A Guide to All Creative Directors

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Non si può fare di tutta la moda un lusso

Di Italo Zucchelli

Non si può fare di tutta la moda un lusso  Di Italo Zucchelli

Come nei migliori disaster movie, anche la calamità che si sta abbattendo sulle vendite della moda oggi è stata annunciata e puntualmente ignorata. Mille voci, in ogni parte e settore dell’industria, denunciano da lunghissimo tempo i problemi di sovrapproduzione, di sostenibilità sociale e ambientale, di prezzi elevatissimi, di stagnazione creativa, di mercati grigi e di eccessiva dipendenza dal mercato cinese che, oggi, stanno portando anche le più solide aziende del settore a confrontarsi con fatturati in calo o, nei casi peggiori, con vere e proprie crisi. La soluzione, volendo essere assai semplicistici, si trova probabilmente in un ripensamento dei fondamentali del settore, in una reimpostazione di dinamiche che oggi penalizzano tutti gli attori coinvolti nel grande teatro della moda – dai lavoratori nelle fabbriche fino ai CEO chiusi nei propri uffici all’ultimo piano. 

Oggi ascoltare le voci di chi ci indica le falle del sistema è più importante che mai. Per questo, la prima newsletter di nss del mese di luglio è firmata Italo Zucchelli, designer italiano che alla direzione creativa di Calvin Klein Men’s dal 2004 al 2016, a cui viene attribuito il merito di aver affermato l’estetica Americana del brand nel XXI secolo. In questo articolo, Zucchelli racconta attraverso il suo unico punto di vista lo stato della moda contemporanea, cercando infine una soluzione ai problemi che stanno schiacciando il settore. La risposta, come dice il designer, è una: rimettere il prodotto al centro della conversazione. 

La nostra amata industria della moda si trova a un bivio: da sempre specchio della società e dello stato del mondo, al momento si ritrova nel bel mezzo di una forte crisi di identità, come se fosse stata travolta da un tornado. Diversi fattori hanno contribuito a questa situazione, e non esiste nessuna bacchetta magica o rimedio universale. Nella moda, le più piccole nuances e peculiarità possono fare una grandissima differenza tra azienda e azienda, in differenti aree geografiche. Da eterno ottimista e in nome del mio amore per la moda, quello che farò è esprimere ciò che vedo e ciò che mi piacerebbe invece vedere nel futuro prossimo. Una delle cose più incredibili di questa industria è che è così resiliente e rilevante in termini culturali e finanziari, che credo fermamente esistano vie d’uscita da questa impasse. Negli ultimi dieci anni sono successe molte cose: la nascita e il successivo dominio mondiale dei social media hanno cambiato tutto, da come noi designer creiamo le collezioni alla proliferazione di strategie marketing super aggressive, concepite con l’intento di dominare la conversazione troppo spesso penalizzando la pura creatività. I social media hanno instaurato un linguaggio predominante in cui la moda stessa diventa performativa, lasciando poco spazio alla profondità e alla sostanza. L’enfasi posta sulla narrativa e sullo storytelling dei marchi ha rimpiazzato l’innovazione e la cura per l’artigianalità, gli influencer sono finiti al centro dell’attenzione mentre i vestiti sono stati relegati in una posizione di minore importanza. 

Negli ultimi anni, poi, le cose sono cambiate ancor più radicalmente. Prima, un macro-trend di streetwear durato anni ha lasciato un gradito riverbero di minore formalità nella moda maschile, seguito da una pandemia e dal conseguente aumento vertiginoso dei prezzi. Poi, il dominio del fast fashion, le problematiche relative alla sovrapproduzione e alla supply chain, il predominante concetto di moda come intrattenimento, la frammentazione in una miriade di brevissimi micro-trend e la ricerca spasmodica di fatturati multimiliardari. Tutti fenomeni che hanno drammaticamente alterato ciò che era al cuore di un’industria che ha generato così tanta bellezza, poesia, creatività nel suo primo secolo di esistenza e che spesso ha saputo conciliare arte e commercio in modi veramente magici - pensate a Giorgio Armani, a Romeo Gigli o a Rick Owens. Un altro fattore interessante e poco discusso è quello riguardante l’ossessione contemporanea del considerare moda e lusso come sinonimi, soprattutto nell’ambito del designer fashion. Vivienne Westwood e Alexander McQueen, due dei creativi più prolifici e rivoluzionari, hanno formato le loro aziende non nel nome del lusso, ma in quello della moda, in ribellione verso lo status quo lasciando un marchio indelebile. Abbiamo al momento perso il significato di questa distinzione: non tutto, nello spazio del designer fashion, ha la necessità di essere venduto al mondo come uber luxury.

E adesso? 

Mi chiedo spesso come possiamo, come comunità, rispondere a queste sfide, migliorare, innovare ed evolvere. Come designer e direttore creativo mi pongo questa domanda in modo al contempo idealistico e pragmatico, perché credo veramente che la situazione richieda un approccio che coinvolga entrambi i lati del mestiere - e forse anche perché, da italiano con alle spalle una grande esperienza in America, questo è diventato il mio modus operandi. Creatività e innovazione sono i motori propulsori della moda; buon design, artigianalità e integrità, invece, il carburante. Ma la creatività, il cosiddetto spirito artistico che i grandi designer hanno espresso e che tutt’oggi esprimono in modi così memorabili, potrebbe essere canalizzata in modi più vicini alla vita reale. Le regole stanno aspettando di essere infrante, strade inusuali aspettano di essere imboccate e nuove opzioni sono disponibili per ogni designer, fondatore, direttore creativo, CEO, o azienda disposti a distruggere sistemi obsoleti e a contribuire a resettare un’industria in cerca di reinvenzione. Una mente aperta, un desiderio di sperimentare, il coraggio di abbandonare strade già percorse e inoltrarsi verso territori inesplorati, o ancora un rinnovato desiderio di integrità, di scopo e di passione uniti a una chiarezza d’intento e di esecuzione potrebbero essere la direzione giusta per passare da una logica strettamente commerciale a una più idealistica, che rimetta al centro dell'attenzione i veri valori della moda. Oggi possiamo contare su nuove forme mentis più autentiche e inusuali, su nuovi strumenti e tecnologie rivoluzionarie che ci possono aiutare a potenziare, commercializzare, promuovere e migliorare processi e prodotti in modi fino a poco fa impensabili. Sta a noi farlo, adesso.