
Shein e Temu stanno alzando il percepito del “normale” fast fashion? La diffusione dei brand ultra-cheap cinesi fa sembrare Zara, Uniqlo ed H&M quasi un lusso
Nelle ultime settimane, diversi insider della moda hanno apprezzato (e in diversi casi proprio comprato) la nuova collaborazione di Zara con Aaron Levine. Sulla carta, Levine è il designer dietro il revamp di Abercrombie & Fitch, ma ufficiosamente è una figura di culto, un vero maître à habiller, che ha anche lanciato di recente il proprio brand. La sua collaborazione con Zara, riuscitissima, è stata la dimostrazione definitiva di come la percezione di ciò che pochi anni fa definivamo fast fashion è del tutto cambiata. Solo quest'anno, in effetti, abbiamo visto queste collaborazioni diventare la norma, con nuove capsule firmate quasi ogni mese o due e una già in uscita con Soshi Otsuki, il prossimo guest designer di Pitti Uomo. Ma come mai?
Una delle possibili cause di questo cambio di percezione, al netto delle strategie di riposizionamento venute dal fast fashion stesso, è la diffusione dell’ultra-fast fashion simboleggiato dal boom di Shein e Temu. A confronto con quei terribili capi in poliestere, pieni di strane sostanze chimiche e prezzati a pochi euro, anche i vestiti di Zara, H&M e compagnia sembrano di alta qualità, mentre COS sembra addirittura di lusso. E guardando l’enorme crescita sia reputazionale che economica registrata da colossi come Zara o Uniqlo, viene da domandarsi se l’ultra-fast fashion non stia facendo del bene al fast fashion classico.
Una marea che solleva tutte le barche
L'enorme successo che hanno trovato i brand dell'ultra-fas fashion, che inondano il mercato con migliaia di capi al giorno a prezzi stracciati con cicli produttivi di soli 7-10 giorni, ha stranamente portato molta prosperità al fast fashion tradizionale di Zara, Uniqlo, COS e H&M, spingendoli verso una maggiore innovazione, un lavoro sulla loro qualità percepita e iniziative sulla sostenibilità. Proprio oggi, ad esempio, il titolo in borsa di Inditex ha toccato i suoi massimi raggiungendo una capitalizzazione di 174 miliardi di euro, la più alta della moda spagnola.
La marea della moda a buon prezzo solleva davvero tutte le barche: stando ai suoi stessi report, Inditex ha registrato vendite in crescita del 6,2% a valuta costante a 28,2 miliardi di euro nei primi 9 mesi dell'anno fiscale, e solo tra agosto e ottobre gli utili sono stati di 1,83 miliardi; mentre Fast Retailing (che sarebbe la società madre di Uniqlo) ha chiuso l'anno fiscale con ricavi +9,6% a 3,4005 trilioni di yen. Il Gruppo H&M invece è rimasto stabile dopo aver traballato un po’ e risulta oggi essere sostanzialmente né in crescita né in crisi anche se i report parlano di progressi positivi.
Dietro questi risultati c’è sicuramente la spinta al riposizionamento del fast fashion stesso, ma a giocare un ruolo davvero fondamentale è stato l’aumento dei costi di tutto l’abbigliamento in generale che ha fatto di brand come Zara e Uniqlo delle opzioni estremamente appetibili per la sezione mediana del mercato di massa che guarda stile e qualità al di là del risparmio a tutti i costi.
Da fast fashion a fast premium?
Già a marzo Forbes diceva che brand come Zara, COS o Arket erano sulla rotta per essere considerati «mid-tier luxury». Il termine rende l’idea ma non fa impazzire, dato che in pochissimi casi la qualità di questi brand, seppur superiore a quella di Shein, potrebbe definirsi eccellente. Potremmo però definire la nuova categoria come “fast premium” per riflettere cioè il passaggio del vecchio fast fashion in una posizione di mercato più “rispettabile” rispetto al passato: Zara e Uniqlo hanno sdoganato il cashmere per le masse, H&M è addirittura riuscita a collaborare con l’inflessibile Stella McCartney mentre le coperte di Arket sono finite anche tra le opzioni di home decor disimpegnato anche per i più esigenti tra gli amanti dell'arredp.
Al netto di tutti gli sforzi di marketing, i cui risultati sono per così dire solo narrativi e psicologici e dunque intangibili, questa pressione competitiva esercitata sul vecchio fast fashion ha funzionato da catalizzatore per l’innovazione. Zara, ad esempio, ha investito in logistica automatizzata e AI per ridurre i tempi di produzione a 10-14 giorni, portando le vendite nel terzo trimestre a salire a 9,8 miliardi di euro. Sempre Inditex ha introdotto store esperienziali e e-commerce potenziato mentre Uniqlo ha espanso la personalizzazione AI, moltiplicato le collaborazioni e stabilito quasi un’egemonia nel campo dei basics.
