
La stupenda modernità del Louis Vuitton di Pharrell e Nigo
The menswear signed by the dynamic duo is a lucid, optimistic reflection of our times
22 Gennaio 2025
Dopo ogni rivoluzione, arriva la normalizzazione. Ai suoi tempi, Virgil Abloh portò un cambiamento radicale da Louis Vuitton – ma dopo la sua scomparsa, ancora compianta, il compito di Pharrell è stato quello di prendere le sue vulcaniche innovazioni e codificarle in un sistema preciso, nitido, che è sì commerciale ma che ha anche il pregio di raccontare la versione più elevata del menswear di oggi. Lungi dal proporre alternative e possibilità, che potrebbero o meno funzionare, il Louis Vuitton di Pharrell ha i piedi fermamente fissati nella realtà, il suo guardaroba (il cui stile è stato ribattezzato “dandy streetwear” dal direttore creativo) rappresenta un “sé ideale” dell’uomo di oggi in cui le suggestioni vintage di una sartoria rigorosa ma accogliente elevano e rendono più adulti gli elementi più sportivi e quotidiani degli abiti. I suoi look hanno una pulizia, una generosità di proporzioni e dettagli e una portabilità così completa che appaiono come dei classici moderni. Giunto alla sua settima collezione per il brand, e adesso con il grande footwear designer Thibo Denis nella propria squadra, Pharrell sembra aver trovato una propria formula fatta di sartoria preppy e skatewear nella stessa misura, pop e classica insieme. È una formula che non prevede enormi variazioni, anche se si è dimostrata abbastanza flessibile per assorbire atmosfere ora western ora marinaresche nel tempo, e che soprattutto va sorvegliata e tenuta in un preciso equilibrio – ma dopo la SS25 della scorsa estate, in cui la modernità delle inflessioni sportswear offuscava la ricercatezza degli elementi più sartoriali e “nobili”, lo show FW25 ha messo ancora di più a fuoco ciò che funzionava così bene del gusto e della visione di Pharrell.


Oggi le persone si vestono precisamente così, o almeno vorrebbero – e Pharrell mette in mostra le versioni più elevate di questo immaginario. Il pantalone bootcut, la giacca croppata e strutturata tagliata in una stoffa di volume e lucentezza stupendi, l’esattezza deliziosa nei tagli e nel piazzamento di cuciture e bottoni, la densa texture dei cappotti. Aiuta molto che questo processo di cristallizzazione di un nuovo canone moderno (in cui la varsity jacket e i jorts convivono con i capispalla d’antan e i completi sartoriali) la partecipazione di Nigo che oltre a essere un collaboratore di lunghissima data sia per Pharrell che per Louis Vuitton, è un avidissimo collezionista di vintage, con un archivio personale da diecimila pezzi, e che dunque conosce alla perfezione l’arte del tradurre la funzionalità senza tempo del vintage in un tipo di design moderno, non privo dei suoi voli di stravaganza, ma mai bassamente contemporaneo. L’idea che ci si fa di questa collezione, che ha visto Pharrell e Nigo collaborare a degli “archivi del futuro”, e cioè si presume a pezzi che in futuro saranno collezionabili, è quella di una completa wholesomeness: l’uomo che i due hanno in mente non è né giovane né vecchio, il suo animo non è oscurato da tormenti interiori, la sua eleganza è priva di impaccio – ma soprattutto riflette quella attitude molto Millennial di trovare un punto mediano tra un menswear più classico, silhouette mature e familiari e quel tipo di vestiario pratico e giovanile che è un’eredità di quello stile Y2K che i due direttori artistici avevano ampiamente sperimentato dal 2003 in avanti con Billionaire Boys Club e ICECREAM – anche se con una rotondità più piacevole, priva di eccessi e di brusche vistosità.

Per essere Louis Vuitton, in effetti, e dunque un brand che fonda molto del proprio potere sulla forza dei loghi e sulla nonchalanche con cui essi sono presentati, la collezione fa affidamento su tagli e materiali con estrema sicurezza e disinvoltura. Il che non significa che i loghi siano assenti ma che, anche quando dominano outfit come completi grigi, chiodi di pelle e capispalla lo facciano senza mai oltrepassare la linea che separa l’estroso dall’eccessivo. L’impronta di Nigo poi, che porta tecniche come le tessiture shippo e kasuri o i ricami boro e sashiko, rafforza molto quell’idea di maestria artigianale insieme classica e moderna che dà alla collezione la sua patina di freschezza. L’impressione finale è quella di un guardaroba molto strutturato, molto dettagliato, la riconoscibilità delle cui silhouette non diventa mai prevedibilità ma solo pienezza e lucidità di visione. Aiuta anche che i dettagli di lusso che elevano pezzi anche assai quotidiani siano immediatamente evidenti: quello di Pharrell e Nigo è una concezione del lusso materica e immediata, per nulla cerebrale, anzi solida ed energica. Non è una moda di per sé rivoluzionaria o intellettuale ma allo stesso tempo non c’è forse nessuno oggi sulla scena del lusso o dello streetwear che sia capace di portare in passerella uno stile così nitidamente centrato, eseguito senza sbavature.