
Per il suo 50° Zara ha collaborato con Luca Guadagnino, Rosalia, Nick Knight... E tanti altri nomi illustri che ci raccontano una nuova percezione del Fast Fashion
La reputazione di Zara all’interno del sistema moda è sempre stata altalenante: fino a quindici anni fa era visto come un grande magazzino capace di produrre capi di qualità modesta a prezzi accessibili; poi, con l’aumento dei volumi, delle collezioni e l’uso di materiali poco sostenibili, è arrivata l’etichetta di fast fashion. Il brand di punta del gruppo Inditex è stato quindi progressivamente escluso, a partire dai primi anni 2010, dal fashion system, trovando invece una fetta di mercato molto più generalista e meno interessata a chi avesse disegnato il cartamodello originale del trench venduto a 40 euro.
Questo cambio di percezione non è mai andato giù ad Amancio Ortega, fondatore e proprietario del gruppo, che negli ultimi anni ha concentrato energie e investimenti nel tentativo di ripulire l’immagine di Zara, avvicinandola alla moda e persino al lusso. Da lì è iniziato un proliferare di collaborazioni con alcuni dei nomi più rilevanti del settore: dall’ex direttore creativo di YSL Stefano Pilati, alla designer ungherese Nanushka, fino alla supermodella e icona dell’indie sleaze Kate Moss. E se questi nomi potevano già sembrare abbastanza controversi, il listone di cinquanta tra i più grandi creativi internazionali chiamati a collaborare con Zara per il suo cinquantesimo compleanno solleva inevitabilmente domande sullo stato attuale del sistema moda.
La collezione dei 50 anni di Zara
@zara 50 PIECES, 50 CREATORS In celebration of Zara's 50th anniversary, 50 of today's greatest creatives have each designed a limited-edition piece to mark this special occasion. Thank you for being part of this celebration: Alex de Betak, Anna Sui, Annie Leibovitz, Axel Vervoordt, Beka Gvishiani, Cedric Grolet, Charlotte Rampling, Christy Turlington, Cindy Crawford, Craig McDean, David Bailey, David Chipperfield, David Sims, Es Devlin, Ezra Petronio, Fabien Baron, Guido Palau, Harry Lambert, Javier Vallhonrat, Karl Templer, Karlie Kloss, Kasing Lung, Kate Moss, Leslie Zhang, Linda Evangelista, Luca Guadagnino, Ludovic de Saint Sernin, M&M Paris, Marc Newson, Mario Sorrenti, Naomi Campbell, Narciso Rodriguez, Nick Knight, Norman Foster, Paolo Roversi, Pat McGrath, Pedro Almodóvar, Philip Treacy, Pierpaolo Piccioli, Pieter Mulier, Ramdane Touhami, Robbie Williams, Rosalía, Samuel Ross, Sarah Andelman, Sterling Ruby, Steven Meisel, Tim Walker and Vincent Van Duysen. The collection will be available worldwide on October 6th 3 PM CEST / Spain 9 AM ET / New York 10 PM JST / Japan #ZARA50 #50CREATORS sonido original - ZARA
Secondo quanto riportato dal comunicato ufficiale, Annie Leibovitz, Anna Sui, David Chipperfield, David Sims, Luca Guadagnino, Kate Moss, Marc Newson, Naomi Campbell, Nick Knight, Norman Foster, Pat McGrath, Pedro Almodóvar e Rosalía sono tra i nomi che hanno ideato prodotti che spaziano da giacche, borse e sedie fino a un trasportino per animali, in occasione del 50° anniversario del brand. L’obiettivo è celebrare la fondazione di Zara, avvenuta nel 1975 con un progetto inedito che mette insieme cinquanta creativi contemporanei, con ciascuno che ha firmato un capo, disponibile alla vendita a partire dal 6 ottobre. Il tutto sarà celebrato anche con un pop-up speciale durante la Paris Fashion Week, al 40 di Avenue Georges V, dal 2 al 5 ottobre, curato da Sarah Andelman. Lo spazio raccoglierà tutti i 50 pezzi in un allestimento espositivo, arricchito da un programma di talk moderati da Derek Blasberg.
