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A che punto sono i diritti dei lavoratori nella moda

Licenziamenti diffusi e salari scoperti nei centri di produzione asiatici

A che punto sono i diritti dei lavoratori nella moda Licenziamenti diffusi e salari scoperti nei centri di produzione asiatici

Tra licenziamenti diffusi, salari scoperti e violazione dei sindacati, le condizioni dei lavoratori asiatici continuano a degenerare. Nei principali centri di produzione di abbigliamento dei brand occidentali, dislocati tra Bangladesh, Sri Lanka e Pakistan, le labili conquiste degli operai in fatto di salario minimo e orari di lavoro sono state cancellate dall’avvento della Pandemia, quando milioni di dipendenti disoccupati si sono ritrovati a vivere dei propri risparmi per mantenersi, sino a, in molti casi, indebitarsi. « Le persone hanno perso tutti i loro risparmi, non hanno più nulla su cui contare. È una vera povertà» ha dichiarato a BOF, Nandita Shivakumar, responsabile delle campagne e delle comunicazioni della coalizione sindacale e per i diritti dei lavoratori Asia Floor Wage Alliance.  Nonostante un’iniziale ripresa a seguito del rallentamento dell’epidemia da Covid-19, la guerra in Ucraina ha portato difatti ad un nuovo significativo aumento dei prezzi dell'energia e dei generi alimentari, esacerbando le fluttuazioni che già colpivano i mercati globali a causa delle difficoltà della catena di approvvigionamento con la pandemia. Ora i consumatori occidentali stanno iniziando di nuovo a tagliare sulle spese, esercitando una nuova pressione sulle già precarie condizioni di vita dei lavoratori e mettendo a dura prova i centri di produzione.

Secondo uno studio pubblicato a febbraio dal gruppo di difesa Multi-stakeholder, The Industry We Want, i lavoratori dell'abbigliamento nei principali hub produttivi venivano già pagati in media circa la metà di quanto sarebbe stato necessario per raggiungere un tenore di vita decente nel 2021. Ma quest'estate l'inflazione ha raggiunto il 7% in Bangladesh e in India, il 25% in Pakistan, ha superato il 60% in Sri Lanka e si è avvicinata all'80% in Turchia. Un panorama a cui va aggiunta la problematica del cambiamento climatico, che in Pakistan ha causato violente inondazioni, la morte di più di 1.000 persone e la distruzione di vaste coltivazioni di cotone, oltre al drammatico impatto degli ordini cancellati nel marzo del 2020, quando Walmart e Target, leader del settore della vendita al dettaglio negli Stati Uniti, hanno disdetto ordini per miliardi di dollari. Tra licenziamenti di massa e salari scoperti, è emersa la necessità di una regolamentazione più chiara del rapporto che lega acquirenti e fornitori con termini contrattuali più sicuri, specialmente per i produttori che si trovano spesso in difficoltà anche nell'acquisto dei materiali, pagando in anticipo e assistendo anche in questo caso a ritardi e disdette.

Nel Far West delle catene di produzione, dei timidi primi passi sono stati mossi per arginare i danni di uno scenario geo-politico sempre più complesso: l'anno scorso la California ha approvato una legge che rende i marchi responsabili dei salari dei lavoratori dell'abbigliamento e si pensa di estendere la proposta a livello federale: «Nella comunità dei diritti umani ci si sta rendendo conto che la strada da percorrere è quella di rendere le aziende corresponsabili dei salari », ha dichiarato Barenblat a BOF. Ma, oggi più che mai, il proposito di proteggere i diritti dei lavoratori e garantire salari dignitosi rimane in conflitto con la domanda di fast fashion a basso costo, dimostrando come i ritmi di produzione odierni siano inconciliabili con un sistema che abolisce lo sfruttamento dei lavoratori.