
Disney e Universal hanno fatto causa a Midjourney
Anche Hollywood si ribella all'AI
12 Giugno 2025
Per chi non avesse mai usato Midjourney, l’AI principale per la creazione di immagini, spesso le sue creazioni assomigliano in maniera tutt’altro che velata allo stile che contraddistingue le animazioni Disney. La somiglianza non si limita solo allo studio di Mickey Mouse, ma si estende a qualunque casa di produzione rinomata per film blockbuster: da DreamWorks a Pixar, passando per Illumination e Universal. È come se l’estetica e la grammatica visiva del cinema d’animazione occidentale fossero diventate un linguaggio madre per l’algoritmo. Anzi, senza “come”; è esattamente così che Midjourney ha allenato il proprio sistema per generare immagini. La questione, però, diventa spinosa quando, invece di limitarsi a prendere ispirazione, il programma ha iniziato a riprodurre copie 1:1 di film, serie TV e cartoni tra i più famosi al mondo. In questi casi si parla chiaramente di violazione del copyright, ed è proprio su questa base che mercoledì scorso Disney e Universal hanno intentato una causa contro l’azienda tecnologica della Silicon Valley, accusando Midjourney di essersi appropriata – come riporta il New York Times – senza autorizzazione di «una quantità incalcolabile» di opere protette per addestrare il proprio software. Una denuncia di 110 pagine, depositata presso il tribunale distrettuale di Los Angeles, definisce Midjourney come «l’esempio perfetto di parassita del copyright» e «un pozzo senza fondo di plagio».
Reading the full Disney / Universal lawsuit, it couldn’t be clearer: this is the end of Midjourney. pic.twitter.com/m5PDOK49bY
— Ed Newton-Rex (@ednewtonrex) June 11, 2025
La questione non è nuova: già all’inizio dello scorso anno era trapelato che Midjourney sfruttasse il lavoro di oltre 16.000 artisti (indipendenti e non) per addestrare la propria intelligenza artificiale, senza aver ottenuto alcun consenso. Ma ora il guaio arriva dai piani alti, e il caso rappresenta un segnale d’allarme concreto per l’intera industria dell’intelligenza artificiale generativa. Secondo le dichiarazioni ufficiali riportate dal New York Times, l’obiettivo non è bloccare l’innovazione, ma difendere un sistema economico e creativo che impiega 2,3 milioni di persone e genera 229 miliardi di dollari in salari annui, un sistema che negli ultimi anni ha già affrontato una grave crisi, tra scioperi e pressioni governative. «Siamo ottimisti sul potenziale dell’AI come strumento per potenziare la creatività umana», ha dichiarato Horacio Gutierrez, general counsel di Disney, «ma la pirateria resta pirateria, anche se a commetterla è un’AI». Sulla stessa linea anche NBCUniversal, che ha parlato di una causa volta a «tutelare il lavoro degli artisti e gli investimenti fatti nei contenuti».
Il trend dello Studio Ghibli di qualche mese fa aveva già riportato in auge la discussione sull’intelligenza artificiale nelle industrie creative, anche se all’epoca lo studio giapponese non aveva rilasciato alcun commento in merito. Ma se le arti venissero automatizzate, cosa rimarrebbe del talento e della passione? Torna ancora una volta il dibattito sull’uso etico dell’AI, ma questa volta il tema si fa ancora più complesso. Se nei mesi scorsi l’attenzione si era concentrata sulle responsabilità delle corporation, su come le grandi aziende tech e media stiano integrando l’AI nei propri processi produttivi, oggi il focus si sposta sull’uso che ne fa il pubblico generalista. Il nodo centrale è che la stragrande maggioranza delle immagini AI che circolano online nasce da utenti comuni, spesso inconsapevoli delle implicazioni legali o morali di ciò che stanno generando. Basta osservare la viralità di trend social dedicati allo stile Studio Ghibli o ai personaggi Disney per capire quanto sia facile appropriarsi di un’estetica altrui con pochi prompt, senza porsi troppe domande. In un’epoca in cui chiunque può diventare “artista” digitando qualche parola, il rischio è che il gesto creativo venga ridotto a puro consumo estetico, svuotato della sua intenzione, del suo contesto e soprattutto dell’atto umano che lo rendeva unico.