A Guide to All Creative Directors

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Le guide gastronomiche non sono più quelle di una volta

Oggi si concentrano maggiormente sui cambiamenti in atto nella ristorazione

Le guide gastronomiche non sono più quelle di una volta  Oggi si concentrano maggiormente sui cambiamenti in atto nella ristorazione

Le guide gastronomiche per come le conosciamo oggi sono il risultato di un lungo percorso di trasformazione in parte ancora in corso. Nella loro forma originaria erano strumenti essenzialmente pratici: elenchi ordinati di ristoranti con una breve descrizione, pensati per orientare i lettori nelle loro scelte. La più famosa tra tutte, la Guida Michelin, nasce più di cento anni fa con l’obiettivo di aiutare gli automobilisti francesi a trovare luoghi dove mangiare e dormire durante i loro viaggi. Ma già nel corso del Novecento, e con particolare evidenza negli ultimi decenni, le guide e le recensioni gastronomiche hanno subito un’evoluzione che ne ha cambiato profondamente il linguaggio e le finalità. Oggi le recensioni dei migliori critici gastronomici non si limitano semplicemente a raccontare cosa si è mangiato e quanto fosse buono. «Non importa se piace o non piace a me, ciò che conta è se risponde a quello che noi vogliamo raccontare con quel prodotto editoriale» ha spiegato al podcast Juice It Up il giornalista gastronomico Eugenio Signoroni, che cura le guide di Slow Food. «Le guide rappresentano un momento storico», precisa il conduttore del programma, l’esperto di cucina Gianluca Bitelli. A farci caso, nel tentativo di restare rilevanti in un contesto dove la narrazione della cucina passa soprattutto dai social network oggi le guide gastronomiche sembrano orientarsi maggiormente a spiegare, tramite segnalazioni e recensioni, come stanno cambiando la convivialità e la ristorazione. In questo senso, ogni scelta editoriale – che sia quella di parlare di un certo locale o di valorizzare una cucina minore – è per certi versi anche una presa di posizione, destinata a influenzare il modo in cui interpretiamo la gastronomia.

Non stupisce, quindi, che sempre più spesso le guide gastronomiche siano pensate come dei racconti letterari, capaci di restituire agli utenti non solo il profilo dei ristoranti segnalati, ma anche il contesto culturale, sociale ed emotivo in cui si inseriscono quei locali. L’evoluzione ha reso la critica gastronomica non più (o non solo) una guida al consumo, ma una forma di narrazione che si intreccia con l’informazione culturale e, in certi casi, con l’intrattenimento. Una svolta importante si è avuta negli anni '90, quando alcuni critici gastronomici statunitensi cominciarono ad adottare toni più personali e meno tecnici. Tra questi, Gael Greene e Ruth Reichl del New York Magazine si distinsero per uno stile più narrativo e coinvolgente, capace di andare oltre la semplice descrizione dei piatti. Le loro recensioni erano strutturate per l’appunto come dei piccoli racconti: esploravano l’atmosfera del locale, l’esperienza del servizio, e spesso inserivano riflessioni personali o aneddoti che rendevano il testo più vivace. La cucina diventava così il pretesto per parlare di cultura, società e perfino politica.

Questo cambio di approccio non è soltanto una questione di stile, ma riflette anche la consapevolezza del potere che un critico di una grande testata può avere. Anche se spesso chi legge una recensione non ci fa caso, certi giornalisti gastronomici possono realmente influenzare le sorti di un locale, attirare nuovi clienti o allontanarli, sostenere un progetto appena nato o metterlo in difficoltà. Craig Claiborne, che nel 1962 divenne il primo giornalista del New York Times a recensire regolarmente i ristoranti della città, aveva intuito il peso e la responsabilità di questo lavoro. Nella sua autobiografia raccontò di aver odiato il potere che gli conferiva la sua posizione: non era facile convivere con la consapevolezza che una sua recensione potesse cambiare la vita di un ristoratore. È anche per questo che l’attuale critico gastronomico del New York Times, Pete Wells, mantiene da tempo un approccio piuttosto moderato. Le recensioni negative, ha spiegato, non piacciono né ai lettori né ai ristoratori: per questo, spesso preferisce evitare di scrivere di un ristorante che non lo ha convinto. Il suo obiettivo, in sostanza, è segnalare quasi esclusivamente i locali che secondo lui saranno capaci di entusiasmare i clienti.

Il panorama delle recensioni gastronomiche ha evidentemente subito una trasformazione radicale con la diffusione dei social media. Se prima il giudizio di pochi esperti orientava le scelte di un pubblico relativamente ampio, oggi sono moltissimi i soggetti – ristoratori, content creator, appassionati, semplici clienti e così via – che contribuiscono a definire la reputazione di un locale. Il caso della bakery Signor Lievito, aperta nel 2022 a Milano nella zona di Porta Romana, è abbastanza rappresentativo di questo meccanismo. Nato come un tranquillo locale di quartiere con un’offerta ricercata, è oggi una delle mete più ambite per fare colazione in città, dopo essere diventato virale su TikTok grazie alla visibilità offerta da alcuni content creator. Ma la notorietà più o meno improvvisa può diventare anche un peso. Proprio per questo, alcuni influencer – consapevoli di queste dinamiche – hanno iniziato a riflettere sul proprio ruolo, adottando strategie più discrete per segnalare i locali ritenuti validi. Nel caso di ristoranti molto piccoli, ad esempio, si tende a evitare i reel – più inclini a ottenere molte visualizzazioni – preferendo formati più “soft”, come i caroselli, con l’obiettivo di non sovraesporre realtà che magari non cercano attenzioni o non sono del tutto pronte a gestirle.