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Hello London #6 - Open Source Art Festival 2016

Tra prospettive transgender e visioni post-apocalittiche di Dalston

Hello London #6 - Open Source Art Festival 2016 Tra prospettive transgender e visioni post-apocalittiche di Dalston

Questo weekend Gillett Square, cuore pulsante di quell’eterogeneo contenitore di etnie, influenze e attività che è Dalston, è stata animata dalla seconda edizione di Open Source Art Festival, una stimolante iniziativa portata avanti dagli artisti stessi che ha portato in piazza un programma accessibile a tutti (e gratuito) di performance, esposizioni, installazioni, video e quant’altro.

Complice l’inaspettato bel tempo che ha graziato questo Bank Holiday weekend, ci siamo districati fra i deliziosi stand di cibo e le proposte culturali per farvi conoscere tre delle nostre scoperte preferite.

 

#1 RICHARD MULLER – FLY THRU

Il container dipinto di arancione e tappezzato, all’esterno, da specchietti rettangolari che cambiano angolazione non è una novità per la piazza. Lo è stata però la possibilità di entrarvi dentro e astrarsi completamente dalla realtà assistendo, avvolti dal buio più totale, all’installazione video di Richard Muller, artista mutlidisciplinare londinese che si avvale di diversi mezzi e tecnologie, dando vita a opere che coinvolgono video, suono e installazioni.

In questo caso, Muller ha utilizzato un drone come uno scanner 3D per forgiare la propria versione di una Dalston futuristica – tema riproposto e reinterpretato da diversi artisti nel corso del festival. Il rendering video ci mostra Gillett Square e dintorni come uno scenario spettrale e ostile, in cui schiere di case e oggetti rimasti a mezz’aria, congelati nello spazio e nel tempo, fluttuano in una cyber realtà glitchata. Lattine sospese, parcheggi vuoti, edifici che sembrano liquefarsi al passaggio lento della telecamera; poi il notturno, l’oscurità inframezzata dalla luce di qualche lampione e urla che rimbombano come ordini a squarciare il silenzio, lasciando lo spettatore con la sensazione di essere sorvegliati, di pericolo incombente, di angoscia e paranoia.

 

#2 FLO BROOKS – WHOSE BODIES WHERE

Nata a Devon nel 1987, Flo Brooks vive e lavora a Londra ed è in primis una pittrice, benché ami cimentarsi anche in altre pratiche, dal collage alla scultura. Nei suoi lavori marcato è il richiamo a luoghi comuni e piccoli rituali quotidiani, reinterpretati attraverso un’ottica particolarmente attenta alla diversa prospettiva di persona transgender rispetto a situazioni spesso date per scontate da altri.

Whose Bodies Where, una serie di dipinti commissionati da Open Source, indaga proprio questioni come l’identità, l’interazione fra la fisicità del corpo e gli spazi pubblici, e, consequenzialmente, il modo in cui questa sia percepita da persone di diverso genere e sessualità. I quattro dipinti ritraggono momenti comuni come la scelta degli assorbenti al supermercato o una corsa mattutina sulla metropolitana, evidenziando il modo in cui le persone reagiscono a determinati spazi e come questi siano plasmati da un sistema di privilegi e pregiudizi, in una critica aperta ai luoghi pubblici che sono ancora mal equipaggiati per accogliere ogni sfumatura nel vasto spettro delle espressioni di genere.

 

#3 LAWRENCE LEK – EUROPA, MON AMOUR

Un’esperienza assolutamente immersiva è stata quella dell’artista Lawrence Lek, maestro dei rendering digitali, che realizza attraverso performance, game software e video, con l’intento di offrire visioni virtuali – e spesso poco rassicuranti – su un futuro prossimo, sempre più dominato da realtà digitali.

Partendo da un tema tanto spinoso quanto all’ordine del giorno come quello del referendum sull’Unione Europea, Lek immagina, in una visione ironica e portata all’estremo, le tragiche conseguenze dell’ipotetica uscita del Regno Unito. Prendendo in mano il joypad di un’XBox veniamo catapultati nel futuro post-apocalittico di una Dalston sottosopra, alla deriva. La bandiera inglese campeggia fiera in ogni angolo, a rimarcare la riconquistata indipendenza e un senso di patriottismo pericoloso perché corroborato da manie di grandezza, elicotteri da guerra assediano Gillett Square e, sempre qui, al centro, il simbolo dell’Unione Europea è arso dalle fiamme, il tutto mentre siamo accompagnati da una voce presa dal film di Alain Resnais, Hiroshima, Mon Amour, che ci coinvolge in un discorso sulla natura della memoria.