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Cosa ci dice l’addio di Raf Simons sullo stato dell'industria della moda

C’è ancora spazio per la creatività nella fashion industry?

Cosa ci dice l’addio di Raf Simons sullo stato dell'industria della moda C’è ancora spazio per la creatività nella fashion industry?

È il 2014 quando Raf Simons, appena arrivato da Dior, già lamenta i ritmi frenetici della Maison francese e le scadenze imminenti in un’intervista con Suzy Menkes per Vogue UK. In particolare, sottolinea il suo rammarico per l’impossibilità di prendere parte al Frieze, il Festival di arte contemporanea londinese e sua grande fonte di ispirazione, domandandosi come la creatività possa essere saziata se non alimentata nel modo più giusto. Così come il saggio è colui che beve quando ha sete, il creativo dovrebbe essere colui che pensa quando realizza e di conseguenza crea.

Ma oggi nel mondo della moda abbiamo ancora il tempo di pensare e quindi di creare? Due Main Collection a cui bisogna aggiungere le due Pre, almeno 4 campagne, decine di progetti digitali e migliaia di contenuti da produrre tramite linguaggi e piattaforme completamente differenti e in continua evoluzione: è il peso che spesso non permette al genio creativo di levarsi, di liberarsi dalle scadenze ansiogene ed esprimersi a pieno. La moda è però un’ industria da 80 miliardi solo in Italia e quasi 20 trilioni in tutto il mondo, motivo per cui non tener conto della forza commerciale o commerciabile di una idea, di un progetto, sarebbe folle. Ma in questo scenario al cardiopalma, da dove nascono le idee e soprattutto quanto durano?

Nel 2009 Martin Margiela rifiutava il vile compromesso, le imminenti scadenze e probabilmente anche la rivoluzione digitale per preservare la sua arte, il suo silenzio e in qualche modo il suo intero lavoro. Oggi Raf Simons, una delle figure contemporanee più influenti del mondo della moda e co-direttore di Prada al fianco di Miuccia Prada, ha deciso di fermare la sua linea personale, voce della rivolta stilistica delle nuove correnti underground - prima culto e già ossessione delle generazioni future. La sua forza è stato il peso del suo percepito, a volte addirittura troppo concettuale, e quindi difficilmente accessibile, per tutte le generazioni che prima ha irretito e poi conquistato. Da Tumblr a TikTok passando per Grailed e Instagram, l’estetica di Raf Simons costituisce la reference degli abiti 2.0 per eccellenza. 

Eppure tutto questo pare non sia stato sufficiente: perché se da un lato la scelta non sembra inaspettata ed è forse dettata dal suo maggiore coinvolgimento su Prada - il duo Raf-Miuccia, dopo tanta fatica, pare stia trovando un terreno stilistico comune - dall’altro negli ultimi anni sono emerse una certa stanchezza e la mancanza di argomenti rilevanti in grado di catturare l’attenzione come fatto in passato. E se invece, piuttosto che le idee, a mancare fosse il tempo? Non siamo qui infatti ad indagare o giustificare la scelta di Raf che, in un certo qual senso va rispettata in quanto atto di libertà, ma per chiederci se la moda sia ancora disposta ad accogliere figure complesse, creativamente e concettualmente. La fashion industry è dunque ancora in grado di tutelare il genio creativo?

Quanto spazio rimane per la pura libertà artistica? Guardando alla nuova scena creativa indipendente la risposta sembrerebbe tendente al no, anche se i lavori di JW Anderson e di Martine Rose rappresentano uno spiraglio, o quantomeno un tentativo di ricordare che la moda è una forma d’arte e non solo un prodotto da indossare. Se però stringiamo il cerchio all’Italia, la risposta è un secco no. Con le dovute eccezioni: Alessandro Michele, ad esempio, ha costruito un suo immaginario estetico e ha creato una riconoscibile idea di fast luxury, come testimonia il progetto di Gucci Vault. Ma in generale la scena creativa è piatta, animata da direttori creativi ibridi tra influencer marketing e mera realizzazione di capi, senza che ci sia un’idea a muoverli al di fuori del prodotto. 

La questione fondamentale è proprio questa: oggi, il Direttore Creativo è colui che può pensare per creare o deve solo realizzare per vendere? Il tempo in questo caso non è più un galantuomo, anzi diventa il nemico principale perché manca come non mai, cedendo il passo di fronte ai frenetici ritmi della moda. Come ci si possa riappropriare di questo tempo non saprei dirlo, però un nuovo spirito di adattamento e un ridimensionamento (e rallentamento) generale dell’intero sistema sembrerebbero due buoni punti di partenza. Perché, se smettiamo di creare, prima o poi smetteremo anche di fare come è stato per Martin Margiela, Raf Simons e, purtroppo, Alexander McQueen.