Insomma, per Zara si sono mossi davvero gli Avengers della moda, nomi così irraggiungibili che spesso ormai non si scomodano nemmeno per le Maison. Com’è possibile che Luca Guadagnino sia in prima fila per il debutto di Jonathan Anderson da Dior e, poco dopo, collabori con uno dei brand fast fashion più iconici per creare un maglione? Viviamo davvero in un mondo in cui Pierpaolo Piccioli, alla guida di una delle più grandi maison di Haute Couture, firma una tavola da surf fucsia per Zara?
Le collaborazioni tra i creativi e il fast fashion
Solo qualche settimana fa, Uniqlo dichiarava di non voler essere associato al concetto di fast fashion, pur puntando a diventare uno dei più grandi produttori al mondo. Anche il colosso giapponese ha capito come giocare la carta delle collaborazioni con l’alta moda: dalla linea ricorrente con J.W. Anderson fino alla recente nomina di Clare Waight Keller, ex direttrice creativa di Givenchy e Chloé, come CCO. Eppure, quando si parla di Uniqlo, la percezione resta diversa rispetto a Zara. Collaborare con il brand giapponese viene visto come un gesto di apertura, una mossa democratica per portare il design a un pubblico più ampio. Quando invece a bussare è Zara, l’operazione sembra quasi una transazione: come se i creativi si fossero messi in vendita. Forse perché, a differenza di Uniqlo, il brand spagnolo porta con sé una lunga storia di accuse di plagio, di collezioni intere costruite come un archivio di “dupe” di lusso.
Ad Amancio Ortega, però, dei valori morali importa poco e lo stesso vale per i cinquanta collaboratori coinvolti. L’obiettivo implicito, ma evidente, è quello di intimorire i grandi gruppi del lusso, di essere finalmente riconosciuto come un vero competitor, qualcuno di cui avere paura. In fondo, se Zara riesce a rubare l’aura di esclusività che da sempre appartiene al lusso, cosa resta a differenziarlo da un Louis Vuitton? Sicuramente non la qualità, viste le polemiche ricorrenti su produzione, caporalato e sweatshop che hanno toccato decine di brand nell’ultimo anno.
Zara ha vinto la lotta contro il lusso
the fact zara was able to book nadia lee cohen for the barbie collection campaign OMG pic.twitter.com/jXW7o567K5
— corinne (@MIUCClAMUSE) July 17, 2023
Alla fine, la domanda da porsi non è tanto perché Zara abbia scelto di celebrare i suoi cinquant’anni con un’operazione di questo tipo, ma perché il gotha della creatività abbia accettato di prestare il proprio nome. Se fino a pochi anni fa esisteva ancora una linea di confine tra lusso e fast fashion, oggi quella barriera sembra essersi dissolta, senza che nessuno abbia davvero interesse a difenderla. In un sistema dove i margini si assottigliano e la pressione economica cresce, l’etica e la coerenza non contano più quanto l’esposizione globale.
È vero che queste collaborazioni hanno il merito di rendere la moda più accessibile, ma non si può ignorare che siano soprattutto il sintomo, e non la soluzione, della crisi del lusso. Sono un adattamento evolutivo del mercato, un modo per far costare il design creativo esattamente quanto il pubblico è disposto a pagarlo. Stefano Pilati, per citare il caso più emblematico, resta una figura di culto nella moda, ma fino alla collezione con Zara il suo nome non dice nulla al nazional popolare. Non per mancanza di talento, ma perché la clientela per cui ha lavorato finora è minuscola rispetto al mercato globale dell’abbigliamento, sempre più saturo e polarizzato tra chi ha moltissimo e chi ha quasi nulla.
Alla fine, la vera vittoria di Zara non è aver messo insieme cinquanta firme stellari, ma aver dimostrato che la barriera simbolica che separava il fast fashion dal lusso è ormai crollata. Se il lusso non ha più paura di sporcarsi le mani, allora il fast fashion non è più un’industria parallela ma parte integrante del sistema stesso. E questo, più di ogni maglione o trasportino per animali, è il vero shock. Il momento in cui il fast fashion non imita più il lusso, ma lo ingloba.













































