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Come Zara si è appropriata del linguaggio del lusso

E ha hackerato la formula del fast fashion

Come Zara si è appropriata del linguaggio del lusso E ha hackerato la formula del fast fashion
Zara "The Beauty Collection" Campaign by David Sims
Zara SS21 campaign by Steven Meisel
Zara SS21 campaign by Steven Meisel
Zara SS21 campaign by Steven Meisel
Zara SS21 campaign by Steven Meisel
Zara SS21 campaign by Steven Meisel
Zara SS21 campaign by Steven Meisel
Zara "The Beauty Collection" Campaign by David Sims
Zara "The Beauty Collection" Campaign by David Sims
Zara "The Beauty Collection" Campaign by David Sims
Zara "The Beauty Collection" Campaign by David Sims

Del fast fashion è stato detto tutto il male possibile negli ultimi anni: che è poco sostenibile, che sfrutta i lavoratori dei paesi a economia emergente, che copia il lavoro delle case di moda, che è il frutto peggiore del consumismo. A queste accuse se ne può aggiungere un’altra, mossa in origine da @_whereisthecool_magazine nelle sue storie di Instagram: il fast fashion sta iniziando ad appropriarsi del linguaggio visuale e verbale del luxury fashion. Qualche giorno fa, infatti, Zara ha pubblicato la nuova campagna womanswear denominata “après-vacances”, un termine-pastiche che sembra ricalcare la terminologia delle collezioni intermedie della moda come Pre-Fall, Resort, Cruise, Après-Ski e via dicendo.

La campagna, presente sull’account Instagram del brand, che mostra le modelle uscire da un aereo in una serie di outfit smart-chic, richiama tanto i famosi airport looks delle star anni ’90, quanto famosi show a tema aeroportuale come la collezione Resort 2020 e la Pre-Fall 2021 di Louis Vuitton, la collezione SS16 di Chanel e la FW21 di Balmain ma anche campagne di Fendi e Michael Kors. Scorrendo la pagina Instagram di Zara si notano inoltre calchi di svariate campagne di Bottega Veneta, uno shooting sulle Dolomiti che sembra ripreso da The North Face x Gucci oltre che una campagna ad Amalfi che richiama un mood a metà fra Dolce & Gabbana e Jacquemus e una campagna per i cosmetici che ricalca lo stile VHS del nuovo Givenchy.

Parlare come la moda per essere come la moda

Zara SS21 campaign by Steven Meisel
Zara SS21 campaign by Steven Meisel
Zara SS21 campaign by Steven Meisel
Zara SS21 campaign by Steven Meisel
Zara SS21 campaign by Steven Meisel
Zara SS21 campaign by Steven Meisel

Ciò che colpisce non è tanto l’imitazione delle campagne in sé, che di per sé sono anche ben realizzate, ma il notare come in maniera lenta ma apparentemente inarrestabile Zara stia risalendo la metaforica china del mercato, distanziandosi dal fast fashion e avvicinandosi a quell’high street rappresentato sul mercato da COS. Questo processo si svolge appunto tramite l’appropriazione del linguaggio del lusso e dunque, per esempio, le collezioni del brand vengono catalogate per stagioni, con la Fall-Winter 2021 attualmente presente sul sito italiano e le campagne fotografiche che diventano sempre più sofisticate, inclusa la campagna SS21 dello scorso marzo che è stata scattata da Steven Meisel o quella per il beauty firmata David Sims

Zara "The Beauty Collection" Campaign by David Sims
Zara "The Beauty Collection" Campaign by David Sims
Zara "The Beauty Collection" Campaign by David Sims
Zara "The Beauty Collection" Campaign by David Sims
Zara "The Beauty Collection" Campaign by David Sims

L’imitazione del mondo della moda passa anche dal web. Dopo il 2020, l’e-commerce è diventato una categoria molto importante per Zara, che ha anche chiuso moltissimi dei suoi negozi, e che progetta di far diventare il proprio sito la fonte del 25% delle vendite globali entro il 2022, come riporta Pambianco. Uno shift di importanza che viene riflesso dal sito che è bianco, minimalistico, molto elegante e vuole chiaramente evocare la stessa aria iper-patinata di siti come quello di Jil Sander, Bottega Veneta o Celine col suo sfondo bianco, il lettering sobrio, le grandi foto che raccontano capsule e collaborazioni e le immacolate still dei prodotti con disclaimer che parlano della loro produzione sostenibile. Un’estetica molto diversa da quella chiassosa di altri brand di fast fashion come Bershka, ASOS, BoohooMan, Forever21 o Primark. Pagine più minimalistiche invece sono COS e H&M ma che, al pari di Uniqlo, evocano con le loro foto atmosfere familiari e quotidiane, lontane dallo stile da editoriale che ha Zara.

Hackerare il fast fashion

Il business model di Zara è un business model vincente. Ed è logico che il brand si sia riposizionato, anche esteticamente, sul livello dell’high street considerata la fioritura internazionale di altri brand di fast fashion che hanno saturato le fasce del mercato occupate in precedenza proprio da Zara – che adesso vuole proporsi come alternativa intermedia fra l’evidente cheapness di brand come Shein e i costi di un’industria del lusso che, dopo il lockdown, è diventata se possibile ancora più esosa e irraggiungibile. Grazie al trend forecasting, a una ingegnosa organizzazione dell’inventario e soprattutto grazie alla rinnovata cura posta nella cura dell’estetica e dell’immagine, Zara è arrivato infatti ad hackerare la formula del fast fashion, riempiendo quel gap nella fascia medio-alta dei consumi e differenziandosi con decisione dai suoi competitor. 

Allo stesso tempo, se Zara imita l’esteriorità della moda di lusso, la moda di lusso imita l’organizzazione logistica e distribuitiva di Zara con uno shift verso il commercio direct-to-consumer, un abbandono delle stagioni spezzettate in vari drop mensili e una crescente attenzione al gusto della massa. La moda di lusso è in una fase di “zarificazione” in cui, pur sotto le insegne del design, ogni brand deve produrre un po’ di tutto, un fenomeno molto evidente nel settore calzature che ha visto una valanga di slippers di gomma brandizzata riversarsi sui mercati e che, sulle pagine  di Business of Fashion, Liroy Choufan definiva l’anno scorso la “sindrome di Stan Smith”

«Marchi e designer rinomati hanno inondato le loro collezioni con versioni quasi identiche di item di successo come la famosa sneaker Stan Smith di Adidas. [...] Lo stesso vale per molti altri stili – dai sosia degli stivali da trekking ai parka […]. Il business iniziato 150 anni fa come haute couture, e che in seguito è rinato come prêt-à-porter, è stata ricostruito per offrire fast fashion di lusso per le masse».