
Tutto quello che c'è da sapere sugli Oscar 2025
La vittoria del cinema indipendente
03 Marzo 2025
«Today this could be the greatest day of our lives». Sulle note della versione remixata dei Take That di Greatest Day parte il film diretto da Sean Baker, Anora, vincitore di cinque premi Oscar su sei candidature, dopo aver vinto già la Palma d’oro dopo l’anteprima al festival di Cannes e aver investito un budget di soli 6 milioni di dollari, attestandosi a tutti gli effetti come opera indipendente. Tra i riconoscimenti della pellicola sulla sex worker che dà titolo alla storia c’è anche il premio al miglior film, onorificenza massima assegnata dall’Academy, che un po’ come era accaduto durante la manifestazione francese lo vede arrivare al fotofinish sgusciando di lato e superando all’improvviso altri candidati, all’apparenza ben più favoriti rispetto all’opera più ambiziosa del filmmaker americano. E invece gli avversari vengono lasciati indietro, mentre Baker conquista quattro premi Oscar - anche montaggio, sceneggiatura originale e regia, oltre alla sua protagonista Mikey Madison migliore attrice - premiato da Quentin Tarantino. Chiudendo anche un cerchio che il presentatore Conan O’Brien aveva aperto a inizio serata, ovvero la centralità dell’esperienza cinematografica in sala e dell’importanza di riportare le persone dentro simili luoghi sacri, come mostrato da uno sketch che invita a usufruire del servizio cinemastream.
@klepcx You CANNOT replace the cinema experience! #seanbaker #Anora #bestpicture #bestdirector #oscars2025 #oscars #cinema #movietheater #klepcx original sound - Klep Napier
Se si dovesse delineare la linea retta tracciata dalla notte degli Oscar 2025, sarebbe proprio questa: l’inseguimento di un riconoscimento non più politico, come accaduto in anni recenti, ma da sostegno a una causa verso cui tutti i membri dell’Academy sono votati. C’è chi, borbottando, potrebbe dire che è meglio così, che si deve tornare a parlare dei film e non del loro posizionamento in un quadro che non escluse anche questioni sociali e politiche. Stavolta la strada tracciata potrebbe avere un doppio binario: da una parte, il mantenimento di un silenzio inaspettato da parte dell’establishment hollywoodiana nei confronti di Donald Trump, al contrario di quanto avvenuto rispetto alla sua prima elezione nel 2016 in cui vennero prese posizioni contrastanti molto forti, dall’altra l’effettiva necessità di voler riportare la settima arte ad una sorta di origine. Non è un caso che un altro dei premiati di questa serata sia stato proprio The Brutalist, già miglior regia alla Mostra del Cinema di Venezia, costato “solo” 10 milioni di dollari. Un’operazione di più di tre ore, girata in pellicola, che alterna l’inglese con l’ungherese - lavorato in parte con l’AI, notizia venuta fuori che potrebbe aver influito su qualche premio in meno, seppure non troppo - che ricorda i grandi film che si facevano in passato e che è necessario vedere in un posto ben preciso: la sala cinematografica.
Mikey Madison poses with her #Oscar pic.twitter.com/6T7FTRm4LK
— Film Updates (@FilmUpdates) March 3, 2025
Nel ricevere l’Oscar alla miglior regia, Sean Baker lascia spazio per agli altri membri del team (una crew composta solamente da quarantatré persone) per poi sottolineare l'importanza di tutelare la fruizione del cinema non muoia. Nel frattempo Mikey Madison, classe ’99, si aggiudica la statuetta sorpassando non solo Fernanda Torres, con l’amato Io sono ancora qui, ma anche Demi Moore per il body horror The Substance. Già vincitrice dei BAFTA, ma sfavorita rispetto alla collega diretta da Coralie Fargeat, la protagonista di Anora segue la scia del successo del suo film ma lascia il dispiacere di non aver visto riconosciuto il lavoro dell’interprete ritenuta "da pop-corn” per tanto tempo e che, sebbene abbia visto la sua prova riconosciuta ad altre premiazioni, avrà sempre la sensazione di essere stata battuta dalla «versione migliore di se stessi» - e chi ha visto il film sa bene a cosa ci riferiamo. Il dispiacere è sicuramente ben più grande rispetto a quello provato dal collega Timothée Chalamet, che aveva battito ai SAG il favorito Adrien Brody, con quest’ultimo che non si è lasciato sfuggire la seconda statuetta dopo averla già conquistata nel 2003 con Il pianista. Una vittoria meritata a fronte di un giovane che quest’anno si appresta a compiere ventinove anni e che, nonostante abbia sottolineato di aver impiegato cinque anni per entrare al meglio nei panni di Bob Dylan in A Complete Unknown, ha ancora tutta una carriera per poter conquistare la statuetta e con ruoli ben più rilevanti. Non il solito, seppur buono, biopic. E, se è davvero il nuovo Leonardo DiCaprio come tutti dicono, dovrà aspettare anni, ma ne varrà la pena (anche se qui forse non è il momento di riaprire la domanda: è davvero quello in The Revenant il miglior ruolo di DiCaprio?).
