
Quest’anno al Met Gala hanno tutti giocato sul sicuro Ma hanno più o meno giocato bene
Per essere un Met Gala dalle premesse così progressiste, i look che abbiamo visto ieri sul red carpet (o meglio, blue carpet) quest’anno erano parecchio conservatori. Con al centro il tema del Black Dandy e dunque incentrato sul punto d’incontro tra sartoria e identità delle comunità afrodiscendenti sia dentro che fuori dall’America, l’evento di quest’anno è stato una parata di look da sera e completi white-tie re-immaginati in modo parecchio interessante in certi casi. A portarsi a casa la serata sono stati senza dubbio Sergio Hudson, Wales Bonner, Marc Jacobs e Thom Browne – mentre star come Rihanna, Diana Ross, Andre 3000, Damson Idris, Khaby Lame, Christian Latchman e Lupita Nyong'o, ma anche Lana del Rey, Jeff Goldblum, Hunter Schafer ed Emma Chamberlain hanno regalato look assai memorabili. Il look migliore è stato il primo, quello di Teyana Taylor, che rappresentava alla perfezione il tema. Il look più discutibile quello di Amelia Gray, presentatasi in un lool custom di Valentino che includeva un durag e riusciva insieme a coprire completamente la modella e dare comunque l’impressione di denudarla senza per altro risultare sexy - più Grey Gardens che Amelia Gray. Il look più di nicchia invece era d’archivio: Jeremy Pope in un bustier di Maison Margiela della collezione FW97 – dalle foto non sembrava molto vistoso, ma è stata una scelta particolarmente cerebrale per una serata dove le padrone erano giacche e cravatte.
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— Louis Pisano (@LouisPisano) May 6, 2025
E al netto di brand e designer che si sono evidentemente divertiti nel creare i propri look, Alessandro Michele in primis, è stato forse strano vedere Louis Vuitton osare così poco da sponsor della serata: sì, il blazer di perle indossato da Pharrell era a livello dell’haute couture, ma il resto dell’outfit era decisamente basico e il nodo della cravatta fuori posto (nonostante il suo ruolo da co-chair del Gala); tutte le donne vestite dal brand erano praticamente in mutande e la mega-star Lisa (a onor del vero bellissima dalla vita in su) portava ricamati sulle sue “culottes a dentelle” la faccia di Rosa Parks – che francamente non sappiamo quanto sarebbe stata contenta di essere ritratta su un pezzo di biancheria intima. Altrove sia Doechii che Pusha T e Future indossavano look più strutturati ma parecchio commerciali.
Il tema del “commerciale” non è stato secondario sul red carpet di ieri sera: non solo loghi e borse spesso in bella vista ed evidentemente portati per sbandierare un logo, ma anche con look che in certi casi parevano prelevati direttamente dalla sfilata o comunque creati senza enormi sforzi mentali. Zendaya e Anna Sawai, ad esempio, indossavano lo stesso identico look – una citazione a Diana Ross in Mahogany, certo, ma una sovrapposizione che per il Met Gala è francamente imperdonabile considerato che i brand che le vestivano (Louis Vuitton e Dior) fanno parte del più grande e ricco conglomerato di lusso del mondo. Le donne vestite da Saint Laurent erano in semplici completi neri – strano per un brand che nella fila delle sue muse e volti storici possiede Mounia Orosemane che era stata vestita dal fondatore Yves in mille maniere diverse se fossero servite reference. Anche il Tom Ford di Haider Ackermann non si è avventurato molto in là – mentre per i look di McQueen si è attinto direttamente ai look sfilata. Lo stesso per almeno un paio di look di Valentino, anche se quello di Lana del Rey, bellissimo, proveniva direttamente dalla collezione Haute Couture. Una delusione, spiace dirlo, è stato A$AP Rocky, vestito total look nel suo brand AWGE, che però purtroppo ha indossato un completo nero con cravatta, sotto un impermeabile a tre quarti che, gioielli a parte, era più “minimo” che minimale. In generale, comunque, la predominanza di giacche e di look bianchi e neri ha creato l’impressione di un Met Gala più stilisticamente moderato e, nel complesso, di un gruppo di outfit eleganti nel quale le singole eccezioni o i look più visivamente pesanti si perdevano in una generale impressione di buon gusto e compostezza.
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Se gli uomini hanno giocato molto con i gioielli e molte donne hanno abbandonato i pantaloni o le gonne, nel corso della serata, si è notata una curiosa tendenza forse dettata dal tema della sartoria maschile: una serie di look femminili che provavano a mescolare gonne e strascichi con pantaloni da smoking ma con un effetto molto alterno. Andra Day, Jennie Kim, Mona Patel, Coco Jones, Keke Palmer, Jennifer Goicoechea Raymond, Ego Nwodim, Deborah Roberts e Jodie Turner-Smith erano tutte in una variazione di questo look. Cynthia Erivo in Givenchy ci andava vicino: giacca e gonna c’erano ma la parte anteriore di quest’ultima mancava lasciando le gambe scoperte – concettualmente è la quasi la stessa silhouette. Un tipo di stile molto Y2K-coded che ha avuto un curioso contrappunto nel look Courréges di Emma Chamberlain e soprattutto nella sua acconciatura pre-2005. Così come diversi look che del dandy recuperavano l’anima vittoriana con forme esagerate ricordavano la fascinazione che due decenni fa si provava per il mondo del circo e del burlesque in salsa ottocentesca.
Identica impressione hanno dato i molti cappelli a tesa larga o comunque dal vibe anni ‘40/’50 che ricordavano da molto vicino i fedora onnipresenti nel medesimo decennio. A essere uscita da una festa di vent’anni fa era invece Anne Hathaway e con la sua camicia e la sua lunga gonna non è mai stata così “business casual”. Il che è bizzarro perché collettivamente la moda sta continuando già da qualche anno a sorvolare con insistenza quel decennio indecisa se atterrare sull’era del bling o so quella della crisi economica del 2008. Che in questo Met Gala saremo capaci di leggere, a distanza di settimane o mesi, degli inequivocabili recession indicator? Con le tariffe di Trump, immaginiamo di scoprirlo presto. Forse, però, considerato l’annuncio che quest’anno il Met ha raccolto 31 milioni di dollari, una cifra record rispetto ai 26 milioni dell’anno passato, questo Met Gala è stato un successo. E considerato il clima politico in cui si è svolto, ovvero l’America sempre più chiusa di Trump, si potrebbe pensare che il maggiore rigore estetico visto quest’anno sul red carpet sia stato voluto per un’edizione che fosse più “Gala” e meno “Met”.














































