la sua fragilità strutturale emerge ora con maggiore evidenza: la produzione locale è limitata, e l'aumento dei costi rischia di incidere pesantemente su un settore che ha già subito continui rialzi di prezzo negli ultimi anni. Tra le poche realtà con una presenza produttiva significativa negli Stati Uniti, LVMH è l’unico ad aver inaugurato nel 2019 la sua terza fabbrica sul suolo americano. Secondo l'analista di RBC Capital Markets Piral Dadhania, citato da BoF, questi stabilimenti rappresentano circa il 50% del volume di produzione del gruppo negli Stati Uniti. Il che significa che, tra tutti i gruppi del lusso, proprio LVMH potrebbe essere quello meno relativamente impattato da queste tariffe, se il suo braccio produttivo statunitense avrà modo di limitare al massimo le importazioni. L'impatto delle nuove tariffe, comunque, non si limiterà solo al lusso. I marchi di sportswear sono tra i più esposti, avendo già diversificato la loro produzione lontano dalla Cina durante la prima presidenza Trump. Tuttavia, molti si erano spostati proprio in Vietnam e Cambogia, ritrovandosi ora nuovamente di fronte a un'impennata dei costi. Nike, ad esempio, ha prodotto il 50% delle sue calzature in Vietnam nel 2024, mentre On ha realizzato lì il 90% delle sue scarpe. 

Le conseguenze della guerra commerciale si fanno già sentire. Dopo l'annuncio delle nuove tariffe, le azioni di brand e grandi gruppi americani sono crollate: Lululemon ha perso oltre il 10%, Nike e Ralph Lauren il 7%, mentre Tapestry, Capri e PVH Corp. sono scese di circa il 5%, con cali che hanno superato la flessione del 4% nei futures dell'S&P 500. Anche le supply chain saranno colpite duramente. Dopo i precedenti annunci tariffari di Trump, aziende come Walmart avevano già iniziato a negoziare con i fornitori per tagliare i costi, ma con margini già ridotti al minimo, la pressione sulle fabbriche sarà insostenibile. La crisi si propagherà lungo tutta la filiera, dai produttori tessili agli agricoltori, mentre le aziende dovranno rivedere interamente come ridistribuire prezzi e costi. Di fronte a questa situazione, i brand e i retailer dovranno scegliere se caricare su di sè gli aumenti per mantenere i prezzi invariati o se aumentare semplicemente i prezzi minando ulteriormente la fiducia dei consumatori, che a marzo è scesa ai minimi dalla pandemia. «Più dazi significano più ansia e incertezza per le aziende e i consumatori americani», ha dichiarato David French, vicepresidente esecutivo della National Retail Federation. La guerra commerciale in atto sta conducendo gli Stati Uniti verso un isolamento economico senza precedenti. Durante la conferenza stampa nei giardini della Casa Bianca, Trump ha dichiarato: «Oggi è il giorno della liberazione, quello in cui abbiamo reso l'America di nuovo ricca».

L'impatto sarà devastante per diversi mercati. L'Italia, secondo Repubblica, subirà perdite superiori ai 2 miliardi di euro sulle esportazioni, mentre la Cina dovrà far fronte a un rincaro complessivo del 54% sui beni destinati agli Stati Uniti. Il CEO di H&M, Daniel Ervér, ha già dichiarato, come riportato da Reuters, che il colosso del fast fashion potrebbe ridistribuire la produzione per aggirare le tariffe, ma le decisioni annunciate dalla Casa Bianca sembrano rendere ogni strategia una mossa gattopardesca: cambiare tutto per non cambiare nulla. E mentre i mercati tentano di adattarsi, un altro conto alla rovescia avanza inesorabile. Il 5 aprile scadrà la proroga concessa all'uso di TikTok negli Stati Uniti, aprendo la strada a un possibile divieto o a una vendita forzata della piattaforma. Lo scorso anno il Congresso ha approvato il "Protecting Americans from Foreign Adversary Controlled Applications Act", una normativa che impone ai proprietari cinesi di ByteDance di cedere TikTok a entità statunitensi. Nonostante l’app sia già stata temporaneamente rimossa in un drammatico fine settimana di gennaio, Trump aveva concesso una proroga di 90 giorni fino al 5 aprile per facilitare la vendita, che ora è in bilico. Con la scadenza imminente, il rischio di un’escalation nelle tensioni geopolitiche e nelle ripercussioni economiche è più concreto che mai.

@abc7chicago

Amazon has put in a bid to purchase TikTok, a Trump administration official said Wednesday, in an eleventh-hour pitch as a U.S. ban on the platform is set to go into effect Saturday.

original sound - abc7chicago

Nel contesto della rivalità tra Washington e Pechino, il nodo della questione è la gestione dei dati e il controllo dell’algoritmo che alimenta TikTok. La piattaforma conta oggi circa 170 milioni di utenti americani, ovvero la metà della popolazione statunitense, e il timore dei legislatori è che ByteDance, soggetta alle leggi cinesi sulla sicurezza nazionale, possa condividere informazioni sensibili con Pechino. Per anni, gli Stati Uniti hanno cercato di mitigare questi rischi: nel 2022 TikTok ha avviato un’operazione da 2 miliardi di dollari per trasferire i dati degli utenti statunitensi su server cloud di Oracle Corp., ma le misure adottate non hanno dissipato le preoccupazioni del governo americano. A pochi giorni dalla scadenza, la Casa Bianca sembra vicina ad approvare un accordo per cedere TikTok a investitori americani. Tra gli acquirenti, come racconta Financial Times, ci sarebbero Andreessen Horowitz, Blackstone e altri grandi fondi di private equity, che acquisirebbero circa la metà delle operazioni statunitensi della piattaforma. Un ulteriore 30% andrebbe a investitori già presenti in ByteDance, come General Atlantic, Susquehanna, KKR e Coatue. L’accordo, che prevede che ByteDance mantenga una quota inferiore al 20% per rispettare i limiti imposti dalla legge statunitense, è ancora in fase preliminare e richiederà mesi di negoziazioni e strutturazione finanziaria prima di essere finalizzato. Un punto di forte contesa rimane il controllo dell’algoritmo di TikTok, considerato il vero asset strategico dell’applicazione. La Cina ha sempre posto forti restrizioni sull’esportazione di tecnologie avanzate e, secondo alcune fonti, una delle opzioni in discussione prevedrebbe che ByteDance continui a sviluppare e gestire l’algoritmo, concedendolo alla nuova entità statunitense tramite un accordo di licenza. Ma, secondo molti, per rispettare i requisiti della normativa americana, il controllo dovrebbe passare interamente agli investitori statunitensi.

Nel frattempo, l’interesse per TikTok continua a crescere. Secondo il New York Times, Jeff Bezos avrebbe avanzato un’offerta dell’ultimo minuto per acquistare le operazioni statunitensi della piattaforma tramite Amazon, ma per ora la cordata di investitori già coinvolti nel progetto sembra rimanere la favorita. La Casa Bianca, con un coinvolgimento senza precedenti, sta giocando un ruolo attivo nelle negoziazioni, assumendo di fatto la funzione di un’istituzione finanziaria. Se l’accordo dovesse concretizzarsi, TikTok entrerebbe a far parte dell’ecosistema delle Big Tech americane, rafforzando ulteriormente il dominio digitale degli Stati Uniti. Ma oltre alla battaglia commerciale, la vera questione rimane il controllo dei dati e del potere algoritmico: chi avrà in mano TikTok controllerà un’enorme fetta del futuro digitale globale.