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"Everyday Shoes": come evadere dal carcere attraverso l'arte

Il nuovo libro che tramite la fotografia racconta le vite interiori dei carcerati italiani

Everyday Shoes: come evadere dal carcere attraverso l'arte Il nuovo libro che tramite la fotografia racconta le vite interiori dei carcerati italiani

«Salve a tutti mi chiamo Alberto, mi è stato proposto di fare questo percorso che all’inizio mi ha messo un po’ paura, ero un po’ titubante perché dico “mah una foto che me po’ dà a me”, ho proseguito con questo percorso grazie al fatto che non ci siano state imposte nessun tipo di regole, e c’era libertà assoluta di pensiero e di movimento che per noi che siamo in carcere è importante perché noi sentiamo e pensiamo che qualcuno ci vuole sempre leggere nel pensiero, capire quello che pensiamo. Viviamo di questa costante paura di esternare, e quindi teniamo sempre tutto dentro», scrive Alberto, detenuto di Rebibbia, carcere di Roma. Detenuti, carceri e fotografia sono i tre temi fondamentali di “Everyday shoes”,  il libro dedicato al progetto di Guido Gazzilli e Ludovica Rosi,  nato per aprire un dialogo, intimo e diretto, con i detenuti di alcuni istituti penitenziari. Grazie alla collaborazione di celebri fotografi internazionali, si è organizzato un laboratorio dove i detenuti, attraverso la fotografia ed il suo linguaggio, sono riusciti ad esprimersi, in un percorso terapeutico fatto di immagini e parole, evocando sensazioni, ricordi e speranze. «È stato un momento di riflessione; mi ha fatto ripensare il passato, la mia infanzia, ai momenti brutti, al matrimonio, ai miei rapporti con le donne»,  continua Alberto. L’idea è stata quella di portare l’arte in luoghi spesso alienanti e pieni di sofferenza, con l’obiettivo di suscitare reazioni e riflessioni, affrontando anche tutta la suggestiva emotività che li circonda.  

Questa occasione ha portato i detenuti a ristabilire un nuovo contatto con le loro emozioni e con i loro ricordi, attivando un processo di (ri)scoperta della loro coscienza e della loro dignità, spesso soffocate nel periodo di detenzione, chiusi in un mondo diverso, una non-realtà senza tempo. 
Il libro ha voluto affrontare tutti questi silenzi in un dialogo onesto e senza mezzi termini, aprendosi a chi vive in questi luoghi spesso poco raccontati

Il titolo del libro, che appare inizialmente quasi incomprensibile, rivela la reale condizione dei detenuti. “Everyday shoes” si rispecchia nella prima immagine percepita dal fotografo, appena entrato per la prima volta nelle carceri: «Ho trovato scarpe pulite. Questa è la cosa che mi colpì. Le scarpe sempre pulitissime dei detenuti. Continuamente mi sono chiesto come facessero a ricevere sempre tutte queste scarpe nuove. Da chi le ricevessero, e perché proprio le scarpe. Ogni volta che tornavo dentro mi fissavo su questo dettaglio, impossibile da non vedere e duro da accettare. Un giorno durante un incontro con gli ospiti del carcere di Rebibbia chiesi a uno di loro: Perché avete ai piedi delle sneakers perfette? Come fate? Lui mi rispose: Chi è privato della libertà e si trova in questi luoghi ha le scarpe sempre candide e pulite di chi fa pochi passi, di chi non può sporcarle con la pioggia, il fango e la polvere, di chi non cammina più fuori ed è sempre costretto a fare su e giù in un corridoio… ». 

Questo libro apre gli occhi a chi lo sfoglia, a chi ne è stato protagonista e a chi ne è entrato a far parte in qualche modo. Come disse Piero Calamandrei: «Bisogna vederle, bisogna esserci stati per rendersene conto. Vedere! Questo è il punto essenziale»

Il carcere costituisce un luogo che nessuno vuole vedere, pochi ne parlano, ed è spesso molto difficile comprendere quello che succede all’interno. S’intrecciano sentimenti, ma anche dolore, indifferenza, emarginazione ed in molti casi ci si lascia all’idea che un detenuto non meriti più di essere trattato come i restanti, ma liberi, generi umani. 

In questi luoghi esiste anche un lato oscuro che non ci viene raccontato e che Everyday shoes ha voluto mettere alla luce: c’è chi è malato e non viene curato, chi è tossicodipendente e, in assenza dil metadone, utilizza una penna Bic come siringa. Perché in carcere la droga c’è, è solo più cara, ma mancano le siringhe. C’è chi si imbottisce di tranquillanti pur di riuscire a sopportare tutto, c’è chi in un angolo si dispera perché da mesi attende di essere processato. Chi sta lì per un errore giudiziario, scontando una pena per un reato che non ha commesso, aspettando di ottenere la propria giustizia.
Anche un condannato ha una vita e la sua esperienza di dolore, spesso vissuta con conseguenze sia fisiche che psicologiche molto forti, non deve andare perduta, ma accolta e ricordata, affinché siano sempre meno i casi di queste identità private di dignità.


Everyday shoes (NFC Edizioni, 48€) verrà presentato alla Triennale Venerdì 7 Ottobre alle 18:30 e sarà disponibile in tutte le librerie.