A Guide to All Creative Directors

A Guide to All Creative Directors

A Guide to All Creative Directors

A Guide to All Creative Directors

A Guide to All Creative Directors

A Guide to All Creative Directors

A Guide to All Creative Directors

A Guide to All Creative Directors

A Guide to All Creative Directors

A Guide to All Creative Directors

A Guide to All Creative Directors

A Guide to All Creative Directors

A Guide to All Creative Directors

A Guide to All Creative Directors

A Guide to All Creative Directors

A Guide to All Creative Directors

A Guide to All Creative Directors

A Guide to All Creative Directors

Vedi tutti

Il Bob Dylan di Timothée Chalamet parla alle nuove generazioni

Il giovane divo è il protagonista del biopic A Complete Unknown

Il Bob Dylan di Timothée Chalamet parla alle nuove generazioni  Il giovane divo è il protagonista del biopic A Complete Unknown

«Chi vuoi essere?», chiede a un certo punto il personaggio di Sylvie a Bob Dylan, interpretato dal divo moderno Timothée Chalamet in A Complete Unknown del regista James Mangold. È una domanda che Dylan ha sentito dire più volte, ma a cui non ha mai voluto rispondere. Impossibile quando si è chiunque e allo stesso tempo nessuno, quando si è un “misterioso menestrello”, un genio destinato a cambiare per sempre il volto del folk. È anche per questo che lo stesso schermo non è mai riuscito a restituire un ritratto chiaro dell’artista, men che meno quando a prenderlo a modello erano progetti grandi, ambiziosi. Al punto che Todd Haynes, nel suo Io non sono qui, lo fece interpretare da ben sei attori diversi, ognuno con una propria parentesi per un film - Gran premio della giuria alla Mostra del cinema di Venezia nel 2007 - che non lo ritrae in diverse età della sua vita, bensì in diverse fasi tutte legate alla propria poetica musicale. Anche Martin Scorsese per il documentario Rolling Thunder Revue: A Bob Dylan Story scelse di non utilizzare troppe parole, di limitare le interviste, di rimanere attaccato al fulcro: la musica. La musica è un dato inappuntabile per ogni trasposizione della vita, vera o falsa e a volte entrambe, dell’inafferrabile Bob Dylan.   

@ceasaralarcon im changed forever #bobdylan #acompleteunknown #timotheechalamet @Timothée Chalamet Like a Rolling Stone - Bob Dylan

Anche in A Complete Unknown - titolo estrapolato dal brano che avviò l'artista alla svolta elettrica, Like a Rolling Stone - i brani del cantautore sono tanti, ripetuti, sono eseguiti quasi per intero, con pochi tagli o interruzioni. Della vita di Bob Dylan deve parlare la sua musica, con frasi che già sono state dette e che sono state pronunciate dal cantautore stesso. Sarebbe impossibile una qualsiasi altra trasposizione. Mangold lo sa, pur realizzando un’opera differente da quelle di Haynes e Scorsese; un film dalla lettura più immediata che arriva in maniera diretta - forse anche più convenzionale - allo spettatore. Si tratta di una narrazione classica, come spesso vuole il cinema del regista di Indiana Jones e di Ragazze interrotte, che aggiunge un tassello all'universo di Mangoldin A Complete Unknown Dylan incontra Johnny Cash, cantautore folk, blues, country che il regista e sceneggiatore aveva preso a soggetto vent'anni prima in Walk the Line - Quando l’amore brucia l’anima - impersonato da Joaquin Phoenix e che portò Reese Witherspoon a vincere il suo Oscar per la migliore attrice protagonista nella parte di June Carter. 

Nel nuovo film di Mangold, Johnny Cash ha lo stesso ruolo di Pete Seeger, mentore interpretato con dolce fermezza da Edward Norton, e di Woody Guthrie, idolo di Dylan che lo spinse ad addentrarsi per le strade di New York per conoscere il mito malato e, testuali parole, «maybe catch a sparkle». È l’intera scena folk che James Mangold ingloba in A Complete Unknown, dalle mille facce di Dylan alla sua dualità artistica (e amorosa) con Joan Baez, di cui il film esplora il rapporto sopra e sotto il palco. Sebbene l’opera cerchi di mantenere sempre un sentore aleatorio, soprattutto quando si tratta del suo protagonista, il tempo nel film viene circoscritto agli inizi della carriera del musicista, della fama e di come lo ha investito e, soprattutto, del suo desiderio di non essere etichettato.  Un mutare forma che per Bob Dylan, nato Robert Zimmerman, non vuol dire trasformarsi totalmente ma semplicemente apportare delle modifiche alla sua esistenza (e essenza). Nulla è immobile, men che meno la musica, in particolare quando è legata e imbevuta del contemporaneo come lo sono stati i brani del cantautore - l'unico artista musicale a vincere il Nobel per la letteratura nella storia del premio e che decise volontariamente di non presentarsi. 

Come Dylan fu in grado di parlare alla propria generazione, così Timothée Chalamet lo fa attraverso la sua performance. Gli spettatori possono approcciarsi a un lato effettivamente inedito dell’artista: non solamente il gigante indiscusso, il talento inscalfibile, ma anche il giovane che dovette cominciare registrando cover conosciute di altri artisti folk perché nessuno credeva che le sue parole potessero interessare il mondo. Figurarsi scoprire che, invece, ebbero il potere di cambiarlo. La versione di Chalamet aggiunge un’ulteriore sfumatura alle pagine di storia della musica sul grande schermo, con un biopic che si colloca a metà tra le tante produzioni che caratterizzano il genere, anche le più recenti. L’interprete non è una copia carbone del cantante, anche se nella voce e nei brani gli ci si avvicina il più possibile, bensì è una via di mezzo dove va a incontrarsi proprio col Joaquin Phoenix di Johnny Cash e l’Elvis di Austin Butler - e che evita, fortunatamente, il Freddie Mercury di Rami Malek. È in equilibrio tra una riproduzione fedele e una propria rielaborazione, seguendo un unico imperativo secondo le parole del cantante ovvero non essere mai banale, ma cogliere sempre tutti di sorpresa «come fossi un incidente».