Certo, secondo uno studio di Backlinko, Shein possiede praticamente il 18% del mercato fast fashion mentre Bloomberg afferma che metà di tutto il fast fashion degli Stati Uniti proviene dal gigante cinese. Però questo volume di mercato rappresenta più quantità che qualità dato che gli effettivi margini di guadagno di Shein si trovano nella media tra il 3% e il 5% contro quelli del 15-16% di Inditex e quelli al 12,7% di Fast Retailing, cioè Uniqlo. Il che rende questi ultimi due non solo più stabili finanziariamente, ma anche capaci di implementare una serie di miglioramenti ai propri servizi (e qui includiamo anche il design dei negozi, il miglioramento dei materiali e via dicendo) che hanno trasformato tutti questi brand in “fast premium”.
A decidere chi vince sarà la Gen Z
"One of the contradictions we talk about often in Digital Native: Gen Z’s simultaneous love for the environment and penchant for fast fashion. People do like to buy sustainably—but not quite as much as they like a good deal.
— Gustavo da Cunha Pimenta (Gus) (@gustavocpimenta) April 3, 2024
(...)
SHEIN’s trajectory has been stunning: the… pic.twitter.com/Na1wdsN8yv
Una serie di articoli di Business Insider e del NY Times nel corso dell’anno hanno descritto una crescente fatica, nella Gen Z, nei confronti di Shein, dell’incessante flusso di novità e della trasformazione di Internet e dei social media da campo di gioco in centro commerciale. E questo senza nemmeno citare il movimento del de-influencing. Secondo uno studio promosso dal brand newyorchese Jovani lo scorso ottobre, ad esempio, il 65% della Gen Z vorrebbe più qualità nel proprio shopping anche se il fast fashion rimane l’unica opzione per via dei prezzi.
Un altro studio a firma di Michael Brito, più approfondito, mostra che il 64% dei Gen Z intervistati sono disposti a pagare un sovrappiù fino al 10% per prodotti più sostenibili e di qualità. Gli sforzi di rebranding e di implementazione di policy sostenibili promossi da Zara, Uniqlo e H&M che hanno tutti aperto programmi di resale dei capi usati e utilizzo di materiali riciclati proprio per differenziarsi da Shein e Temu potrebbero in effetti rappresentare il tentativo di catturare questo 65% di Gen Z che vuole maggiore qualità ma anche prezzi più accessibili.
Il cambiamento di percezione però si sta verificando. Già brand come COS, Massimo Dutti, Weekday o Uniqlo rappresentano, anche per i consumatori più informati, indirizzi dove acquistare senza colpa con una percezione di qualità maggiore. Arket, Zara, & Other Stories e H&M vanno ancora avvicinandosi a questo status mentre tutti i brand “minori” dei grandi gruppi, come Bershka o Pull&Bear rimangono opzioni ancora giovanili ma godono sia della presenza di retail fisici sul territorio, sia delle policy sostenibili attuate dalle loro società madri (il segmento è praticamente diviso in due tra Inditex e H&M).
E con la nuova tassa sui pacchi extra-UE annunciata la scorsa settimana, nata precisamente per contrastare le spedizioni di Temu e Shein, simile al famoso annullamento dell’esenzione de minimis in America, lo strapotere competitivo dell’ultra-fast fashion e dei suoi costi stracciati potrebbe seriamente vacillare. A decidere cosa succederà, però, sarà la nuova generazione di consumatori che, nei prossimi anni, dovrà scegliere in che segmento del mercato muoversi e che modello di consumo premiare.
Takeaways
- Quest'anno, Zara ha lanciato numerose collaborazioni di successo, tra cui quella con Aaron Levine, che ha contribuito a trasformare la percezione del fast fashion. Queste partnership hanno dimostrato come marchi come Zara stiano sempre più avvicinandosi a un posizionamento "premium", con capsule firmate quasi ogni mese che combinano alta qualità e design sofisticato, cambiando il volto della moda a basso costo.
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- L'ultra-fast fashion, rappresentato da marchi come Shein, ha contribuito a spingere il fast fashion tradizionale verso l'innovazione, migliorando qualità e sostenibilità e portando a una crescita economica per brand come Zara e Uniqlo.
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- L'espansione del fast fashion “premium” (come Zara e Uniqlo) si riflette in miglioramenti come l'uso di materiali più pregiati, la personalizzazione con l'AI e l'adozione di tecnologie come la logistica automatizzata.
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- Nonostante il dominio di Shein nel mercato, marchi tradizionali come Zara e H&M stanno cercando di attrarre la Gen Z, che preferisce maggiore qualità e sostenibilità, ma cerca comunque prezzi accessibili.
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- Il futuro del fast fashion dipenderà dalle scelte della Gen Z, che, con la crescente attenzione alla qualità e alla sostenibilità, potrebbe indirizzare il mercato verso modelli più responsabili e consapevoli.













































