Il nuovo nemico di Trump è Beyoncé? Ma anche Oprah, Bruce Springsteen e tutte le celebrity che hanno approvato la campagna di Kamala Harris

Sembra essere passata una vita dallo scorso 5 novembre, quando l’intera popolazione americana è stata chiamata al voto per scegliere chi, tra Donald Trump e Kamala Harris, sarebbe diventato il 47° Presidente degli Stati Uniti d’America. Chiaramente, ogni giorno dall’Inauguration Day di gennaio a oggi, al popolo del mondo viene ricordato – spesso in maniera involontaria – che Trump è stato il prescelto. Time Magazine ha infatti definito i primi mesi del secondo mandato del Presidente «tra i più destabilizzanti della storia americana». Sembra che, tra una guerra economica con ogni paese su questo pianeta (persino con i pinguini), Elon Musk ufficialmente parte del governo e la morte del concetto di inclusione, i veri problemi di Trump siano dati da nient’altro che Beyoncé. E non solo, il nuovo fronte della sua campagna punitiva ha un obiettivo chiaro, l’industria dell’intrattenimento americana (dopo quella cinematografica). In una serie di post infuocati su Truth Social, Trump ha annunciato l’intenzione di avviare un’«indagine federale» nei confronti di Bruce Springsteen, Beyoncé, Oprah Winfrey e Bono, accusandoli di aver ricevuto pagamenti illeciti da Kamala Harris in cambio del proprio endorsement politico, sotto la falsa etichetta di «spettacoli di intrattenimento».

«Quanto ha pagato Kamala Harris a Bruce Springsteen per la sua scarsa performance?», ha urlato (digitalmente) il Presidente, lamentando che Harris abbia eluso le leggi sul finanziamento elettorale mascherando sostegno politico da performance artistiche. Secondo Trump, Beyoncé sarebbe stata pagata ben 11 milioni di dollari per salire su un palco a Houston, dichiarare il proprio appoggio a Kamala e poi andarsene senza nemmeno cantare una canzone – un’affermazione che, secondo fonti ufficiali e la stessa madre dell’artista, è del tutto falsa. Il New York Times riporta infatti che i documenti della Federal Election Commission indicano un pagamento di 165.000 dollari da parte della campagna di Harris alla società di Beyoncé per produzione eventi, una cifra in linea con i costi standard di produzione di un evento di alto profilo. Similmente, Oprah Winfrey ha ricevuto un milione di dollari tramite la sua casa di produzione per un town hall a Detroit. Bruce Springsteen, che ha recentemente criticato Trump durante un concerto a Manchester definendo il suo governo «una farsa narcisistica», è stato inserito nella lista nera presidenziale per aver suonato ad Atlanta durante la campagna – sebbene al momento non ci sia traccia di alcun pagamento da parte di Harris. Quanto a Bono, l’accusa sembra ancora più pretestuosa: il frontman degli U2 non ha partecipato a eventi con Kamala Harris né ha pubblicamente espresso supporto, sebbene sia noto per i suoi rapporti con l’ex Presidente Joe Biden.

Eppure, in questo mare di accuse non sono minimamente state menzionate le lotterie di Elon Musk, che durante la campagna elettorale di Trump aveva lanciato una singolare iniziativa nei cosiddetti swing states. Si trattava, formalmente, di una petizione in difesa della libertà di parola e del diritto costituzionale a possedere armi. In cambio, si accedeva automaticamente a una “lotteria” da un milione di dollari al giorno, con un vincitore estratto quotidianamente fino al 5 novembre. Un’operazione che, dietro l’apparenza di un esercizio patriottico, si è rivelata un sofisticato strumento di profilazione politica, dato che ogni firmatario finiva nei registri elettorali e veniva inserito in una rete di comunicazione diretta, utile per invii promozionali pro-Trump. Il tutto è, tecnicamente, vicino a essere anticostituzionale, secondo i celeberrimi criteri con cui il Presidente muove accuse verso Harris e metà dell’industria dell’intrattenimento. Negli scorsi mesi, infatti, è stata avviata un’azione legale in Texas da parte di alcuni elettori, che hanno denunciato Musk per presunta frode e violazione delle leggi sulle pratiche commerciali ingannevoli, sostenendo che la sua “lotteria” fosse in realtà una manovra illegale per raccogliere consensi. Reuters riporta che i querelanti affermano che Musk, attraverso il suo comitato America PAC, abbia promesso premi in denaro estratti a sorte, inducendo così con l’inganno migliaia di elettori a firmare la petizione. Musk, da parte sua, ha rigettato le accuse, sostenendo che i partecipanti fossero stati informati del fatto che non si trattava di un’estrazione casuale, ma di una selezione per individuare potenziali portavoce del comitato. In un caos del genere, le accuse sollevate da Trump, prive di fondamento legale e costruite su speculazioni non verificate,  rientrano in una narrazione più ampia: quella di una presidenza in cerca costante di nemici, reali o immaginari. Se prima era Taylor Swift, ora è Beyoncé. Chissà chi sarà la prossima, forse Rihanna?