
Il Met Gala saprà rimanere se stesso nell’America di Trump?
Stasera, potremmo vedere due mondi scontrarsi
05 Maggio 2025
Il Met Gala che si terrà stasera non è come gli altri. Se negli altri anni la celebre serata era servita per inaugurare mostre che riguardavano temi come l’immaginario del vestire americano, il contributo di Karl Lagerfeld alla moda, la religione o la natura effimera della moda, l’edizione 2025 sembra essere il culmine delle aspirazioni di diversità e inclusione iniziate cinque anni fa con il movimento Black Lives Matter e con un intero riassestamento culturale che ha portato i temi della rappresentazione, del post-colonialismo e della corretta integrazione culturale al centro del dibattito contemporaneo. Temi che sono stati onnipresenti in ogni aspetto della cultura pop ai tempi dell’amministrazione Biden – periodo durante il quale, con ogni probabilità, è stato scelto il tema della mostra che sarà presentata stasera ovvero “Superfine: Tailoring Black Style”, che approfondirà il legame tra moda e codici stilistici delle comunità afro-americane e in particolare il concetto di eleganza come riappropriazione di dignità e umanità in faccia a una società razzista. Ma dall’annuncio del tema del Met Gala all’effettivo Met Gala è arrivata la nuova presidenza Trump, portando con sé un clima decisamente diverso. In effetti, uno dei primi esempi della “neolingua” di Trump e del suo partito (prendiamo in prestito un’espressione di George Orwell) è stata l’acronimo DEI, che significa teoricamente “diversity and inclusion”, e che è rapidamente diventata una sorta di paravento per parole ben più offensive oltre che per pregiudizi radicati nel malcelato razzismo di quel tipo di elettorato. La domanda principale dunque è: nei prossimi anni il Met Gala riuscirà a essere altrettanto progressista come quest’anno?
@metmuseum Explore Black style over three hundred years Get a sneak peek of our new exhibition “Superfine: Tailoring Black Style” which opens to the public May 10 and will be celebrated Monday, May 5 at The Met Gala. Which garment are you most excited to see in the exhibition? #SuperfineStyle #CostumeInstitute #MetGala original sound - The Met
La domanda non è semplice come sembra. Se i vari utenti (reali o bot che siano) sono già su Twitter a lamentarsi del Met Gala diventato “woke” sia per i suoi temi che per la natura liberale e intellettuale dell’evento, è più l’azione del governo Trump a creare preoccupazioni per il futuro del Super Bowl della moda. Sul piano culturale, finora, il nuovo presidente pretende la medesima egemonia che pretende per il commercio: vuole tassare i film prodotti all'estero, ha preso controllo del celebre Kennedy Center, eliminando tutti i direttori pre-esistenti, autonominandosi direttore lui stesso e riempiendo il consiglio di amministrazione dell’istituzione con propri amici. Ma ha anche minacciato il Museo Smithsonian di ritirare i fondi pubblici nel caso in cui organizzasse mostre con al centro «ideologie improprie» colpevoli di «sminuire i valori americani condivisi, dividere gli americani in base alla razza o promuovere programmi o ideologie incompatibili con le leggi e le politiche federali». E questo senza menzionare l’attuale scontro del governo con le università americane. Non sarebbe difficile immaginare, insomma, che dall’anno prossimo gli organizzatori del Met Gala, a partire dal curatore stesso del Met, fino ad Anna Wintour potrebbero ricevere pressioni e ammonizioni per far sì che la serata e la mostra che essa apre siano allineati alle preferenze di un esecutivo che sempre di più si avvicina a un regime.
The Met Gala's Theme also feels much like a remnant of a past administrations much like dei
— painism (@unclepainism) May 4, 2025
Finora il museo ha scelto la resistenza: è privato e dunque non può essere minacciato con una sospensione dei fondi e il suo programma DEI è rimasto valido e pubblico anche mentre tanti altri facevano eclatanti passi indietro per compiacere il nuovo governo. La stessa Anna Wintour, poi, è stata una accesa sostenitrice del Partito Democratico durante la scorsa campagna elettorale, disse famosamente nel 2017 che non avrebbe mai invitato Trump e per tanti versi, pur rimanendo un appuntamento pop imprescindibile, il Met Gala stesso è diventato la principale vetrina di quegli ideali progressisti e inclusivi che secondo i repubblicani e il mondo MAGA sono i preferiti dai cosiddetti “limousine liberals” – parola a cui in italiano corrisponde l’espressione, altrettanto politicizzata, di “radical chic”. Il dubbio che per molti è sorto nelle ore che precedono il Met Gala 2025 è in realtà lo stesso che, su scala più grande, interessa tutta la moda: da un lato regno incontrastato di ideali progressisti; dall’altro un mondo asservito al potere e alle élite economicamente dominanti. In breve, è molto difficile che i big player della moda, da LVMH o Kering fino al mondo della stampa, assumano posizioni fortemente anti-establishment. Come bilanciare queste opposte spinte? L’anno prossimo Wintour potrà permettersi di non invitare figure come Elon Musk, presente l’ultima volta nel 2022, o magari la nipote del presidente Kai Trump? Ma anche Jeff Bezos e Lauren Sanchez, presenti su Vogue nel novembre 2023? Gli sviluppi potrebbero seguire due direzioni: o il Met Gala rimarrà un evento così liberal-coded da essere disertato dai conservatori oppure, come accaduto con il Kennedy Center, potrebbe esserci un tentativo di take-over da parte dei fautori del governo Trump per far sì che rifletta i nuovi ideali americani che il presidente vuole glorificare.
Abbiamo già visto come diversi grandi gruppi del lusso, Kering a parte, abbiano provato a sedurre il nuovo presidente con ricche donazioni, arrivando pure, nel caso di Bernard Arnault, a presenziare all’insediamento di Trump. Non che la cosa li abbia aiutati: nel secondo trimestre dell’anno il peso delle tariffe USA potrebbe colpire i bilanci del lusso come una sferza. La contraddizione però è evidente quest’anno più degli altri perché proprio LVMH, il cui fondatore ha finanziato e corteggiato Trump, sta finanziando il Met Gala attraverso il suo brand di punta, Louis Vuitton, il cui CEO dovrebbe essere tra gli invitati. E mentre il bollore politico sta riconfigurando il Met Gala in una nuova e positiva luce, così almeno racconta il New York Times, facendo dimenticare la sua passata nomea di stravaganza per le elite e persino di trionfo di un’ipocrisia liberalista a favore di un ruolo che di questi tempi appare come quello di una resistenza simbolica, non resta che attendere come reagiranno i conservatori americani a un evento che, tra celebrazione della cultura afroamericana, queerness e un certo intellettualismo, sembra fatto apposto per triggerarli come non mai.