“The Idol” ha diviso anche la redazione di nss
Per questo, abbiamo fatto un articolo sia “Pro” che “Contro”
06 Giugno 2023
Ieri sera, animati da una curiosità che solo settimane intere di polemiche possono generare, ci siamo seduti davanti il televisore e abbiamo guardato il primo episodio di The Idol, la serie di Sam Levinson che ha debuttato a Cannes a maggio suscitando lo scandalo e la riprovazione dei media. I motivi per odiare la serie sono molti: stile sopra la sostanza, Sam Levinson è un figlio di papà convinto di essere un grande intellettuale, una sessualità vagamente morbosa è sparsa in quasi ogni scena, la recitazione di tutti oscilla tra il teatrale e il legnoso e via dicendo. Non di meno, nel discuterne, i membri della redazione di nss magazine non sono riusciti a conciliare le proprie vedute – la serie è davvero così divisiva. E così, dato che in ogni situazione della vita bisognerebbe ascoltare entrambe le metaforiche campane, abbiamo deciso di scrivere un articolo doppio, per raccontare sia il punto di vista di chi la serie non l’ha sopportata (ma ammesso che avrebbe continuato a guardarla «per completezza») e chi invece l’ha apprezzata.
Perché The Idol ci è piaciuta
@euphoria.ed1t Jocelyn #edit #fyp #theidol suono originale -
Francamente, non si può vivere solo di profondi drammi psicologici, satira sociale e buoni sentimenti. A volte la vita è complicata, a volte siamo guidati da bassi istinti che non vogliamo reprimere e l’ombra che è in tutti noi vuole solo godersi, come dicono nella serie stessa, «sex, drugs and hot girls» se non nella vita reale almeno sullo schermo. The Idol è sporco, cattivo e selvaggio – da quanto non si vedeva una serie così insolente e arrapata in tv? Vogliamo fingere che ciò che vediamo nell’episodio non esista nella vita reale? O che il sesso non venda? Ci esaltiamo davanti alla carneficina che è Squid Game ma il corpo semi-nudo e il tabagismo di Lily Rose-Depp è dove tracciamo la linea del buongusto? È vero che la serie non è perfetta, alcuni passaggi sono sbrigativi e la trama esile, ma cassare tutto come “torture porn” sembra un moralistico kink-shaming di fronte alla narrazione di una sessualità femminile così disinibita, vissuta in maniera forse imprudente e morbosa ma anche senza pruderie o timidezza. A Jocelyn il sesso piace, nè frega nulla che le sue foto scandalose finiscano su Internet – per certi versi è una versione Millennial e tragica di Samantha Jones di Sex & The City che, ricordiamolo, tutti adorano proprio per la sua sfrenatezza. Non di meno, però, in molte delle inquadrature si avverte la fragilità del personaggio, il suo isolamento dietro la maschera della trasgressione, quella sicurezza di sé che nasce in risposta a un mondo ipocrita e sfruttatore. Il terreno ideale perfetto per un manipolatore francamente inquietante come Tedros, che Abel Tesfaye interpreta come una specie di vampiro. La serie non parla di sesso e basta, ma usa il sesso per indagare pulsioni psicologiche erotico-perverse a cui non si può dare un nome e che non si possono discutere nei termini buonistici usati, poniamo, in Sex Education, ma che comunque esistono che ci piaccia o meno. Se poi nei prossimi episodi il tono dello show crollerà come nella seconda stagione di Euphoria, presto precipitata nell’illogicità e nel non sequitur, ci riserviamo il diritto di cambiare il nostro giudizio ma se una cosa è certa è che The Idol è eccitante, deliziosamente peccaminoso – un guilty pleasure in tutto e per tutto. In fin dei conti, la stessa gratuità con cui il sesso è messo in scena qui non è diversa da quella con cui il marketing ci vende infiniti prodotti oggigiorno; né pescare nel torbido è qualcosa di così inaudito. Torna in mente la famosa intervista a Quentin Tarantino per l’uscita di Kill Bill, quando una signora preoccupata gli chiese come mai c’era così tanta violenza nei film e il regista rispose, disarmante e sincero: «Because it’s so much fun, Jan!»
Perché abbiamo odiato The Idol
The Idol is simultaneously awful self-parody, a pretentious art project, and grotesquely exploitative of its subject matter. Sam Levinson's dialogue is about as natural as a chicken nugget. The Weekend's performance is awful. It feels like a show made by CIS men cause it is. pic.twitter.com/7gEid4lxLB
— Lord Edge (@cgd0911) June 5, 2023
Avete presente quel compagno di classe che faceva di tutto per risultare trasgressivo tanto da finire per essere patetico? Ecco, The Idol è esattamente questo. La prima puntata della serie potrebbe essere idealmente divisa in due parti. Nella prima, assistiamo a un rimescolamento dell’iconografia della popstar moderna, da Britney Spears (citata direttamente) a Miley Cyrus, Levinson mette in scena momenti, storie, voci di corridoio o semplicemente scenari ipotetici che da sempre accompagnano la vita delle cantanti sopracitate. Nulla di tremendo, per adesso, almeno finché la serie non inizia a giocare talmente sulla difensiva da regalarci una meta-difesa preventiva verso i detrattori della serie. «You college-educated internet people stop trying to cock-block America», ripete uno dei personaggi nelle fasi iniziali della puntata, come se quelle “college-educated internet people” non siano le stesse disposte a pagare un abbonamento per vedere quello che praticamente è Hannah Montana riempito di cliché sul sesso e la celebrity culture. Tutto cambia, in peggio, quando entra in scena il personaggio di the Weeknd, Tedros, protagonista di una delle interazioni più assurde in una serie che sicuramente non brilla per credibilità nei rapporti umani. Dopotutto, se davvero riuscite ad appassionarvi a una serie in cui uno dei personaggi si approccia a Lily-Rose Depp con la frase «You fit perfectly into my arms» allora alzo le mani. Ma battute a parte, il problema di questo primo episodio di The Idol non è la volontà spasmodica di spingere sull’accelletatore della provocazioni con scene che sembrano scritte da uno studente di cinema che ha appena scoperto Paul Verhoeven, ma la noia atavica e il piattume che circonda i personaggi e le loro interazioni. Diramata quella cortina di fumo che Levinson ha disseminato per l’intero minutaggio dell’episodio, quello che ne rimane è un drama insipido e banale in cui la voce del suo creatore somiglia solo a un grido di autoaffermazione di una persona che probabilmente pensa che piangere sia “poco macho”.