
Cosa sono le "Panama Playlist"? La dimostrazione che, con lo streaming, la fruizione della musica è diventata molto più passiva
Di recente si è parlato molto di un progetto chiamato Panama Playlists, che sostiene di aver monitorato e raccolto per mesi dati sugli ascolti su Spotify di figure pubbliche molto note, tra cui membri dell’amministrazione Trump, dirigenti del settore tecnologico e famosi giornalisti statunitensi. Il nome dell'iniziativa è un chiaro riferimento giocoso ai Panama Papers, uno scandalo nato a seguito di una massiccia fuga di documenti riservati avvenuta nel 2016, che rivelava come politici, miliardari e celebrità di tutto il mondo usassero società offshore, spesso in paradisi fiscali come Panama, per evadere tasse.
@colbertlateshow J.D. Vance ain’t nothin’ but a mistake… #StephenColbert #PanamaPlaylists #BackstreetBoys original sound - colbertlateshow
Sul sito di Panama Playlists si legge che l’autore dell’iniziativa sarebbe riuscito ad ottenere l’accesso a playlist, cronologie di ascolto in tempo reale e altre informazioni sugli account di personalità del calibro di JD Vance, il vicepresidente degli Stati Uniti, o di Sam Altman, CEO di OpenAI, tra i molti. Pur non essendo possibile verificare le informazioni riportate in maniera indipendente, alcuni dei soggetti coinvolti avrebbero confermato che i dati pubblicati corrispondono alla loro reale attività su Spotify. Secondo i Panama Playlists, il governatore della Florida, Ron DeSantis, ama particolarmente il brano di Miley Cyrus “Party in the USA”, mentre la portavoce della Casa Bianca, Karoline Leavitt, apprezza molto “Girls Just Want to Have Fun” di Cyndi Lauper. Anche ad altri politici repubblicani sembra piacere un immaginario musicale apparentemente piuttosto distante dalle posizioni e dalle rivendicazioni tipiche dei conservatori: per esempio, Jacob Helberg – sottosegretario di Stato nell’amministrazione-Trump – avrebbe ascoltato quasi 60 volte “Apple” di Charli XCX, oltre a vari pezzi di Chappell Roan e Addison Rae.
Come sta cambiando la fruizione della musica
hey (with the intention of listening to jd vance’s queer coded spotify playlist)
— that guy from the umbrella academy (@kakejelly222) August 5, 2025
La grande diffusione delle piattaforme di streaming musicale non solo ha cambiato le modalità di ascolto di moltissime persone, ma ha progressivamente trasformato e reso obsoleti i parametri con cui venivano classificati i generi musicali – sia a livello micro che macro. Già nel 2021 il New Yorker pubblicò un lungo e apprezzato articolo intitolato «I generi musicali stanno scomparendo. Cosa succederà ora?». Le stesse strategie adottate da realtà come Spotify per consigliare e far scoprire agli utenti nuovi brani ormai tengono conto di molti fattori “esterni” – come le attività svolte in un determinato momento della giornata, tra le varie cose. Questo fenomeno si nota particolarmente nelle playlist proposte dal servizio. Nel 2022, la responsabile editoriale della piattaforma per il Sud Europa, Melanie Parejo, aveva detto al Sole 24 Ore che su Spotify «non c’è più un genere fisso a caratterizzare la playlist». «La catalogazione dei generi è oggi meno importante dell’identificazione e del riconoscimento di una cultura, di un movimento, di una scena», aveva precisato Parejo. Il tema del cosiddetto “superamento dei generi musicali” riguarda da vicino anche chi di musica ne parla.
@saltstack JD Vance Spotify has some bangers #usa #deathcab #coconutrecords #tracychapman #mazzystar #wilco #avettbrothers A Lack of Color - Death Cab for Cutie
Secondo buona parte della critica, etichettare un brano con un genere preciso è ormai considerata un’operazione fine a sé stessa, anche perché è sempre più difficile ricondurre certi artisti a un unico panorama musicale di riferimento. A complicare le cose c’è stato poi l’aumento esponenziale del numero di generi musicali: negli anni ne sono stati inventati migliaia, talvolta molto fantasiosi – secondo il magazine statunitense The Pudding oggi sarebbero oltre 6mila quelli classificati. Questo mette in luce quanto sia diventato più difficile orientarsi in modo consapevole nell’attuale panorama musicale – con ricadute dirette su determinati ascoltatori, che oggi faticano a scoprire nuovi artisti. La minore rilevanza dei generi è collegata anche alle nuove modalità di ascolto della musica: l’accesso semplificato a librerie musicali vastissime ha paradossalmente reso molti utenti delle piattaforme di streaming degli ascoltatori passivi. Spesso le canzoni vengono intercettate grazie agli algoritmi su cui si basano realtà come Spotify: un meccanismo, questo, che ha profondamente influenzato il modo con cui ci si rapporta alla musica. Ne deriva, quindi, un ascolto tendenzialmente meno impegnato e meno consapevole. Per certi aspetti, la varietà dei brani presenti nei Panama Playlist sembra riflettere proprio questa modalità frammentata di fruizione, più che scelte coerenti o pienamente intenzionali da parte di chi ascolta determinati brani anziché altri.













































