
La valle dei sorrisi ci insegna come si fa l'horror all'italiana Folklore, paesini in mezzo alle montagne e santi, per un cinema di genere possibile
Nelle orecchie di Matteo Corbin, il giovane attore Giulio Feltri, suonano le note della canzone di Mia Martini, il cui testo struggente e romantico fa da amplificatore alla condizione da “angelo” del piccolo santo della località di Remis, nascosta tra promontori e montagne nel nord dell’Italia. L’adolescente, corpo smilzo e sopracciglio scolorito, è una divinità per i protagonisti de La valle dei sorrisi di Paolo Strippoli, un miracolo vivente in grado di generare miracoli a propria volta grazie ad un semplice abbraccio. Stringendo il reticente Matteo ogni persona viene sollevata dal proprio dolore. Niente più traumi, niente più ricordi, niente sensazioni spiacevoli che mordono lo stomaco.
Una placida, anestetica, totalizzante pace la quale, se nuovamente scossa o turbata, può essere ravvivata da un altro abbraccio. Alla scrittura insieme a Jacopo Del Giudice e Milo Tissone, anche ideatori con Strippoli del soggetto vincitore del Premio Solinas nel 2019 dal titolo iniziale L’angelo infelice, La valle dei sorrisi è l’horror presentato alla 82esima Mostra del Cinema di Venezia fuori concorso, con una proiezione speciale di mezzanotte riservata a quei titoli meritevoli di ricoprire un orario tanto funesto ma al contempo simbolico. Il posizionamento della programmazione da parte del direttore artistico Alberto Barbera è un vanto per la produzione italiana, con l’horror italiano ritenuto degno di un tale collocamento in uno dei più prestigiosi festival mondiali.
La valle dei sorrisi se lo merita tutto. Così come il suo regista Paolo Strippoli, che dal 2021 nei lungometraggi maneggia con successo un genere messo periodicamente in standby dal panorama italiano, a cui non si riesce mai a dare piena fiducia, ma che sa poi far ricredere tutti come dimostrato dai lavori che hanno punteggiato finora la carriera dell’autore classe ’93. Ciò a cui ricorre il cineasta è una formula, una soluzione non obbligatoria, ma adatta per qualsiasi tipologia di genere che non è detto si senta particolarmente affine alle logiche industriali del proprio paese. È l’attingere da un immaginario come il folklore in grado di offrire una moltitudine di personaggi e atmosfere abbinabili ai meccanismi di cui necessità l’horror. Miti e tradizioni che, presi dal territorio di riferimento, vengono rivisti e rielaborati così da mescolare ai paradigmi del terrore le leggende tramandate nel tempo.
È un horror reale a cui punta la filmografia di Strippoli e con cui altri suoi colleghi si sono dilettati. A Classic Horror Story, codiretto insieme a Roberto De Feo (a sua volta regista al debutto nel 2019 con The Nest), era l’apoteosi delle regole e delle decodificazioni del genere che venivano assemblate e poi rismontate una a una per inserire l’idea del cinema industriale hollywoodiano dell’orrore in un contenitore e un territorio italiano. Un mattatoio sotto il sole di una Calabria inedita e che viene fatta spacciare per l’America più profonda, palcoscenico di brutalità e sotterfugi atroci per un’opera dall’impronta folle e audace, di buon auspicio per il percorso intrapreso da Strippoli, proseguito in solitaria nel 2022 con Piove.
La valle dei sorrisi (2025)
— B(enni) (@mightasmaayrkas) September 16, 2025
by Paolo Strippoli pic.twitter.com/e9F45S67pv
Anche qui, sebbene meno folcloristico della pellicola precedente e di quella successiva, la tecnica di scrittura resta simile. Non ci si allontana da ciò che si conosce, non si cerca di scimmiottare ciò che hanno fatto da altre parti, bensì si assimila, con il bagaglio culturale e cinefilo di cui è impregnata la penna di Strippoli e del collaboratore Del Giudice (al suo fianco anche in Piove assieme a Gustavo Hernández) che riempie di reference tematiche e visive i suoi film. Il secondo lungometraggio del regista si chiude su un ambiente familiare, un figlio e un padre i cui rancori si trasformano (letteralmente) in mostri e che racconta perciò qualcosa di noto al Bel Paese, la cosiddetta “famiglia tradizionale”, e la condisce del disprezzo, del dolore e dell’incapacità di capirsi che spesso può intercorrere tra figli e genitori.
Remis è un posto immaginario creato da Strippoli, Del Giudice e Tissone. È una località inventata eppure quanto mai reale, tanto che si potrebbe provare il déjà vu di averla visitata. La valle dei sorrisi non si stacca mai dalla terra e i suoi abitanti, il che è il suo punto forte, è ciò che crea veridicità nella storia, anche se è tutto frutto della fantasia degli autori. L’horror attacca bene così come la neve sulle Dolomiti che fanno da sfondo e, usciti dalla sala, non si avrebbe poi difficoltà a credere che ciò a cui si è appena esistito non possa essere una qualche leggenda metropolitana di qualche paesino di periferia di cui regista e sceneggiatori hanno sentito parlare e hanno deciso di mettere in scena. Le radici, il folklore, soprattutto l’identità: sono spunti che possono permettere agli horror italiani una personalità ben definita. Sicuramente accade nel caso de La valle dei sorrisi, magari con risultati meno soddisfacenti per altri film, ma con un evidente fil rouge.
@artesettima Fare un film horror in Italia di qualità e con la consapevolezza autoriale di tutti i grandi livelli che questo genere porta con sé, sulla società, sull’essere umano. Paolo Strippoli l’ha fatto, con Michele Riondino, Giulio Feltri e tanti altri che portano una storia di mistero, di dolore, di santi e di paura. La Valle Dei Sorrisi dal 17 settembre al cinema. @Vision Distribution #artesettima #LaValleDeiSorrisi #paolostrippoli #micheleriondino #CinemaTok suono originale - artesettima
Era capitato nel 2015 quando Stefano Lodovini aveva diretto In fondo al bosco che prendeva la figura dei Krampus e le celebrazioni delle figure demoniache, reincarnazioni di San Nicola, sempre tra le montagne della Val di Fassa. Mentre nel 2020 si era ripetuto al suo opposto, nel calore della Puglia, con Il legame di Domenico de Feudis che tratteggiava la sceneggiatura sul saggio Sud e magia di Ernesto de Martino. Un cambio di marcia rispetto agli horror che hanno portato in trionfo l’Italia negli anni Sessanta fino agli Ottanta, dove era il male e da dove nasce su cui si interrogavano le pellicole in maniera eccessiva, fantasiosa, la cui fattura artigianale ad oggi appartiene ad un immaginario troppo specifico e che probabilmente non saprebbe abbinarsi nello stesso modo ai tempi che corrono.
Tant’è che un altro horror italiano che si rifà proprio a quella parentesi sanguinosa e dorata, ma che presenta influenze statunitensi, è il Suspiria di Luca Guadagnino. Diversissimo dall’originale di Dario Argento e che invece, degli usi e i costumi di un solo paese (sebbene ambientato in un luogo specifico, la Germania), si confronta con qualcosa che riguarda tutti, la Storia con la S maiuscola. Recatevi perciò a Remis e perdetevi nell’abbraccio de La valle dei sorrisi. Un analgesico per chi pensa che l’horror nel Bel paese sia spacciato, anche se dovesse durare solo per le sue due ore di durata.











































