A Guide to All Creative Directors

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Danny Boyle è sfrenato alla regia di "28 anni dopo"

Ed ha già girato il secondo capitolo della nuova trilogia

Danny Boyle è sfrenato alla regia di 28 anni dopo Ed ha già girato il secondo capitolo della nuova trilogia

C’è un giovane cineasta da tenere d’occhio. È britannico, ha sessantotto anni e sta uscendo con il suo quattordicesimo film. Danny Boyle, classe ’56 e regista dei cult Trainspotting e The Beach, torna sei anni dopo il suo ultimo film Yesterday e lo fa con una sfrontatezza e una vivacità che sembrano appartenere a un professionista alle prime armi. Pieno di un entusiasmo sgangherato e di una voglia di sperimentare folle che applica ad un ulteriore ritorno: 28 anni dopo è figlio della saga aperta nel 2002 e destinato a proseguire con l’immaginario degli zombi voraci e velocissimi ideati dallo sceneggiatore Alex Garland. Sequel di 28 settimane dopo del 2007 che a sua volta fa da apripista ad un’ulteriore trilogia, di cui è stato già girato il secondo capitolo. Il terzo, invece, è ancora da definire, in cerca di fondi per essere realizzato, proprio come accade a quei registi pazzi e indipendenti che hanno bisogno di cercare e scovare in giro finanziatori che credano e investano nei loro folli progetti. Solo che stavolta l’anima indipendente di Boyle e della sua nuova opera è perfettamente inserita in un contesto di produzione industriale. Non per il budget discreto di 75 milioni di dollari, che non ne fanno un kolossal da grandi studios, bensì per la libertà creativa e la voglia di inventare che il regista ha adottato per tornare a raccontare dell’Inghilterra affetta dal virus della rabbia che ha portato alla deriva il paese e che ha la medesima potenza che ebbe il suo iniziale capitolo a cavallo degli anni Duemila. 

28 giorni dopo, infatti, fu il primo film girato completamente in digitale che ebbe una distribuzione su larga scala tanto da diventare un vero successo mondiale, di botteghino e in particolar modo di immaginario (8 milioni di partenza per un incasso finale di 82,7 milioni a livello internazionale). Con il sequel Boyle è voluto partire proprio dalla possibilità di rendere ancora più svelta e dinamica la propria regia, lavorando tanto di attrezzature sul set con il contributo fondamentale del montatore Jon Harris. Una frammentazione continua di immagini, stili, definizioni e formati; una contaminazione tra cinema e arti digitali che si uniscono in maniera schizofrenica all’interno di un’unica opera di genere, snella e intrattenente come poche altre. Utilizzati iPhone e implicati dei droni per non intaccare la vastità della natura verdeggiante in mezzo a cui corrono e si avventurano i personaggi, l’apporto registro dato al film permette una sensazione di modernità e libertà tali da conquistare l’occhio iper-stimolato dello spettatore. Sempre attento e impossibilitato, forse, a cogliere davvero tutto, ma proprio per questo continuamente sollecitato durante la visione di un film che trasforma la sua narrazione rendendola a mano a mano più regolare, mentre scombussola e scuote nella sua prima parte per rendere psicotico e scatenato il movimento registico e il ritmo dell’operazione cinematografica. 

@clubsinemori The biggest movie shot on iPhone #28dayslater #28yearslater #cillianmurphy #movie #movies orijinal ses - Club Sinemori

Uno stile che Danny Boyle si porta dietro dal suo bagaglio, influenzando ogni volta se stesso. C’è la scorribanda impertinente del cult Trainspotting, ma anche le allucinazioni spaziali dello sci-fi esistenzialista Sunshine. C’è appunto il suo primo 28 giorni dopo con le inquadrature in diagonale e le sue piccole porzioni di spazio e di dettagli incorniciati per aumentare l’inquietudine di un’epidemia orrorifica, amplificata dai quartieri isolati e vuoti di una Londra deserta in cui camminava il protagonista Cillian Murphy - che di 28 anni dopo si fa invece produttore. E, in aggiunta, l’integrazione dei telefoni e dei rimandi videoludici, che cambiano la prospettiva come fosse in tempo reale, cristallizzando un colpo prima ancora che venga effettuato. Lo studio del mezzo cinematografico e dei suoi innesti accompagna una sceneggiatura, scritta ancora una volta da Garland, che si asciuga rispetto al portato registico e che diventa sempre più canonica mentre si arriva alla fine, restando coerente riguardo agli inserti tra tecnica e narrazione (persino d’archivio per un montaggio parallelo) che caratterizzano 28 anni dopo

Così le prodezze della tecnologia si fanno da contenitore per l’accettazione del ciclo della vita, del sopraggiungere della morte e della connessione dei legami familiari che per Boyle e il suo sceneggiatore erano il fulcro su cui basare l’intera impalcatura della pellicola. Un mondo diviso in pre e post Brexit che Danny Boyle ha voluto rappresentare usando la metafora della società standardizzata e chiusa del villaggio in cui vivono da superstiti i protagonisti e l’avventura, dolorosa e straziante, che sarà portato a fare il suo giovane protagonista, lo Spike dell’attore quattordicenne Alfie Williams. Una freschezza rigenerante, necessaria ad una saga che vuole ripartire diciotto anni dopo e dà inedito vigore alla storia e, ancor più, a come viene presentata. L’esempio che non importa quanti giorni, settimane, mesi, anni dopo si è arrivati. Bisogna sempre avere il coraggio di osare.