A Guide to All Creative Directors

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Perché le sfilate della fashion week si stanno restringendo?

In tempi di crisi si stringe la cinghia – insieme alla lista degli invitati

Perché le sfilate della fashion week si stanno restringendo? In tempi di crisi si stringe la cinghia – insieme alla lista degli invitati

Intimità e grandiosità – quale delle due fa funzionare una sfilata? Molti brand (e di conseguenza molte agenzie PR e di produzione) devono esserselo chiesto in questa stagione FW25 che sta per chiudersi e in cui, oltre ai trend della moda, sono emersi trend nell’organizzazione stessa degli show. Da un lato ci sono stati i mega-show di Valentino e Balenciaga, ma anche quello di Courreges, a Parigi; e quelli di Fendi, di Diesel e di Dsquared2 a Milano – dall’altro le presentazioni ristrette e sussurrate di brand come The Row o Tom Ford, ma anche lo show di Givenchy e soprattutto la chiacchierata, frequentatissima presentazione di Loewe a Parigi dove personaggi grandi e piccoli della moda sono andati a porgere omaggio all’ultima (presumiamo, ma ormai la cosa pare fatta) collezione di Jonathan Anderson per Loewe. In generale, le due diverse modalità con cui una sfilata è stata organizzata seguono due diversi approcci: lo show blockbuster vuole massimizzare la visibilità sui social media; quello intimo pone l’accento sull'artigianalità e sul lusso. Nel caso degli show “a portata ridotta”, però, che quest’anno si sono moltiplicati è emerso un problema segnalato da Vogue Business con un recente articolo e cioè quello di editor e fashion workers che si vedono negato un invito o a cui si chiede di assistere allo show in piedi o, come si dice in gergo in Italia, “in piccionaia” a sottolineare come il restare in piedi rappresenti in parte una specie di contentino. Secondo Vogue però il cambio di marcia nella capienza degli show inizia a diventare allarmante: dai classici show da 500 o 1000 posti si è passati a show come quello di Givenchy e Tom Ford che ne avevano solo 200-300 e non stiamo parlando di piccoli brand indipendenti ma di grandi brand storici oltre che di due dei debutti più attesi della stagione. 

@fashi0nd0ll Tom Ford's Fall/Winter 2025 Paris Fashion Week #parisfashionweek #fw25 #Runway #tomford #foryou #fyp #foryoupage #TikTokFashion #fashion #model original sound - Franklin Saint

Sia Burton che Ackermann hanno sottolineato, rispettivamente a Vogue Runway e al New York Times. di voler rendere i loro show più intimi - Hackermann ha anche aggiunto che, secondo lui, il vero lusso non dovrebbe essere universalmente accessibile. Ma anche Louis Vuitton e Schiaparelli hanno optato per sfilate meno enormi quest’anno. Duran Lantik, dal canto suo, ha tenuto uno show per soli 200 invitati. Quelli di The Row erano probabilmente anche di meno. L’unico problema è che la moda è un business di relazioni: nello scegliere chi può entrare e chi no serve non solo fare estrema attenzione a non calpestare i piedi a nessuno ma anche dosare la presenza di giornalisti, buyer e celebrità/influencer per far sì che lo show abbia la giusta visibilità e il giusto posizionamento. Va aggiunto che nel caso di quest’ultima categoria si aggiunge anche l’ulteriore sforzo logistico di collaborare con i loro stylist, inviare look per lo show e produrre tutti i diversi contenuti. Non è un mistero che ormai, per numerosi show, oltre a inviare le show notes e i look di sfilata alla stampa, sempre più brand includono anche foto di front row e ospiti che spesso diventano più numerose di quelle dello show stesso. Quando si parla di stampa e buyer invece si fa come si può: si invitano i dirigenti di pubblicazioni, showroom e retailer vari destinando agli altri inviti ai re-see – chi riporta per i social media invece ha libero accesso a backstage e front row ma di solito non agli show. Secondo i dati di Launchmetrics, riportati sempre da Vogue, il valore mediatico di un singolo posto a una sfilata di moda può valere fino a 77.000 dollari in termini di menzioni negli articoli, interazioni sui social e visibilità complessiva generata da un partecipante.

Il discorso non riguarda solo una questione di estetica e di approccio alla presentazione ma anche, banalmente, di costi. Le sfilate possono costare centinaia di migliaia, se non milioni, di euro, e tanti i brand stanno facendo economia: meno spettatori ma spettatori più giusti consentono meno dispendio in termini di set-up e location, investimenti più mirati nei talent. Con le vendite in calo, poi, e una clientela che va invecchiando anche per questioni relative al potere di spesa, invitare e stipendiare celebrità della Gen Z che portano visibilità ma non vendite è un tipo di investimento sempre più soggetto a ripensamenti. Una clientela più avanti con l’età insomma va sedotta con altri metodi: un dato visibile già a partire da recenti campagne come quelle di Zegna e Burberry è che il focus sull’heritage e sulla qualità va mano nella mano con l’apparizione di volti più maturi sia nelle campagne che nelle passerelle. Anche il ritorno di numerose top model anni ’90 nei recenti show di Milano e Parigi sembra indicare non solo a una figura di “cliente ideale” più âgé ma anche a inserire nello show volti che individui meno connessi al mondo dei social possano riconoscere con facilità. Bisogna essere come minimo pratici di TikTok per apprezzare Alex Consani o sapere chi sia Noah Beck – ma tutti sanno chi sono Naomi e Carla Bruni.

@nssmagazine Take a closer look at Schiaparelli FW25 show in Paris. Which one is your favorite look? #parisfashionweek #pfw #paris #runway #fashiontiktok #tiktokfashion #gigihadid #alexconsani #monatougaard #schiaparelli #fashionshow lilacs - slowed - velours & azrxel & abxddon

Un altro tema interessante sollevato da Vogue Business è quello della sovraesposizione mediatica: The Row genera più attesa e attenzione con un divieto di far foto e un lookbook pubblicato a giorni di distanza di quanto riescono a fare tanti altri brand spendendo cifre considerevoli e creando un gran chiasso sui social, spesso alimentato da fandom molto devote che però raramente diventano clienti. E stando ai dati di Lefty e Karla Otto, Dsquared2 ha realizzato 16,2 milioni di dollari in EMV col suo mega-show è anche vero che Bally, coi suoi 100 invitati o giù di lì, ha superato in visibilità sia Armani che Blumarine. È chiaro, ovviamente, che il format della sfilata non sta cambiando né cambierà radicalmente. Per il debutto di Blazy da Chanel o del prossimo direttore creativo di Gucci, di chiunque si tratterà, possiamo ancora attenderci dei mega-show. E lo stesso vale per tantissimi altri brand diventati giganti sul mercato come i vari Dior o Prada ma anche Diesel che basa molto della sua popolarità su un format accessibile (per via più o meno telematica) esattamente come sono accessibili i suoi prezzi.  E forse anche questo cambio di marcia negli show, così come i movimenti di de-investimento che osserviamo al momento solo in poche frange dell’industria, insieme all’accorciamento della supply chain testimoniato dalla costante acquisizione di manifatture locali da parte di giga-società (l’ultimo è stato Chanel) fa parte di una parabola di ridimensionamento di un’industria del lusso che ha toccato il tetto massimo di crescita a cui poteva aspirare e ora deve capire come stabilizzarsi. Una moda più piccola sarà anche una moda migliore?