I dazi di Trump saranno un problema per le auto tedesche E per molte altre merci: il rischio di una guerra commerciale globale è molto elevato
Era il 2018, quando il Presidente Trump – durante la sua prima carica – aveva dichiarato all’ex Presidente Francese Emmanuel Macron in un loro incontro che avrebbe fatto di tutto in suo potere «per non vedere più nessuna Mercedes sulla 5th Avenue di New York». Sette anni dopo, l’obiettivo del Presidente sembra essere rimasto il medesimo. Tra le imprese e i governi di quasi tutto il mondo c’è molta preoccupazione per i controversi dazi annunciati recentemente da Trump. La misura rischia di compromettere il commercio internazionale e le esportazioni verso il mercato statunitense, per via delle tassazioni che penalizzeranno le merci – con il pericolo di concreto di una recessione globale e un innalzamento dell’inflazione. I timori hanno avuto ripercussioni immediate nei mercati finanziari di tutto il mondo: molti investitori cercano di liberarsi dei titoli in borsa delle aziende più esposte al commercio con gli Stati Uniti, cosa che comporta cali significativi nei valori delle azioni. Uno dei settori più colpiti è quello automobilistico, che non a caso è stato il primo ad prevedere ritorsioni. Volkswagen, che sta attraversando una forte crisi, ha annunciato di introdurre una commissione-extra sulle sue auto importate dagli Stati Uniti, e ha comunicato ai concessionari del Paese l’intenzione di revocare tutti gli sconti previsti. L’azienda tedesca ha inoltre deciso di bloccare l’accesso a tutti i suoi veicoli in attesa di entrare negli Stati Uniti.
25% tariff on imported cars and car parts, when dealerships are already struggling to get inventory off the lots… pic.twitter.com/kI0rS5zGNv
— Vivian (@suchnerve) March 27, 2025
Secondo le stime di Bloomberg, l’eventuale introduzione dei nuovi dazi voluti da Trump potrebbe cancellare fino a un quarto dei profitti operativi previsti nel 2026 per Porsche e Mercedes-Benz, costringendo i produttori ad alzare i prezzi o a trasferire parte della produzione negli Stati Uniti. Per un marchio come Porsche – già in difficoltà sul mercato cinese e ora concentrato sull’export verso gli USA, diventato nel frattempo il suo principale mercato estero – l’impatto rischia di essere particolarmente critico. Attualmente, infatti, la casa di Stoccarda non ha alcuno stabilimento produttivo sul suolo americano e i concessionari statunitensi sono totalmente dipendenti dalle importazioni. Una dipendenza strutturale che potrebbe trasformarsi in un boomerang, anche per colossi come Volkswagen – già in crisi e pronta a sospendere gli sconti sui propri veicoli importati – e BMW, che si troverebbero a operare in uno dei mercati più redditizi del mondo con margini drasticamente ridotti. A soffrire, però, non sarebbero solo i marchi di lusso: anche fornitori strategici come Bosch e Continental sarebbero colpiti dalla nuova ondata di protezionismo. I dati Bloomberg confermano quanto la dipendenza dalle importazioni sia trasversale: l’80% delle auto Volkswagen vendute negli USA è prodotto all’estero, così come il 63% di Mercedes-Benz, il 52% di BMW.
@frontline_focus The management teams of several #German car brands, including Mercedes-Benz, #BMW, and #Volkswagen, have expressed opposition to the new tariffs on Chinese EVs proposed by the European Commission a few days ago. #tariffs #EU #EV #EuropeanCommission original sound - Frontline Focus
«Nel 2024 i brand tedeschi del settore [automobilistico] hanno riversato nel mercato statunitense quasi 450mila automobili, equivalenti a circa 25 miliardi di dollari in vendite. Per Berlino gli Usa restano il più importante approdo commerciale per i prodotti nazionali, perfino più dello sconfinato mercato cinese», spiega Il Manifesto. Inoltre, la filiera dei veicoli destinati agli Stati Uniti da tempo coinvolge l’intero Nord America – dunque non solo gli Stati Uniti, ma anche Messico e Canada. In questo senso, i dazi sono un enorme problema non solo per le auto che entrano nel Paese, ma anche per il commercio delle singole componenti e di semilavorati, che spesso vengono spediti da uno stabilimento nordamericano all’altro. Per questa ragione Il Manifesto parla di «un embargo insuperabile». Secondo un recente sondaggio, oltre l’80% delle aziende automobilistiche tedesche di medie dimensioni prevede che subirà le ripercussioni dei dazi imposti da Trump, i quali – con ogni probabilità – non intaccheranno solo il mercato dei grandi marchi. Per la Germania, «con prodotti che costeranno il 25% in più al consumatore americano, la sfida di superare l’era-Trump con il minore dei danni possibile appare una missione quasi impossibile». Ma la misura non danneggia solamente le aziende tedesche. Stellantis, multinazionale con sede nei Paesi Bassi, ad esempio ha già detto che interromperà la produzione di automobili in due stabilimenti in Messico e Canada, e che licenzierà quasi mille dipendenti negli Stati Uniti. Anche Tesla non ha accolto con favore l’introduzione dei dazi: l’azienda di Musk si procura molti componenti per i suoi veicoli elettrici da diversi Paesi stranieri, su cui il governo statunitense ha per l’appunto imposto commissioni parecchio problematiche.
Perché i dazi di Trump non hanno senso
La banca centrale statunitense, la Federal Reserve, non ha nascosto che i dazi in questione rischiano di rallentare la stessa crescita economica degli Stati Uniti. In sostanza, la misura è appoggiata solo dall’amministrazione-Trump. Il suo staff è convinto che importare più merci di quanto se ne esportano in un determinato Paese sia un segno di debolezza commerciale. In realtà, per la teoria economica, non è affatto così. I dazi, infatti, sono uno strumento che gli esperti ritengono ormai superato, la cui efficacia è stata messa in dubbio dai benefici di decenni di globalizzazione. Questo genere di tassazione, inoltre, spesso porta a risultati controproducenti. Ad esempio, nel 2018 Trump iniziò una guerra commerciale contro la Cina, e questa rispose imponendo a sua volta dazi, soprattutto sui prodotti agricoli statunitensi, che danneggiarono notevolmente il settore. L’amministrazione-Trump si vide quindi costretta a destinare la quasi totalità degli introiti ottenuti dai dazi agli stessi agricoltori in difficoltà, annullando ogni possibile margine di guadagno. Se questo non bastasse, la gran parte degli economisti ha giudicato del tutto insensate le modalità con cui sono state calcolate le imposte annunciate di recente. La misura di Trump si applica poi a più di 100 Paesi del mondo, compresi storici alleati degli Stati Uniti – tra cui Israele. La cosa sorprendente è che nella lista complessiva dei territori colpiti sono presenti anche luoghi disabitati, che naturalmente non hanno alcun rapporto commerciale con gli Stati Uniti. È ad esempio il caso delle isole Heard e McDonald, formalmente amministrate dall'Australia, che si trovano nel mezzo dell’Oceano Atlantico e in cui ci sono per lo più pinguini. Un altro posto bizzarro a cui sono stati imposti i dazi statunitensi sono i Territori britannici dell’oceano Indiano, tra la Tanzania e l’Indonesia, dove l'unica presenza umana è costituita dal personale dello stesso esercito statunitense, stanziato in una base militare.