
MUBI debutta nell’editoria con MUBI Editions Abbiamo parlato con Enrico Camporesi, co-autore della prima uscita “Read Frame Type Film”
Il 2025 si sta dimostrando un anno glorioso per MUBI. Dopo il successo di The Substance agli Oscar, la casa di produzione, distribuzione e streaming di film indipendenti nata nel 2006 è da poco stata valutata un miliardo di dollari. In questi giorni si trova al Festival di Cannes con quattro nuovi film (Sentimental Value di Joachim Trier, My Father’s Shadow e The History of Sound di Akinola Davies, The Mastermind di Kelly Reichardt) e infine, come se non bastasse, si prepara a lanciare un nuovo ramo aziendale, MUBI Editions. Con l’intento di raccontare il cinema indipendente in maniera ancora più anticonvenzionale, con un approccio trasversale al mondo dell’arte e del design e con l’aiuto di collaboratori e ricercatori, MUBI Editions si occuperà di storia e cultura cinematografica, di oggetti d’arte realizzati da artisti e registi, di re-edizioni rare e, ovviamente, delle produzioni MUBI. Il primo progetto è Read Frame Type Film, in uscita il 222 maggio e realizzato insieme al Centre Pompidou di Parigi per raccontare l’importanza della parola scritta nel cinema sperimentale. Quale modo migliore per una casa cinematografica che vuole iniziare a pubblicare libri, se non partendo dalle parole nei film?
Enrico Camporesi, assistant curator della collezione film del Centre Pompidou, è uno degli autori di Read Frame Type Film. Insieme alla storica del design Catherine de Smet e al book designer Philippe Millot, hanno scelto 24 film dall’archivio del centro. Da questi tre diversi punti di vista ha preso vita un libro che non parla solo di parole sul grande schermo, ma anche di come sono state immaginate, disegnate e proiettate nell’ultimo secolo. Dopo aver contribuito con un articolo sui titoli di testa nel cinema sperimentale a MUBI Notebook, la prima rivista online della casa indipendente, Camporesi è tornato a collaborare con MUBI coinvolgendo nuovamente de Smet e Millot, questa volta per un progetto ben più ambizioso. Si tratta a tutti gli effetti di un libro sperimentale, ci racconta Camporesi - «Uno degli autori è il grafico, quindi è stato concepito mentre lo stavamo scrivendo» - una caratteristica che a MUBI è piaciuta da subito. «La loro direzione artistica in generale è molto attenta a queste cose. Quello che è stato eccezionale è che hanno accolto con entusiasmo l'idea di fare qualcosa di ambizioso e inedito proprio perché corrispondeva a quello che vogliono fare con i prossimi libri», aggiunge Camporesi. «Si tratta di un manifesto».
I film analizzati in Read Frame Type Film sono tutti firmati da figure di spicco dell’arte moderna e del cinema sperimentale del XX secolo, come Marcel Duchamp, Man Ray, Laszlo Moholy-Nagy, Dziga Vertov, Jean-Marie Straub, Danièle Huillet, Yvonne Rainer e Michael Snow. Sceglierli non è stato semplice, considerando che il Centro accoglie oltre 1500 opere, ma hanno deciso di selezionarne solo 24 come omaggio ai 24 fotogrammi al secondo del cinema sonoro. «Abbiamo cercato di coprire un periodo temporale abbastanza ampio, il primo film è del 1926 e l’ultimo dell’84», ci dice Camporesi. «L’ultimo film di cui trattiamo, Standard Gauge di Morgan Fisher, è abbastanza iconico perché tratta proprio dell'industria della fabbricazione del film, quindi c'è questo aspetto riflessivo molto bello che riunisce tutta la storia del film fotochimico».
Oltre a grandi classici come Anémic Cinéma di Marcel Duchamp (il primo analizzato nel libro), sono state scelte opere inaspettate, anticipa il curatore di Read Frame Type Film, aggiungendo che uno dei fattori a cui hanno fatto particolare attenzione è stato rendere la selezione il più internazionale possibile. Per non parlare solo del solito cinema sperimentale statunitense, il team ha esplorato anche le avanguardie europee e il cinema sovietico, insieme ai movimenti francesi. Un altro aspetto su cui si sono concentrati molto durante la creazione del libro è stato rendere il progetto accessibile a tutti, un lavoro non semplicissimo per quanto riguarda la settima arte. «Sia in nota che nel testo spieghiamo e argomentiamo i nomi che possono essere più oscuri, così che se sia accessibile per tutti, che tu sia artista, designer, cineasta o cinefilo». Questo tentativo di apertura della cultura di nicchia è in un certo senso anche ciò che ha fatto MUBI vent’anni fa, quando ha cominciato a raggiungere gli spettatori che fino a poco prima non avevano mai sentito nominare Wong Kar Wai. Read Frame Type Film racconta così la tipografia cinematografica con lo stesso spirito avvincente e appassionante, commentando i film da tre punti di vista diversi per capirne l’evoluzione. «Tutti leggiamo qualcosa dappertutto, non solo sui libri, ma anche negli spazi urbani», conclude Camporesi. Insieme a MUBI Editions, il team del Centre Pompidou riporta le parole del cinema su pagina, coservando tutta la verve anticonvenzionale e all’avanguardia per cui è da sempre noto MUBI.























































