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L’arte di sapersi ritirare dalle passerelle

I belgi e gli americani sono maestri – gli italiani e i francesi un po’ meno

L’arte di sapersi ritirare dalle passerelle I belgi e gli americani sono maestri – gli italiani e i francesi un po’ meno

Qualunque sistema di potere è più fragile nel momento della successione – brand di moda inclusi. Ed è per questo che il format preferito da diversi brand negli ultimi anni è quello del passaggio di consegne “soft” dal founder al suo successore. Lo ha fatto Tom Ford con il suo secondo in comando Peter Hawking, lo ha fatto nel 2018 Carolina Herrera con Wes Gordon, lo ha fatto anche Jean-Paul Gaultier istituendo il format del guest designer nel 2020 e, nella maniera forse più soft di tutte, lo ha fatto Miuccia Prada nello stesso anno quando ha arruolato Raf Simons, predisponendo lo scenario per il suo congedo (che speriamo non avvenga per un altro secolo) e inaugurando tra l’altro una fase di grande successo per l’intero gruppo a cui Prada fa capo. A quanto pare è anche quello che sta facendo Michael Kors che, secondo WWD, ha già avviato con discrezione la ricerca di un successore che possa gradualmente sostituirlo dopo aver venduto per 8,5 miliardi di dollari il suo gruppo, Capri Holding, a Tapestry Inc. lo scorso agosto, creando un conglomerato da 12 miliardi che include Kate Spade, Coach, Stuart Weitzman, Jimmy Choo e anche l’italiano Versace – brand, questi ultimi due, che secondo le speculazioni di WWD potrebbero essere nuovamente venduti per recuperare i fondi spesi nell’acquisizione. È quello che sta facendo anche Dries Van Noten, che ieri ha annunciato il suo congedo dalla direzione creativa del proprio brand di cui rimarrà comunque presidente e l’avvio della ricerca di un nuovo direttore creativo che dovrà prenderne le redini. 

La notizia del congedo di Dries Van Noten è sicuramente triste, ma ha fatto ricordare a chi scrive della frase pronunciata da Tom Ford durante la sua ultima intervista con GQ dedicata al momento del suo congedo dalle scene. Parlando di come il culmine della sua carriera fosse stato il suo decennio da Gucci Ford disse: «È stato tutto lì. E ho continuato a perfezionare quello stile per il resto della mia carriera. Ho avuto dieci anni a disposizione – e credo che sia tutto quello che si può avere. […] Pensa ai Beatles. Se guardi bene e vedi per quanto tempo sono esistiti, sarà stato per sette, otto anni. Nulla». Parole che, in breve, pongono un limite agli anni in cui si può essere ancora rilevanti prima di diventare ripetitivi – un monito spesso gravemente sentito nel mondo della moda, dove sono in gioco aziende di famiglia, orgogli personali e ricavi (nel migliore dei casi) altissimi. Come in ogni altro discorso che si può fare sulla moda, la questione si riduce sempre al dilemma di “arte vs. profitto” che risolvere è praticamente impossibile.

Va però notato un pattern ricorrente: i designer belgi sono maestri nell’arte di ritirarsi dalle passerelle. I maestri assoluti sono stati Martin Margiela e Ann Demeulemeester che, rispettivamente nel 2009 e nel 2013, hanno affidato lo scettro della direzione creativa ad altri e si sono dedicati ai propri progetti. Ci sono poi stati An Vandevorst e Filip Arickx che nel 2020 hanno chiuso A.F. Vandervorst dopo 22 anni dicendo che «le dinamiche del mondo della moda sono cambiate. 
È più impegnativo, incerto e dirompente che mai.
Ci siamo resi conto che non saremo in grado di mantenere lo stesso livello di creatività e di concentrarci sulla narrazione, piuttosto che sul prodotto, e di lavorare nel modo che ci ha sempre contraddistinto» aggiungendo anche che «l’esclusività, l’intimità – sono sparite». Nel 2022 toccò anche a Raf Simons che, dedicandosi del tutto a Prada, decise di chiudere un brand leggendario il cui acme era stato raggiunto da tempo. Uscendo dall’area strettamente belga, ma rimanendo sempre nel Mitteleuropa, altre tre leggende del design sono rimaste celebri per il proprio congedo: Thierry Mugler, ritiratosi formalmente nel 2002 per un mix di difficoltà economiche e tensioni creative; Jil Sander che si è ritirata dalle scene addirittura tre volte, nel 2000, nel 2003 e nel 2012; e poi ovviamente Helmut Lang che, dopo una tormentosa relazione di business con il Gruppo Prada e una mancata evoluzione stilistica nel passaggio dal minimalismo anni ’90 ai ben più pacchiani primi anni 2000, decise di dedicarsi al mondo dell’arte e lasciar perdere la moda del tutto.

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È facile notare, però, che i designer belgi che abbiamo citato si sono fermati quando erano ancora in vantaggio, come si dice negli USA, mentre tutti gli altri sono usciti dal proprio brand dopo diverse batoste commerciali o acquisizioni e gestioni sofferte e difficili. In breve c’è chi se ne va e chi viene scacciato. La differenza, pare, è culturale: Tom Ford, in effetti, ha deciso di ritirarsi dopo un grave lutto familiare e non si sa se, senza questo evento traumatico, si sarebbe effettivamente ritirato; Jil Sander è andata e venuta dal proprio brand, ha collaborato a più riprese con Uniqlo e non ha dato segnale di voler cambiare vita o mestiere; Mugler tornò nel suo brand come “consulente” mentre nomi leggendari come Valentino Garavani e Yves Saint Laurent, più che ritirarsi, andarono in pensione giunti a un’età avanzata. Quello dei designer belgi, invece, che decidono di preservare il proprio lascito cristallizzandolo in un’era ben delimitata, è un atteggiamento segnato da grande intelligenza e umiltà che si pone in netto contrasto con le pretese commerciali di crescita continua e ininterrotta che la moda ai tempi delle quotazioni di mercato possiede – ma anche dell’altra pretesa, forse più dettata dall’ego, di avere ancora qualcosa di attuale da dire nel bel mezzo di una stagnazione. Ma non si può chiedere a nessuno, e questo per rispetto, di scendere dalla cresta dall’onda.