A reunion 22 years in the making. #Oscars pic.twitter.com/MkaF2xb6SE
— The Academy (@TheAcademy) March 2, 2025
Per il resto la 97esima edizione degli Oscar si è presentata esattamente come si era preventivato, con uno show che è sempre migliorabile (lo diciamo ogni anno), ma con un Conan O’Brien che, al contrario delle ultime conduzioni di Jimmy Kimmel, si è dimostrato un presentatore più naturale e sfrontato. Ha preso di petto questioni spinose nella stanza e al di fuori, sciogliendo il ghiaccio sulla questione Emilia Peréz e Karla Sofía Gascón facendo subito una battuta al riguardo, con la camera che va ad inquadrare l’attrice di cui, fino a qualche giorno fa, era stata praticamente vietata la partecipazione alla cerimonia - e con la pellicola che, reduce da una campagna Oscar da cui è uscita stremata, si porta a casa due premi a fronte di tredici nomination. Non c'è stato nient’altro di particolarmente rilevante se non uno sketch con Adam Sandler che viene cacciato fuori per come era vestito - una gag sul tragico incontro tra Trump e Zelensky nello Studio Ovale? Probabile, ma forse fuori luogo, e qualche frecciatina qua e là come il dissing tra Kendrick Lamar e Drake. Calcando la mano sull’ascesa durante la serata di Anora che il presentatore commenta: «Immagino che gli americani siano entusiasti di vedere qualcuno che finalmente si oppone a un potente russo».
Full performance of “Defying Gravity” by Cynthia Erivo and Ariana Grande at the #Oscars pic.twitter.com/h9flMlgiVI
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La parte delle performance canore agli Oscar aveva un potenziale enorme, sgonfiato fin dalla prima apparizione di Cynthia Erivo e Ariana Grande. Partendo da Somewhere Over the Rainbow de Il mago di Oz per poi duettare sull’attesissima Defying Gravity, l’esibizione ha settato lo standard medio che sarebbe stato offerto da quel momento fino a fine serata. Non per demerito delle professioniste sul palco, tutte donne, ma per un’assenza del vero spettacolo che si trascina ancora dietro il ricordo dello scorso anno con Ryan Gosling che intona I’m Just Ken suonata da Slash. C’è poi l’omaggio immancabile a Los Angeles, città onoraria degli Oscar colpita dagli incendi di gennaio, con tanto di vigili del fuoco sul palco. Tante le prime volte: vittoria per la Lettonia con Flow come film d’animazione, per il Brasile con Io sono ancora qui, Paul Tazewell come primo costumista nero ad aver ricevuto il riconoscimento per Wicked, così come Zoe Saldana migliore attrice non protagonista e prima interprete di origini colombiane.
@thereisnome3 This film made by a Palestinian-Israeli collective shows the destruction of the occupied West Bank's Masafer Yatta by Israeli soldiers and the alliance which develops between the Palestinian activist Basel and Israeli journalist Yuval. - IMDb #film #filmtok #nootherland #palestine original sound - James
Solo in un momento gli Oscar hanno alzato la testa, durante l’assegnazione del premio al miglior documentario per No Other Land, testimonianza di un’alleanza israelo-palestinese da parte del collettivo di registi che hanno realizzato l’opera mostrando la violenza del governo israeliano che vuole sradicare dalle loro case le popolazioni della Cisgiordania. Ma, anche lì, è un istante cristallizzato, quasi sospeso: di grande emozione, ma non di trasporto come spesso l’Academy ha dimostrato quando si tratta di sostenere le giuste cause - il film, tra l’altro, è ancora senza un distributore statunitense. Memori delle controversie suscitate dal discorso sul conflitto a Gaza di Jonathan Glazer dopo la vittoria con La zona d’interesse l’anno scorso? A ogni modo, qualcosa su cui riflettere questa edizione lo lascia: l’augurare lunga vita al cinema indipendente. Che speriamo, proprio per il suo essere scollegato dall’industria, abbia il coraggio di raccontare anche le storie più scomode.