Nonostante George Clooney, "Jay Kelly" non è un film così bello E se vi dicessimo che Adam Sandler era in una commedia simile e più brillante nel 2009?

Verso la fine di Jay Kelly c’è un momento emozionante, l’unico di tutto il film scritto e diretto da Noah Baumbach. George Clooney, protagonista che dà titolo alla storia, è seduto in una sala cinematografica mentre deve ritirare un premio alla carriera e sul grande schermo passano tutte le interpretazioni più significative che hanno segnato la sua esistenza nel cinema. Per la scena Baumbach non ha creato nuove immagini, ma ha utilizzato quelle di repertorio. Una vera ode a George Clooney, d uno dei pochi divi che ricordano il fascino e lo scintillio della vecchia Hollywood, un attore da sempre considerato una figura affascinante e attraente, ma che è prima di tutto un enorme professionista.

Mentre dunque nel film viene reso omaggio a Jay Kelly, contemporaneamente Baumbach rende omaggio all'attore. E sarebbe bello tenere solo questo come ricordo di un’opera che, invece, per il resto del suo tempo ha fatto dubitare delle buone intenzioni dell’autore, che col titolo Netflix realizza un film effimero e senile, coerente con come si sente il protagonista in quel momento della sua vita, ma ben sotto le potenzialità di cui sappiamo essere capace Baumbach. 

Non lasciatevi ingannare dalle nomination dell’award season. Sembrano più il contentino che un autentico riconoscimento per il lavoro svolto da Clooney & Co., che avrebbe meritato senz’altro un’opera la quale, indirettamente come in questo caso, ne esaltasse la carriera e il talento. L’attore si ritrova invece a dover scadere nella scrittura incerta e perplessa di un regista e sceneggiatore che sembra non essersi ripreso dopo il fiasco di Rumore bianco, che infierisce con un film sfilacciato e decadente, dove il valore di star anche nella vita reale di Clooney non è un valore aggiunto che aiuta la storia, ma l’unico degno dell’intera operazione. 

Di cosa parla Jay Kelly?

Il film si struttura in questo modo: Jay Kelly, che vediamo subito impegnato sul set a mostrare cos’è la recitazione, ha finito di girare il suo ultimo film e comincia a percepire un senso di vaghezza sia nella propria vita privata che nel proprio lavoro. Ha una figlia con cui vorrebbe passare più tempo, la quale ha invece organizzato un viaggio lasciandolo solo nella sua villa. Così l’uomo decide di accettare un premio alla carriera datogli da un festival italiano per poter seguire la figlia nel suo gironzolare per l’Europa, cercando di dare concretezza ad una vita che ha trascorso per la maggior parte del tempo solo su un grande schermo. 

Ad accompagnarlo c’è il fido agente Ron, interpretato da Adam Sandler. Ed è qui che in Jay Kelly si crea un cortocircuito, perché nel 2009 Sandler aveva a sua volta interpretato un protagonista in crisi con la sua professione e in cerca di un senso più profondo per i propri giorni. Un film che, all’apparenza, può sembrare meno autoriale e brillante di quello di Noah Baumbach, ma in realtà è assai più autentico e acuto.   

Due film a confronto

@moviemoments6 Funny People (2009) Director: Judd Apatow #fyp #foryou #movies original sound - Moviemoments6

In Funny People di Judd Apatow, Sandler è il comico, attore e stand-up comedian amatissimo George Simmons. L’uomo è solo, ha una casa gigante, nessun amico, non parla con la famiglia e scopre di essere affetto da una rara forma di leucemia che si può tentare di arrestare con una cura sperimentale. Il protagonista non si oppone, non avendo nulla da perdere, e comincia così il trattamento mentre cerca di tornare alle origini della sua carriera ricominciando a fare più spettacoli dal vivo e dedicandosi all’arte della performance. Per aiutarlo a scrivere le battute e stargli vicino nei momenti in cui la terapia lo mette maggiormente alla prova è il giovane Ira, interpretato da Seth Rogen, in cerca di un proprio posto nel mondo della stand-up, in cui farà sempre più esperienza grazie all’egocentrico, irascibile e inarrestabile Simmons. 

Pur con due motori scatenanti differenti, il senso del nido vuoto da una parte e la malattia dall’altra, sia Jay Kelly che Funny People prendono gli attori scrivendo su di loro dei personaggi che non gli sono poi così lontani, sia per il percorso, sia per ciò che hanno esperienziato e riversato poi nel contenitore cinematografico da cui, tra le tante altre cose, provengono. Anche George Simmons, come Jay Kelly, si ritrova a guardare vecchie immagini della sua vita passata (vere VHS o spezzoni dei primi show di Sandler, mentre i film sono fatti appositamente) o, si potrebbe dire, delle vite passate, ognuna diversa ogni volta che i due si calano in un ruolo. Per il comico l’avvicinarsi della fine si tramuta nel cercare di tornare all’essenziale, alla base del suo lavoro e al motivo per cui lo ama, spiegando senza pedanteria il successo e la solitudine che può generare, ma anche i capricci a cui ci si abitua e a come ci si possa scollegare sempre di più dagli altri oltre che dalla realtà. 

Bene ma non benissimo

È uno star system ruvido e impertinente quello di Funny People, che guarda all’universo della comicità che non è uguale sebbene affine al circuito del cinema, ma è di gran lunga un film molto più profondo, onesto e stratificato della futilità a cui sopraggiunge presto Jay Kelly. Con Sandler che, di suo, è eccellente in entrambi i film. Come George Simmons gioca alla stronzaggine che viene attribuita a molti famosi di Hollywood e dintorni, ma sa riempirla di un’amarezza dolceamara in più occasioni durante il film. In Jay Kelly è più o meno lo stesso, stando però dal lato opposto. È diventato colui che impersonava Seth Rogen in Funny People, seppur con parti, età e funzionalità diverse. 

Col suo agente Ron tira fuori la comprensione e la piaggeria con cui tenere a bada il cliente/amico, cerca anche lui di non perdere i momenti importanti della sua vita, ma il lavoro lo assorbe al punto da prosciugarlo. È ironico ma moderato in Jay Kelly ed è un attore che al fianco di George Clooney non sfigura per niente (e perché dovrebbe?). Ma non basta solo Adam Sandler a salvare il secondo buco nell’acqua consecutivo di Noah Baumbach. E se si sceglie di guardare Jay Kelly, che si recuperi poi anche Funny People, per vedere come si racconta la fama e la percezione di vacuità che può provocare e lasciarsi magari strappare anche una risata.