
Al cinema, non sempre grande budget vuol dire grande successo
Per cosa vale la pena spendere?
08 Aprile 2025
Nella prima puntata di The Studio, nuova serie originale di AppleTV+, Seth Rogen è il produttore cinematografico Matt Remick. Un professionista che, però, ha la sensazione che il suo mestiere ormai sia diventato quello di distruggerli. Chissà quanti si sono sentiti come Matt, entrati con il sogno di realizzare i capolavori del futuro ma ritrovatisi a dover vendere al proprio capo e agli sponsor un blockbuster su un omino colorato come la mascotte della bevanda Kool-Aid. Ciò che più lascia amaramente divertiti della posizione e delle lotte interiori del personaggio di Rogen è come la sua buona fede, già dal primo episodio dello show, sia costretta a venir piegata. Perché Matt Remick un obiettivo come produttore ce l’ha, una visione più da cinefilo e creativo che da produttore incallito in sé: mettere a disposizione a grandi autori budget ancora più grandi. E per grandi, quando lo si usa vicino ad autori, non indica nomi altisonanti, almeno non solo. Bensì cineasti con un gusto, un’estetica, soprattutto una storia che valga la pena essere supportata. Non spendere l’equivalente di quanto potrebbe mai fatturare una piccola casa di produzione indipendente in due o tre anni per progetti destinati al largo pubblico, sbeffeggiati alla fine sia dagli spettatori stessi che dalla critica cinematografica - anche se, probabilmente, hanno comunque fatto il botto al botteghino.
The Studio, arrivata sulla piattaforma streaming il 26 marzo, segue la scia di discorsi che gli ultimi Oscar 2025 avevano aperto con la vittoria di ben due titoli considerati indipendenti nei costi e che si sono aggiudicati i maggiori riconoscimenti durante la serata. Anora, cinque premi Oscar di cui quattro al suo regista Sean Baker (anche sceneggiatore, montatore e produttore), ha visto un investimento di $6 milioni con un ritorno di $54,746,907 di dollari worldwide, con una spinta finale dovuta alla vittoria agli Academy. Stessa questione per il The Brutalist di Brady Corbet, $10 milioni di budget, con un rientro di $48,588,929 dollari, un risultato da mettere in prospettiva considerando che si tratta di un’opera di tre ore e mezza in lingua inglese e ungherese girata in pellicola 70 mm. Sul palco degli Academy si è sottolineato come sia importante salvaguardare il cinema indipendente ed è stato ironico come, poche settimane dopo, Netflix abbia schiaffato sulla propria finestra The Electric State, un’opera da 320 milioni di dollari che, sebbene sia diventata presto uno dei titoli più visti della piattaforma, dalla critica ha ricevuto una delle accoglienze più fredde che si potessero aspettare.
Con The Electric State i fratelli Russo hanno dimostrato che nell’industria cinematografica vige la regola che se sei riuscito a portare al successo un prodotto allora è come se avessi il diritto di sperperare tutti i soldi che ti verranno affidati. Forse, però, quando Anthony e Joe Russo hanno fatto conquistare a Avengers: Infinity War e Endgame oltre $2miliardi d’incasso ciascuno non si è ragionato sul fatto che non si trattasse di due film isolati, di eccezioni che confermavano qualche regola non detta del mercato. La gestazione delle pellicole era stata preparata con anni d’anticipo, perciò l'attesa e il riscontro dei due film erano ingigantiti in partenza. Erano i due film del Marvel Cinematic Universe che avrebbero chiuso un capitolo aperto dal 2008, durato dieci anni e talmente rilevante nel panorama intrattenitivo moderno che avrebbe chiamato tra il pubblico anche persone che non avevano mai visto nessun film sui supereroi - e così è stato. Per The Grey Man del 2022, il duo di registi ricevette $200 milioni di budget da Netflix con un rientro di 454.023 dollari e un esteso seguito sulla piattaforma dove era destinato, tanto che si decise di ignorare tutte le remore dimostrate da pubblico e stampa dopo l’uscita del film, consegnando alla coppia di registi e sceneggiatori uno dei budget più alti che si siano mai registrati nella storia di Hollywood proprio con The Electric State.
La colpa, dunque, dove sta? E, soprattutto, di chi è? Del pubblico che cede sperando che la coppia Ryan Gosling e Chris Evans funzioni, andando effettivamente al cinema o mettendo play su Netflix ma ripromettendosi che non cadrà più in futuro in un simile errore? O è a monte, a quel produttore di The Studio che è perfettamente consapevole che il suo investimento fa meramente parte di un’industria che deve sottostare a simili regole? La domanda che si dovrebbe fare ad oggi, forse, è per cosa vale la pena spendere, ad Hollywood e dintorni. L’industria cinematografica italiana è ferma ormai da più di un anno a causa della mancata erogazione dei contributi da parte dello Stato, il sostentamento più importante per le opere senza grandi produzioni dietro. Pur cambiando paese e tipo di cinema, è interessate come per un veterano come Pupi Avati, come dichiarato in occasione del film L’orto americano, lavorare con un budget limitato è la dimostrazione del talento di un autore che deve saper trovare risoluzione ad ogni imprevisto o mancanza.
