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Un brand giapponese ha vinto un’assurda battaglia legale contro Gucci

Ma, alla fine, ha fatto solo altra pubblicità al gigante della moda italiano

Un brand giapponese ha vinto un’assurda battaglia legale contro Gucci Ma, alla fine, ha fatto solo altra pubblicità al gigante della moda italiano

Nel mondo della moda non c’è forse cosa più sacra e ferocemente protetta di trademark e proprietà intellettuali. E se di tanto in tanto esplodono tafferugli legali tra grandi brand e designer indipendenti, che poi spesso si risolvono in nulla, esistono alcuni casi che brillano per astuzia o per bizzarria. Uno di questi è la battaglia legale che Gucci ha dovuto affrontare in Giappone contro un brand di nome CUGGL (secondo il Financial Times, la pronuncia esatta è “kyuguru”) il cui trademark è stato registrato nell’ottobre 2020 da Nobuaki Kurokawa, un designer di Osaka che si specializza in t-shirt che fanno la parodia di grandi marchi di moda simili a quelle che si vedono nei chioschi turistici un po’ in tutta Italia (rimangono iconiche le t-shirt “Armani Comio” e “Versace N’Altro Litro”). I problemi per Kurokawa sono iniziati con una t-shirt bianca in cui la parte inferiore del lettering del brand è coperta da una pennellata rosa lasciando esposta solo una parte di scritta che ricorda assai da vicino il logo di Gucci.  Circa un mese fa, il brand italiano ha ovviamente fatto causa a Kurokawa l’anno scorso, affermando che la t-shirt causi confusione per i clienti, svalutando il trademark originario. 

Ne è nata la classica battaglia legale che però, stranamente, non è stata vinta da Gucci: lo scorso 12 luglio infatti l’Ufficio Brevetti giapponese ha respinto il reclamo del brand affermando che sia sul piano visivo che su quello concettuale e fonetico non sarebbe possibile confondere i due brand e, pertanto, l’operazione di Kurokawa non infrange alcun trademark. Curiosamente, qualche mese fa Kurokawa ha perso una simile causa contro Lacoste per aver provato a creare una parodia del celebre coccodrillo capovolto – questa però davvero troppo evidente per poter superare il vaglio dei giudici giapponesi che, stando a quanto dice il Financial Times, rappresentano il gold standard nel mondo dei brevetti internazionali. La sentenza nel caso di CUGGL però è importante perché, nelle parole del giornale americano, dimostra che «il pubblico non è confuso dalla parodia».