A Guide to All Creative Directors

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Il Dior di Jonathan Anderson potrebbe far rallentare la moda?

I tempi sono maturi, gli strumenti disponibili – manca solo la volontà

Il Dior di Jonathan Anderson potrebbe far rallentare la moda? I tempi sono maturi, gli strumenti disponibili – manca solo la volontà

Jonathan Anderson è sempre stato un uomo impegnato – ma a breve lo sarà ancora di più. Con la nuova nomina, gli è stata infatti assegnata una duplice missione: la prima, più ovvia, è quella economica e consiste nel far tornare Dior a crescere; la seconda è più simbolica ma non meno impegnativa, e consiste nell’essere il primo designer a unificare in una singola figura tutte le collezioni di Dior. Per i primi decenni della sua esistenza, infatti, l'unico Dior fu quello femminile. Solo negli anni ’70 apparve Christian Dior Monsieur, che non si sarebbe dotata di un vero e proprio designer fino al ’92, comunque limitandosi a produrre generici classici sartoriali finché il lancio di Dior Homme nel 2002, così come lo concepì Hedi Slimane, ne fece un’entità a sé stante, dotata di una creatività propria e spesso anche in rottura con ciò che avveniva nel lato femminile del brand. Con la nomina di Anderson, questa fase è finita e si capisce il perché: in un mercato della moda dispersivo come quello di oggi, autenticità e coesione sono tutto e, da Loewe, Anderson ha avuto modo di creare un’estetica coerente per entrambe le collezioni senza praticamente mai sbagliare un colpo. Ma ora che i due grandi corsi di Dior stanno per confluire in un singolo grande fiume c’è un’altra questione da dirimere: il numero di collezioni l’anno che Anderson si troverà a disegnare, cioè tra le 16 e le 18, di cui 10 saranno solo per Dior, altre quattro per JW Anderson (secondo BoF saranno sei, ma le resort e le pre-fall che risultano su Vogue Runway si riferiscono alle medesime presentazioni/sfilate e nell’ultimo anno non ce ne sono nemmeno state) e altre due per Uniqlo. A queste vanno aggiunte capsule e collaborazioni che però, nell’era post-Kim Jones potrebbero essere meno “automatiche” e rarefarsi. Per molti commentatori questo è un problema – ma perché non vederlo come un’opportunità di innovazione?

Per anni si è detto che la moda fa troppo e lo fa troppo velocemente. Una tendenza che però, pur restando, è andata per alcuni versi frenandosi negli ultimi mesi: non solo nelle regioni più alte del mercato, brand come Hermès, Brunello Cucinelli o Loro Piana non hanno mai fatto ricorso alle pre-collezioni; ma un numero crescente di brand di moda, in risposta ai cali delle vendite, sta ridimensionando le proprie operazioni e ha iniziato a presentare gli show in formato co-ed e dunque facendo sfilare uomini e donne insieme. In altre parole, il mercato si sta ridimensionando da sé e il processo è in atto. Sempre più brand sfilano ma affidano a dei lookbook le pre-collezioni e spesso anche le collezioni maschili, riducendo dunque il numero di show totali; e sempre più calendari di fashion week si assottigliano, con quelli maschili di Londra e Milano che sono ormai a un passo dallo scomparire. Come leader del mercato, Dior non rinuncerà di certo a destination show, pre-collezioni e via dicendo – ma considerato che la logica dietro la nomina di Anderson era anche quella di riunificare il brand, l’idea di riunificarne le collezioni riducendone il numero di show darebbe sicuramente modo ad Anderson di mantenere il suo focus creativo su uno spettro operativo più ampio. Onestamente, si parla di una possibilità ed è difficile che questo accada: pur senza pre-collezioni, brand come Prada o Hermès preferiscono sfilare con collezioni separate ogni anno, lo stesso vale per quasi tutti i top brand in realtà. Tutto considerato però, vedendo le scorse collezioni di Loewe come esempio del metodo seguito da Anderson, è impossibile non notare che, pur diverse, quella maschile e quella femminile possiedono analogie e legami di coerenza interna – sembrano insomma disegnate insieme e, forse, potrebbero anche essere presentate insieme. Un po’ come succede da Bottega Veneta e in molti altri brand.

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Se da Dior è irrealistico aspettarci una diminuzione di show (la strategia al momento rimane fissa sul “bigger is better”) questo metodo potrebbe applicarsi a JW Anderson dove, considerata l’attuale assenza di pre-collezioni, le collezioni potrebbero addirittura diventare due l’anno, dimezzando di fatto gli sforzi di Anderson. Non conosciamo i dati delle vendite della label eponima del designer – ma possiamo dire con assoluta certezza che l’ormai quasi anno di assenza dalle scene, confermato da BoF che ha scritto che nel 2025 non ci saranno sfilate per il brand, non ha fatto calare la brand awareness. Anzi, in un mondo della moda sempre più ostilmente inaccessibile, JW Anderson rappresenta uno di quei pochi brand che offre i crismi della moda mantenendo la propria accessibilità, rimanendo parecchio apprezzato e ovviamente dotato dei suoi ricchi investitori che sono sempre gli Arnault di LVMH. È dunque vero che Anderson, come Lagerfeld e Galliano prima di lui, potrebbe serenamente farsi carico di tutto il lavoro che la sua brillante carriera gli imporrà – ma di fronte a un cambio generazionale in uno dei top brand del mercato, di fronte a un talento generazionale come Anderson e a un passaggio di consegne generazionale che sta avvenendo, converrebbe chiedersi se sia meglio lavorare “smarter, not harder”.