
Louis Vuitton sogna l’India per la collezione SS26
Sartoria rilassata, dettagli-gioiello, colori bollenti e abiti schiariti dal sole hanno dominato questa stagione
25 Giugno 2025
Nella moda esiste spesso un pregiudizio: e cioè che un brand molto pop, molto mainstream e molto incentrato sul logo e sul prodotto non possa essere veramente cool nella maniera in cui gli insider percepiscono la moda. Eppure, in tutta la sua gloria mainstream, il Louis Vuitton di Pharrell è la dimostrazione che questo pregiudizio è sbagliato. Giunto alla sua nona collezione per il brand di lusso più grande e redditizio del mondo, Pharrell ha chiarito il proprio modus operandi: un grande macro-tema stagionale, ottima musica, un savoir-faire raffinatissimo manifestato nell’abbondanza vivida di dettagli e decorazioni e, infine, uno stile di guardaroba maschile molto archetipico, molto riconoscibile ma anche assurdamente in linea con i tempi. Si avverte una specie di vocazione ecumenica in queste collezioni che, lungi dal trasgredire o dallo stravolgere i canoni, sembrano l’espressione di una nuova cultura del vestire maschile che può accogliere uomini di ogni età o provenienza – questi sono look di un’immediatezza e di un’indossabilità assoluta e sono, in fondo, anche la traduzione più chiara e curata di come gli uomini si vestono oggi, quello stile che potremmo definire "brocore" che sarebbe poi lo stile nippo-americano noto come City Boy con qualche tocco aggiuntivo di vibe hip-hop. Ad ogni modo, il tema di questa stagione era l’India – non tanto in termini di modelli e silhouette ma in termini di colori, materiali e lavorazioni. Il risultato è stata una collezione dai colori caldi, ricca di morbidezza ed equilibrio in cui si è trovato spazio pure per una deliziosa riproposizione delle decorazioni create proprio da Louis Vuitton per il film Il Treno per il Darjeeling di Wes Anderson – forse uno dei set di valigie più famosi della storia del cinema recente.



Il piatto presentato da Pharrell ieri sera era dunque molto ricco. La sartoria era classica ma disinvolta, con giacche e pantaloni tagliati in mischie di lana ultraleggera e tessuti grezzi in cashmere-seta-lana o cashmere-vicuña. Sono tornate spalle morbide, vita rilassata e proporzioni allungate che ormai Pharrell favorisce mentre diverse giacche e blazer erano rifinite con bande laterali stile smoking e bordi ricamati con microperline o colletti in pizzo da cerimonia. Sotto i completi abbondavano camicie, sbottonate come sotto il caldo torrido di Nuova Delhi, spesso a righe, e in certi casi composte di seta fil-coupé con motivi in rilievo come e altre stampate con quadri erosi o righe sbiadite dal sole che imitano le insegne dipinte a mano dell’India. Abbondavano anche giacche molto corte e tutta una serie di capispalla per la verità molto invernali ma non meno vividi mentre più notevoli erano i capi in denim, tutti sbiaditi e usurati ad arte, alcuni dei quali avevano ricevuto un lavaggio marrone, ispirato ai chicchi di caffè, presente nel tessuto facendo sì che nel tempo emergano i fili bianchi. Anche qui non poteva mancare il trend di stagione, e cioè il pigiama in seta a righe e cotoni sbiadito, con numerosi motivi a righe resi in palette scolorite di blu navy, zafferano, lilla e beige pastello. Non mancavano nemmeno capi trompe-l’œil dove filati ultra sottili replicavano la texture e l’aspetto di tessuti grezzi ma anche un completo di filato metallico lucido e una giacca in stile bandhgala. Infine, molti capi erano abbinati a calze a trecce o con inserti in pizzo, cravatte con perline e bandane in mischie cashmere-seta ricamate a mano. Cinture con cinturini in pelle invecchiata reversibili e chiusure con ganci stile "frog" ispirate ai bagagli d’epoca.

Stagione dopo stagione, il Louis Vuitton di Pharrell sta prendendo una forma sempre più propria. Si ha la distinta sensazione di trovarsi davanti a un brand che ha ottimizzato il metodo implementato da Kim Jones con Dior, e cioè quello di avere un direttore creativo che funga da coordinatore generale per un intero team di creativi diversi, tutti insieme allineati e iper-specializzati nel proprio campo. Un tipo di creatività diffusa che garantisce continuità e coerenza, senza alcun dubbio, ma senza che la figura del direttore creativo offuschi il resto del team con la propria presenza – queste sono collezioni che non vivono nell’ombra del proprio creatore ma esprimono un approccio all’eccellenza e al lusso il cui scopo è più universale che stagionale. Una cosa che oggi tanti brand provano a fare in modo convincente, provando cioè a dissimulare la loro tendenza a produrre guardaroba logati, ma che provano a dissimulare dietro fumose dichiarazioni pseudo-intellettuali senza avere veramente la coolness necessaria. Pur nella sua iper-letteralità, Pharrell rinuncia a qualsiasi pretesa concettuale o sovrastruttura intellettuale: non ci sono simbolismi nascosti, provocazioni forzate o messaggi criptici. Solo abiti belli, freschi, desiderabili, da indossare subito. Proprio questa immediatezza elegante e senza spocchia rende il brand più accessibile, cool e autentico. Nessuna posa, soltanto stile.