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È proprio vero che chi è gentile guadagna di meno? Potere, percezione e il miraggio di un futuro educato

Nel libro Che cos’è il potere, il filosofo coreano Byung-Chul Han ci insegna che il potere è invisibile, che non impone ma seduce, si muove nelle nostre vite attraverso il consenso. È possibile manifestarlo tutti i giorni - in ufficio, su un gruppo WhatsApp, durante la call del lunedì mattina. In questo sistema, la gentilezza è diventata un ostacolo: chi non sa aggredire resta indietro, emotivamente e, forse, anche economicamente. Invece la gentilezza potrebbe salvarci, attivandosi come meccanismo di resistenza culturale.

Il rapporto tra potere e gentilezza è un tema ampio e complesso se messo in relazione alla sfera lavorativa, soprattutto nel settore creativo. Uno studio condotto da Oliver Scott Curry (Oxford University e kindness.org) mostra che la gentilezza, in una società ossessionata dall’efficienza, perde valore economico ma guadagna valore sociale. Il sacrificio, non l’utilità, diventa la misura della sincerità.

La gentilezza paga di meno perché non produce rendimento, ma fiducia, una valuta relazionale e non economica. Negli ultimi mesi, il tema della gentilezza è diventato un trend centrale in podcast e contenuti online, dove content creator e host la consigliano al proprio pubblico per ribaltare i valori del contemporaneo e portarli nella sfera lavorativa. Ma è un lavoro molto radicale è va trattato coscientemente, non come un atto performativo. 

Anche il potere, come la gentilezza, funziona su una logica di interdipendenza. Chi collabora, chi ascolta e chi si mostra disponibile non rinuncia al potere: lo redistribuisce e lo fa circolare. In sistemi complessi - dal lavoro creativo alla leadership culturale - la gentilezza non elimina il potere, ma lo umanizza e lo rende praticabile. Come dimostrano regimi e capi di stato sempre più simili a veri e propri dittatori, il legame tra potere ed economia è indissolubile. Lo vediamo ogni giorno, anche nelle ore di lavoro. Essere troppo gentile può diventare controproducente, soprattutto se il sistema premia chi impone invece di ascoltare.

La società, intesa come macchina del potere, ce lo ricorda costantemente: in politica vengono promossi leader autoritari, mentre a lavoro chi avanza spesso è chi sa semplificare tutto in un'unica direzione, chi sa imporre il proprio comando sugli altri. Figure dal tono forte, dal comportamento «bold» - per usare un gergo molto amato nel milanese - rassicurano i superiori e consolidano le stesse gerarchie che rendono la gentilezza un difetto. Chi invece preferisce la complessità, in un'idea di vecchio sistema in cui il tempo equivale a denaro, viene penalizzato poiché avvertito come poco produttivo

@designarmyofficial it looks so tired #machine #tiktok #fyp #foryou #foryoupage #satisfying #itlookssotired #machinetok #art #artist #exhibit #canthelpmyself Heart To Heart - Mac DeMarco

Una persona può essere gentile per indole, per educazione, o perché valuta che il rapporto con gli altri debba essere improntato su un codice. Negli ultimi tempi, invece, a imporsi è la ruvidezza. I social rappresentano sempre più questa tendenza: alzare la voce è l’unico linguaggio possibile, fatto di titoli bold e strategie al contrario, come il rage-bating che sfrutta l'indignazione per generare engagement. La rapidità con cui comunichiamo, anche nelle cose di ogni giorno, ha convinto chi gestisce i poteri che essere gentili significhi essere improduttivi, con calma e pacatezza che ormai vengono interpretate come timidezza o reticenza.

Nel lavoro creativo la gentilezza non paga, è una valuta simbolica in un’economia che accetta solo performance, ma oggi più che mai ne abbiamo bisogno. Viene in mente il lavoro fenomenale di Jenny Holzer, una delle artiste più importanti della sua generazione con un estratto dalla Survival Series (1983–85) - Savor Kindness Because Cruelty is Always Possible Later.