Megalopolis
— Amazing Shots (@Amazing__Shots) March 29, 2025
Director : Francis Ford Coppola
Director of photography : Mihai Malaimare Jr. pic.twitter.com/sNnMhDrUot
Altri maestri non si preoccupano di mettere un freno ai rubinetti, soprattutto quando viene offerto loro di poter spendere e spandere. Martin Scorsese non se lo è fatto ripetere due volte, con Killers of the Flowers Moon e un investimento da parte di Apple di 200 milioni di dollari per un flop che ne ha visti rientrare solo 158.8 worldwide. Siamo sicuri che se al Matt Remick di Seth Rogen avessero permesso di dirigere un film del maestro Scorsese, con budget illimitato e improbabile rientro economico, avrebbe fatto lo stesso - e il primo episodio di The Studio verte esattamente su questo. Impossibile poi non pensare al Megalopolis di Francis Ford Coppola, al suo aver messo soldi di proprio pugno, come Kevin Costner per la sua saga western di Horizon, fino a vedere beni e case pur di portare a termine il progetto. Cosa dovrebbe fare un produttore di fronte ai grandi registi? Soddisfare ogni loro velleità artistica, seppur appassionante e avanguardista, o chiudere le uscite diventando bersaglio di interviste e sberleffi futuri quando qualche opera su cui non credeva nessuno ha fatto il botto segnando un inaspettato successo?
#Barbie opens with $337M at the global box office, more than doubling its $145M budget. pic.twitter.com/Htt8rgTSyC
— Pop Crave (@PopCrave) July 23, 2023
C’è chi, come Christopher Nolan, sulla scia del box-office deludente di Tenet ha deciso di salutare la fedelissima Warner pur tenendo conto delle conseguenze della pandemia Covid-19. Vero anche che Universal ha fatto un affare, con 100 milioni di budget e un rientro di 957 milioni di dollari per Oppenheimer. Risultato virtuoso dell’estate 2023, segnata anche dall’esempio di Barbie che viene citato apertamente da The Studio con il protagonista che vorrebbe investire esattamente in simili progetti: storie per il largo pubblico dirette da registi-autori. E che apre alla questione del marketing e quanto spesso non si capisca che la vendita di un film sia una parte quasi fondamentale di ogni progetto cinematografico, con una comunicazione che dovrebbe partire mesi prima il rilascio del titolo - qualcosa di cui piccole distribuzioni di successi stellari come Neon sono ben consapevoli. Così la Warner, che ha perso Nolan ma ha conquistato quasi un miliardo e mezzo di dollari con l’opera di Greta Gerwig, ha deciso di voler sostenere un altro autore: Paul Thomas Anderson. Stando alle prime informazioni, sul suo prossimo One Battle After Another ha accettato di tenere degli screener test con il pubblico e di limare lì dove ce ne fosse bisogno, ritoccando anche leggermente la durata della pellicola e togliendo dagli otto ai dieci minuti dopo i feedback ricevuti a seguito della prima proiezione. Sacrificio - spontaneo, a quanto pare - del tutto comprensibile visto che la Warner si è offerta di spendere $130 milioni per il film con protagonista Leonardo DiCaprio, dovendo sperare di raggiungerne almeno $260 milioni per andare in pari.
‘NOSFERATU’ is on track to become one of Focus Features highest grossing films ever at the domestic box office.
— Cinema Solace (@SolaceCinema) January 2, 2025
It made $53M in 1 week. pic.twitter.com/HIu5zFJTCD
Che la soluzione si trovi forse nel mezzo? Che sia possibile promuovere storie valide, nomi importanti, autori alle prime armi, così da dare fiducia sia alle vecchie leve che alle nuove speranze? In fondo, quando a Robert Eggers sono stati affidati attorno ai $90 milioni per The Northman il regista è scivolato, guadagnando poco meno di $70 milioni e vedendo la sua autorità nel cinema horror messa in dubbio. Invece, con i suoi $50 milioni per Nosferatu, con una sceneggiatura solida e delle ottime interpretazioni, è riuscito a ritirarsi su con un incasso da $180,928,503 worldwide, assicurandosi una nuova collaborazione con Universal Pictures e Focus Features per il suo prossimo Werwulf, incentrato sulla figura dei licantropi. E se proprio non si trovano i fondi, necessità fa virtù: basta che poi non finisca come Brady Corbet che ha dichiarato che dall’uscita di The Brutalist non ha guadagnato nemmeno un centesimo. Forse il cinema dovrebbe davvero avere più coraggio e avere fiducia nel pubblico, che negli ultimi anni ha dimostrato di essere interessato a progetti impegnati. E se proprio va male, si può sempre sperare che prima o poi il proprio film diventi un cult, che a quanto pare vanno benissimo quando vengono riproposti anni dopo in sala.