
Perché girare un film con l’iPhone? Tutto un altro modo di fare cinema
La prima domanda che bisognerebbe farsi quando un film è girato con l’iPhone è: perché? Le motivazioni possono essere varie e vanno da uno spettro che tocca l’artistico fino alla praticità, dall’effetto e l’atmosfera che si vogliono evocare alle disponibilità economiche della produzione e dei filmmaker. Per il regista Danny Boyle, non si trattava certo di una questione di budget. Pur non essendo stato girato con un investimento pari a quello di grandi blockbuster hollywoodiani, il suo 28 anni dopo, sequel dei precedenti 28 giorni dopo (2002) e 28 settimane dopo (2007), nonché apripista per un’ulteriore e prossima trilogia, partiva con un discreto sostentamento. Una somma tra i 60 e 75 milioni di dollari che permetteva all’opera con Aaron Taylor-Johnson e Jodie Comer di camminare - e correre, visti gli zombie - dignitosamente sulle proprie gambe. Eppure, Boyle ha voluto utilizzare degli iPhone 15 Pro Max per le scene del suo horror post-apocalittico, in sostituzione ai classici strumenti che hanno permesso così una sperimentazione sregolata e fantasiosa con cui è andato stabilendosi il gusto estetico del film. Non si è trattato solo di una scelta dettata dal risultato estetico, bensì anche da una cura e attenzione nei confronti dell’ambiente circostante e la possibilità di donare un’autentica libertà agli interpreti.
“28 YEARS LATER was shot using an Iphone 15 Pro Max”
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The iPhone 15 pro max in question pic.twitter.com/8tzcP8x34C
Per il regista britannico, dunque, l’utilizzo degli iPhone ha avuto il duplice intento di non intaccare la natura verdeggiante in cui sono immersi i personaggi - stati usati anche dei droni - e di dare un senso di agilità dovuto tanto alle movenze degli attori quanto, ancor più, della regia stessa. Un risultato entusiasmante che contribuisce all’animo punk di un’opera di un regista in circolazione da più di trent’anni che, a parte dimostrare l’attitudine di Danny Boyle per la ricerca e le spericolatezze artistiche, è la riconferma che per fare cinema, anche del vero cinema, oggi più di ieri le soluzioni sono a portata di mano. La scoperta aveva rivoluzionato l’industria cinematografica a cavallo degli anni Duemila, quando dai 90s in poi le telecamere leggere e digitali avevano sostituito la pesantezza - in termini sia di ingombro che economici - delle camere da presa tradizionali, permettendo a chiunque di poter progettare e girare il proprio film ad un costo modico e che concedeva persino di scoprire e cimentarsi con un’estetica del tutto nuova. Il passo successivo è stato l’avvio degli smartphone.
Sean Baker's 'Tangerine' (2015) pic.twitter.com/ON3pXHhd4x
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Esattamente come le camere digitali, il telefono è diventato un ulteriore sostituto ancora più immediato e ancora più alla portata di tutti. All’inizio, perciò, è ovvio che si è trattato di un utilizzo a scopo principalmente produttivo, per poi diventare solo dopo una forma di sperimentazione più artistica fatta a buon mercato. Basti pensare allo scarto tra due grandi autori, Sean Baker e Steven Soderbergh, i quali entrambi ne hanno usufruito, solo che gli intenti erano diversi così come le modalità di produzione. Per Tangerine, film del 2015 su una sex worker transessuale che vuole fargliela pagare al fidanzato/protettore che l’ha tradita, Baker aveva un budget di 100.000 dollari, il che ha richiesto l’utilizzo di tre iPhone 5s e un'app chiamata Filmic Pro per portare a termine il lavoro. Per High Flying Bird e Unsane, Soderbergh aveva invece ragioni diverse: pur realizzati entrambi con budget indipendenti, i quali non superano i due milioni di dollari, per il filmmaker si trattava di portare le potenzialità degli smartphone nell’ambiente cinema. Per High Flying Bird, serviva l’effetto di realtà e immediatezza che un telefono può suscitare, restituendo un’idea di quotidianità che era ciò che ricercava il regista, facilitato dalla velocità e portabilità che un telefono permette.
Ad essere lodata di High Flying Bird, film incentrato su un agente sportivo della pallacanestro intento a salvarsi la carriera, è la pragmaticità di una storia che ha trovato il giusto connubio tra sceneggiatura e riprese, tra immediatezza del mezzo e ciò che voleva raccontare, in una simbiosi tale da rendere l’iPhone sul set invisibile, dando l’impressione di star riprendendo la vita vera. Che è poi un’altra delle scelte che favoreggia l’uso degli smartphone rispetto alle camere da presa classiche: l’intimità con ciò che è prossimo all’inquadratura, la stessa che si ritrova nell'altra opera di Soderbergh, Unsane. Girato in circa una settimana, il thriller-horror con Claire Foy in cui il regista sembrerebbe essersi affidato ad un iPhone 7 Plus restituisce il senso di claustrofobia della protagonista involontariamente rinchiusa in un istituto psichiatrico mentre cerca di fuggire da uno stalker. Unsane - forse anche più di High Flying Bird - è l’approdo alla sperimentazione massima per Steven Soderbergh, che fin dai suoi inizi nel 1989 non ha mai mancato di confrontarsi con le nuove tecnologie e fare in modo che restituissero il progresso apportato dai mezzi di produzione e le possibilità infinite donate al cinema.
UNSANE was released on this day-March 23, 2018 pic.twitter.com/w4cTLRxH6O
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Non solo Usa, però: a più di ottant’anni, il francese Claude Lelouch nel 2019 ha deciso di girare La Vertu des Impondérables con un iPhone X, dopo che l'uscita nello stesso anno del suo I migliori anni della nostra vita, in cui introduce una sequenza di venti minuti ripresa col telefono su novanta minuti di film. Lelouch è tra i più entusiasti sostenitori dell’introduzione degli iPhone nell’industria cinematografica, considerati una contrapposizione valida dalla rigidità di un settore che può puntare ad una liberazione della settima arte. Dalla Spagna, invece, arrivano nel 2013 il found footage Hooked Up dello spagnolo Pablo Larcuen, primo lungometraggio horror ad aver utilizzato un iPhone 4S per sei giorni di riprese in una villa abbandonata a Barcellona con un budget di 15mila dollari, mentre nel 2018 sempre dalla penisola iberica arriva il primo musical ripreso con un iPhone 7, La tribù, il quale ha sfruttato le possibilità dello smartphone di riprendere con facilità le sue varie location, dalle palestre al chiuso fino alle strade di Madrid.
Gli iPhone non sono più un tabù, né per i lungometraggi, né per i documentari da Oscar come Searching for Sugar Man (2012) o, recentemente, il San Damiano di Gregorio Sassoli e Alejandro Cifuentes, dove un telefono viene affidato direttamente al protagonista della storia incentrata sui clochard della stazione Termini di Roma, annientando ancora di più la distanza tra finzione e realtà. Non lo è nemmeno per i videoclip, in cui anche un gigante come Steven Spielberg si è cimentato con Cannibal di Marcus Mumford nel 2022, né per fantasiosi cortometraggi come Détour di Michel Gondry del 2017. Che sia per la tecnica, l’estetica o il budget, girare con l’iPhone sta diventando sempre di più una scelta convinta. Non solo una moda, ma un altro e più accessibile modo di fare cinema.












































