FUORIMODA REVIEWS – La prima piattaforma online per recensire i fashion show

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La "viralflation" è il nuovo incubo dei content creator È troppo facile diventare virali?

Il numero di visualizzazioni è diventato un parametro sempre meno affidabile per misurare l'effettiva diffusione di un contenuto online. Quella che una volta era considerata la metrica principe per stabilire la viralità di un video o di un post, le view per l’appunto, è oggi cambiata a tal punto che è ormai difficile stabilire con certezza quante persone abbiano realmente intercettato un determinato trend. Questo fenomeno è stato definito viralflation, espressione che nasce dalla fusione tra viral e inflation per indicare quanto il concetto di viralità sia ormai saturo. Il termine virale viene utilizzato in modo improprio, soprattutto da parte delle agenzie di influencer marketing, per le quali esagerare la portata di un contenuto può risultare vantaggioso. Ma la responsabilità non è solo dei brand: le stesse piattaforme hanno cambiato in modo significativo il modo in cui le visualizzazioni vengono registrate, contribuendo a rendere la metrica sempre meno rilevante.

@dawn_flaherty Replying to @Motrader my question to anyone who says they wanna go viral is why. What is your end game? Because viral doesn’t actually mean anything except a video that does well. #tiktokgrowthtip #tiktokalgorithmupdate NO SOUND - Sok Baraby

Già nel 2016, Facebook aveva ammesso di aver modificato i criteri di conteggio delle visualizzazioni dei video, registrando una view ogni volta che un utente guardava una clip per più di tre secondi. Questo cambiamento aveva avuto come effetto quello di aumentare artificialmente il numero di visualizzazioni, dando l’impressione che i contenuti presenti nel feed della piattaforma fossero molto più seguiti. Su TikTok, questo meccanismo è ancora più marcato: viene conteggiata una visualizzazione ogni volta che un video appare per una frazione di secondo all’utente. Una modalità che abbassa drasticamente la soglia per considerare un contenuto realmente fruito. Di recente, anche YouTube ha annunciato che adotterà un sistema analogo per i suoi Shorts, dichiarando che questa scelta è stata fatta per evitare che i creatori si sentano penalizzati nel confronto con le performance dei loro video su Instagram o TikTok, dove le visualizzazioni tendono a essere significativamente più alte.

Secondo vari analisti, le grandi piattaforme digitali hanno un forte incentivo economico nel mantenere alta la percezione del coinvolgimento del pubblico. Gonfiare i numeri può infatti rendere più appetibili i propri spazi pubblicitari agli occhi degli inserzionisti. Ma se diversi anni fa un video poteva essere considerato virale se raggiungeva un milione di visualizzazioni in breve tempo, oggi questa metrica si basa su valori molto più ampi, e anche il lasso di tempo entro cui ottenere una quantità di view soddisfacente è diminuito. Questo cambiamento è legato all’aumento esponenziale del numero di persone che fruiscono contenuti online: negli ultimi dieci anni la platea di utenti dei social media si è ampliata enormemente, così come la quantità di contenuti consumati e pubblicati ogni giorno – con ricadute importanti sulla loro moderazione

@phdkitty

Kitty’s explain inflation

original sound - PhDKitty

L’offerta è diventata più vasta e frammentata, e l’attenzione degli utenti si distribuisce su una molteplicità di temi, rendendo sempre più difficile che un singolo video riesca a emergere con forza nel rumore generale. Inoltre, i social media negli anni sono passati dall’essere degli spazi per la condivisione della propria vita privata e delle proprie opinioni a degli ambienti dove fruire contenuti in maniera passiva. Le stesse piattaforme si sono evolute diventando delle vetrine per aziende ed influencer. Tuttavia, la principale premessa dei social media per molti anni è stata quella di consentire potenzialmente a chiunque di “seguire” la vita delle persone che non si vedevano regolarmente. Come invece ha scritto sull’Atlantic il giornalista esperto di tecnologia Charlie Warzel, i feed oggi «sono talmente invasi da "contenuti correlati", raccomandati dagli algoritmi, che bisogna impegnarsi un bel po' per trovare i propri amici in questo pantano».