
Questo inverno indosseremo la tappezzeria? Casa è dove c'è il look
Sonia Rykiel diceva che «i vestiti dovrebbero essere un rifugio come una casa o un tappeto…». Ebbene sembra che nelle collezioni più recenti presentate durante le fashion week, i designer abbiano seguito alla lettera l’insegnamento della stilista francese: gli autori della moda contemporanea stanno integrando nei loro pattern e fantasie scelti per le sfilate, motivi che richiamano tappezzerie, stoffe d’arredo e più in generale rivestimenti per interni. Dopo la fase del bedcore, che ha ampiamente normalizzato l’idea di indossare camicie da notte e vestaglie fuori dalla camera da letto, la moda sembra allargare i confini della casa spostandosi in salotto e invitando ad indossare tende, trapunte, carte da parati e persino oggetti domestici, ripensati come capi ready to wear. Quali sono i significati socioculturali dietro questa tendenza e perché è riemersa in questo preciso momento storico?
Tale estetica rientra nei cosiddetti trend post-pandemici e riflette come la casa sia tornata ad essere epicentro della vita quotidiana, luogo dove restare e non semplicemente da «attraversare». L’esperienza del lockdown ha riportato al centro la dimensione domestica non solo come spazio estetico, ma come luogo emotivo. È riemerso così un legame profondo con gli oggetti della casa, quasi a rivelare una connessione simbiotica tra l’ambiente che abitiamo e i vestiti che indossiamo ogni giorno. La moda ha da sempre un legame con il mondo dell’arredo: lo testimoniano numerose linee dedicate e collaborazioni tra le maison e brand di design, ma oggi questa connessione tra abito e casa assume un valore simbolico. Come afferma il sociologo Maurice Halbwachs, in tempi di crisi, il ritorno a spazi che evocano stabilità e conforto diventa un modo per ritrovare equilibrio e costruire una nuova memoria collettiva.
Nel caso di Etro, il dialogo tra habitat e abito è reso esplicito: Marco De Vincenzo, alla guida sia del ready to wear sia di Etro Home, ha più volte dichiarato di aver utilizzato per le collezioni recenti delle stoffe solitamente destinate a rivestimenti d’interni. L’ultimo show del brand, infatti, è stato un mosaico di patchwork e frange, reminiscenze delle fantasie dei kashan persiani che da sempre identificano l’immaginario tessile del brand. Rimanendo nel mondo dei tappeti, Galib Gassanoff, fondatore di Institution, nella sua più recente collezione, ha reinterpretato il savoir-faire azero-georgiano trasformandolo in abiti che portano in passerella la memoria dei tappeti di tradizione. Ancora Alessandro Michele, nella sua Couture per Valentino, ha raccontato di aver realizzato alcuni abiti come se fossero stati cuciti da un bambino, utilizzando vecchi tappeti o arazzi da salotto dal fascino rétro.
Alcuni designer si ispirano a silhouette che ricordano oggetti domestici: Miuccia Prada e Raf Simons, nell’ultima collezione donna invernale, creano degli abiti che per forma e tessuto evocano quasi l’idea di una poltrona imbottita di un vecchio salotto borghese. S.S.Daley ragiona sugli archetipi dello stile britannico dal guardaroba alla casa: propone maxi skirt a palloncino che ricordano paralumi delle lampade e presenta una gonna patchwork che sembra riprodurre le tecniche dei mosaici domestici. Moschino, invece, per la SS26 ci porta addirittura in cucina realizzando gonne metalliche ispirate alle pentole - tra l’altro in questa collezione trasformate in borse - e abiti con brandelli di tessuto che ricordano runner e tovaglie da pranzo. Restando in cucina, Miuccia Prada dedica l'intera collezione estiva di Miu Miu al grembiule, liberato dal tradizionale ruolo di indumento da lavoro o domestico e ripensato come abito daily wear.
Un’interessante declinazione del trend si legge nell’utilizzo di stampe e trame che ricordano carte da parati. Ad esempio i brand Stine Goya, Brandon Maxwell e Christian Dior nelle loro collezioni più recenti propongono capi con micro fantasie fiorate i cui colori ricordano la carta da parati che fa da sfondo alle gemelle Shining nel noto film di Stanley Kubrick. Su questa falsariga per la sua ultima collezione menswear, Junya Watanabe declina il blazer con motivi rococò e jacquard sontuosi che rimandano a salotti ottocenteschi e a tappezzerie nobili da palazzo reale.
Alcuni designer come Colm Dillane da Kidsuper e Glenn Martens da Maison Margiela, invece, rendono ancora più esplicita questa particolare sfumatura del trend. Il primo realizza uno show-cartoon e fa sfilare un abito con carte da parati sovrapposte, quasi come se fosse un quadro scomposto, mentre nel secondo caso Martens sia nella sua prima sfilata Couture che in quella ready to wear si è ispirato a una carta da parati d’epoca fiamminga del XVII secolo con fiori olandesi e nature morte. Se Conner Ives gioca con gonne che ricordano i byōbu o paraventi giapponesi, Simone Bellotti inaugura la sua direzione da Jil Sander con abiti «concettuali» dalle texture ondulate e sovrapposte, simili allo stucco veneziano o a intonaci freschi di spatola.
Questo dialogo tra tessuti, oggetti da interno e abiti quotidiani si legge anche nell’utilizzo di tendaggi. A questo proposito, Jacquemus, ispirandosi agli arredi delle case contadine in Provenza, realizza per la SS26 gonne ed abiti da sera decorati da nappine all’estremità, spesso presenti sulle tende di campagna. Pieter Mulier da Alaïa, invece, propone per la sua ultima collezione una gonna asimmetrica composta da doppie nappine con lunghe frange, abbinata a dei tacchi con cinturini che ricordano gli embrasse usati per raccogliere le tende ai lati di una finestra, mentre Julian Klausner da Dries Van Noten sembra essere ossessionato da passamanerie di varie rifiniture e dimensioni usate come fregi e cinture per giacche e cappotti.



















































































