A Guide to All Creative Directors

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Che cos'è la FOODMO

Capire la paura di perdersi i cibi virali

Che cos'è la FOODMO Capire la paura di perdersi i cibi virali

La società è spaccata in due: chi prova la FOMO (fear of missing out) e chi la JOMO (l'abilità di fregarsene), chi sui social passa le ore e chi si dimentica di avere un account TikTok, chi prenota le vacanze in base all'instagrammabilità e chi non ha mai sentito pronunciare la parola «engagement». Il circolo vizioso dei fad, le tendenze esplosive e passeggere, è stato fomentato sui social media negli ultimi anni finendo per invadere ogni aspetto delle nostre vite, dalla cura personale - basti pensare alle morning routine estreme  -  alle esperienze di vita come i viaggi e le uscite in compagnia. Più della moda e del beauty, c'è un settore in particolare che sta venendo schiacciato dalla pressione dei social, ed è la gastronomia. A partire dal 2020, anno in cui tutto il mondo era a casa a cucinare pagnotte e Caffè Dalgona, fino al giorno presente e al Dubai Chocolate, il cibo star online sta nutrendo una cultura mangereccia tutta nuova. Non si prova più un ristorante per le tradizioni caserecce, ma per il piatto contemporaneo che ha registrato milioni di views; non ci si chiede da dove provengono gli ingredienti di un dolce dal costo proibitivo, ma quanti like può ricevere un video in cui lo assaggiamo. Nasce così la FOODMO (Food Fomo), termine coniato nel 2023 per definire il timore di perdersi il trend gastronomico del momento. Ma il Mochi di Chinatown a Milano meriterà davvero la nostra frustrazione? 

@jinnoms I think that might have been the best mochi I’ve had. Now I’m on the hunt to find something better or equally as good here in Philly or NYC please drop me your recs!! #milan #mochi #matcha #matchamochi #foodie #foodies #creatorsearchinsights Caminando - Isadora

Il concetto di FOMO è stato scoperto agli inizi del 2000, quando la diffusione di internet e l'arrivo dei primi telefoni hanno reso la società più interconnessa che mai. Una volta che i social media e i blog sono entrati nella conversazione, il fenomeno si è diffuso a macchia d'olio tra gli utenti che osservavano le vite private dei propri conoscenti e dei primi influencer da uno schermo. A livello psicologico, pensare di non aver preso parte a un evento o a un trend pubblicizzato come imperdibile (perché, a parte rari casi, sui social si postano solo le esperienze positive) può procurare ansia e depressione, come dimostrato da recenti studi. Detto questo, è comprensibile come i food trend siano diventati la moneta di scambio principale della FOMO: migliaia di contenuti gastronomici vengono postati ogni giorno su ogni piattaforma social, informando i consumatori sulle ultime tendenze del momento e invogliandoli, attraverso video suggestivi, a visitare un locale per assaggiarle. In questo caso, la FOODMO agisce facendo pensare allo spettatore di essere veramente uno dei pochi che non ha preso parte all'assaggio di quel trend. La sensazione di esclusione porta a organizzare viaggi e prendere aerei pur di provare quel cinammon roll o quel caffè visto online: a Parigi, nel locale del pasticcere di fama internazionale Cédric Grolet, la coda per acquistare uno dei suoi dolci più famosi può arrivare a durare un'ora, mentre a Milano, per il brunch della domenica, posti come Hygge e Via Stampa hanno liste d'attesa esaurite giorni prima dell'appuntamento. 

@cosamangiamooggi Colazione da CÉDRIC GROLET, il pasticciere n°1 di PARIGI #cedricgrolet #paris suono originale - cosamangiamooggi

Ma chi crea i cibi virali? I ristoratori o i social media? La domanda cambia a seconda dei punti di vista. Sui social, i food creator ammassano milioni di views con i loro tutorial deliziosi: nel 2024, la domanda per i contenuti gastronomici è aumentata del 30%, riporta Viral Nation, e gli investimenti di mercato sono aumentati del 78% rispetto all'anno precedente. Con l'aumento di utenti interessati ai post riguardanti ricette e colazioni, è cresciuto anche il bacino di food influencer, un fenomeno che conseguentemente ha motivato ristoratori, pasticceri e gelatai a introdurre nei propri menù piatti-trend. Un esempio notevole restano i Winterdays di McDonald's del 2023, giornata di sconti organizzata dalla catena di fast food che ha influito negativamente sul traffico di molte città italiane, immobilizzando intere strade. O ancora, sempre a Parigi, il caso delal gelateria Folderol e degli affogati al caffé che attiravano decine di persone a mangiare sul marciapiede. Trend del genere facilitano la convivialità, trasformano le strade e spesso offrono ai giovani della città nuovi posti in cui stare insieme, ma dato il loro scopo prettamente commerciale non vanno confusi con i terzi luoghi; in più, spesso portano a un appiattimento della proposta, dato che locali adiacenti al produttore di un trend potrebbero cominciare a cucinare la stessa cosa pur di rubare un po' di popolarità all'originale (come è successo a Cedric Grolet e ai dupe dei suoi dolci realistici a forma di frutta).  

@sycretary Morning matcha run for the office in our “Deus Ex Machina” silver frames #officesiren original sound - adorsvs

Dal 2020 a oggi i trend mangerecci sono cambiati tantissime volte, ne sono nati di nuovi e altri sono stati dimenticati, ma uno su tutti resta il più inflazionato: il matcha. Il tè giapponese è diventato popolare grazie al suo gusto particolare, alle sue proprietà benefiche così come al colore verde brillante che lo contraddistingue. Mescolato a sciroppi e panna, utilizzato in cucina e potenziato da integratori come il collagene, il matcha è per la Gen Z quello che l'avocado toast era per i Millennial. Potrebbe avere contribuito al recente boom di viaggi in Giappone, anche se secondo quanto riporta il Japan Times il paese sta attraversando una crisi del tè matcha. Le compagnie di tè più famose di Kyoto, Ippodo e Marukyu Koyamaen hanno introdotto per la prima volta limiti di acquisto sulla polvere verde e i negozi stanno finendo le scorte, riporta la testato. Il fenomeno sta incidendo gravemente sulla qualità del tè, le cui foglie dovrebbero richiedere fino a cinque anni per crescere: con una domanda così alta, i produttori sono costretti a sacrificare il lungo processo di coltivazione del matcha per velocizzare i tempi, un meccanismo che potrebbe presto estendersi anche ad altri alimenti, e che potrebbe mettere a repentaglio non solo il loro sapore, ma anche lo sviluppo di una regione e le sue tradizioni.